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lunedì 28 febbraio 2011

12 marzo: per la Costituzione e per la Scuola

di Federico Orlando

12 marzo: per la Costituzione e per la Scuola Per una volta, vorrei ricordare di essere (stato) figlio di due insegnanti, che per tutta la vita si sono considerati sacerdoti dello Stato unitario. Credo che da sabato troveranno ancor meno pace nelle loro tombe. Un rinviato a giudizio per prostituzione minorile e concussione si aggrappa al potere e alla credibilità facendosi garante presso una parte della Chiesa  contro un milione di maestri elementari, professori di ginnasi, licei e istituti, presidi e collaboratori scolastici, e contro un altro milione almeno di cittadini “diversi” in natura (gay) o all’anagrafe (singoli), che aspirerebbero a un’unione di fatto o a un’adozione. Il tutto, mentre dall’altra sponda del Tevere si cannoneggia contro i medici per aborti “presunti terapeutici” e i farmacisti per la pillola del giorno dopo. Sembra che il momento del massimo inabissamento morale delle nostre istituzioni rappresentative venga colto dalla parte più reazionaria della gerarchia per esasperare in termini di guerra religiosa ciò che andrebbe risolto con pragmatico realismo; e per ottenere ulteriori vantaggi legislativi e finanziari dal governo morente: come si deduce dalla comunicazione della stessa Conferenza episcopale, che nell'ultimo anno il numero degli studenti iscritti all'ora di religione è diminuito di un altro 1 per cento mentre il numero degli insegnanti di religione (prevalentemente laici e donne) è aumentato di altre 1200 unità.
Ci dispiace per i tanti cattolici onesti, a cominciare dai nostri familiari, ma da cittadini siamo interessati  innanzitutto alle istituzioni democratiche, sottoposte al fuoco del raìs di Arcore: e ci rivolgiamo ai ragazzi, agli insegnanti, a madri e padri perché il 12 marzo vadano alla manifestazione di Articolo 21 “Per la Costituzione e per la Scuola”, in continuità con la manifestazione delle Donne; e ci rivolgiamo al supremo garante delle istituzioni, il presidente della Repubblica, pregandolo di lavare il fango contro la scuola con lo stesso stile e contenuto culturale dell'incontro della scorsa settimana, promosso al Quirinale, su funzione e sviluppo della lingua nei 150 anni dell’unità. Centocinquant’anni fa in Italia il 70 per cento della popolazione era analfabeta. Questo era il prodotto del feudalesimo degli stati e del monopolio scolastico della Chiesa. Sarebbe fondamentale che le grandi istituzioni culturali tornassero al Quirinale per una riflessione sui 150 anni della scuola pubblica in Italia. Il vecchio provveditore Nicola D’Amico, per anni collaboratore scolastico del Corriere della sera (che oggi relegava la rivolta di scuole e famiglie contro Berlusconi a pagina 14),  ha appena pubblicato una monografia di 800 pagine Storia e storie della scuola italiana, Zanichelli: che parte dalla riforma sabauda del 1859, legge Casati. Con la quale si iniziò la civilizzazione degli italiani e continuò il braccio di ferro tra lo stato moderno e la chiesa, iniziatosi nel 1851  con le leggi Siccardi.
Quel braccio di ferro continua, come si vede, e le cialtronaggini dette sabato ai “cristiani riformisti” (riformisti?) contro la scuola pubblica ne sono un’aggiunta elettorale. La destra è impegnata da anni su un doppio binario, a parole manda alla scuola direttive europee, come “lavorare per competenze”. Nei fatti, Tremonti, Gelmini, Brunetta stravolgono finanziamenti, ordinamenti, programmi, corpi docenti, riducono le ore di presenza a scuola, si evade dai laboratori dove bisognerebbe tradurre in progetti le nozioni apprese teoricamente in aula; gli insegnanti non si aggiornano e vengono accusati di “fancazzismo” dalle Pravde arcoriane, le non poche famiglie che applaudono a Ruby tirano fuori gli artigli contro maestri e professori se solo si permettono di redarguire o dare un’insufficienza ai figli, resi scostumati e ignoranti dalla scostumatezza e dall’ignoranza di quelle famiglie.
Purtroppo, errori di pedagogia,  che hanno spinto verso questi traguardi, sono stati compiuti non solo da ministri dell’istruzione che nei primi decenni della repubblica “democratizzarono” la scuola e con quella splendida copertura ne iniziarono la tacita dequalificazione a favore della scuola a pagamento;  ma anche da spiriti missionari cattolici e comunisti, come don Milani e Gianni Rodari, troppo ossequiati dalla cultura acritica. Ora, benché tardi, la cultura laica riporta anche loro alle loro responsabilità.  Paola Mastrocola ha fatto centro nuovamente con Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare, Guanda; e ci sgomenta il suo  quadro di menomazione intellettuale dei ragazzi, invano mascherata dal luddismo di telecomando, tastiera, cd, pc, i-Pod, i-Pad, palmari, telefonini multiuso (compreso l' autofotografarsi lascivo) che al vescovo di San Marino, intervistato dalla Stampa, non dice nulla, come nulla dice “la moralità del premier perché il problema sono i Dico e le leggi laiciste”. Don Milani – ha ricordato Cesare Segre parlando della Mastrocola –  predicò in buona fede “contro il babau del nozionismo, svalutando cioè il concetto di nozione come conoscenza: donde l’avversione per il sapere letterario e in particolare linguistico, considerati appannaggio dei ricchi”. E sempre in buona fede l'ottimo Gianni Rodari decretò “la vittoria della fiaba sulla razionalità e sulla storia”, e trasformò l’aula scolastica in palcoscenico, dove gli scolari, “distolti dallo studio, mettevano allegramente in gara la loro pretesa inventività”.
I risultati di quella “scuola del fare” sono uguali ai risultati di questo “governo del fare”, forma senza sostanza, smanettamenti senza dottrina, affabulazione senza nozioni, bungabunga senza amore, distruzione  senza ricostruzione. Così Mario Draghi dice che stiamo uccidendo la nostra potenziale maggiore ricchezza, i giovani. Ma per questo delitto sono competenti i cittadini, non i pm.    
I comunicati di adesione (in ordine di arrivo) di: Luigi De Magistris, Angelo Bonelli, Rete dei Festival, Centro Pio La Torre, Michele Meta, Roberto Morrione, Rosa Calipari, Roberto Zaccaria, Oliviero Diliberto, Giancarlo Ghirra, Antonio Di Pietro, Rosy Bindi, Pierluigi Bersani, Associazione Sylos Labini, Carlo Verna, Paolo Ferrero e Rosa Rinaldi, Monica Guerritore, Jean Leonard Touadi, Fulvio Fammoni, Filippo Rossi, Angela Napoli, Comitati Dossetti, Fabio Mussi, Rete Studenti e Unione Universitari, Leoluca Orlando e la Retitudine
12 marzo: per la Costituzione e per la Scuola

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di Federico Orlando

12 marzo: per la Costituzione e per la Scuola Per una volta, vorrei ricordare di essere (stato) figlio di due insegnanti, che per tutta la vita si sono considerati sacerdoti dello Stato unitario. Credo che da sabato troveranno ancor meno pace nelle loro tombe. Un rinviato a giudizio per prostituzione minorile e concussione si aggrappa al potere e alla credibilità facendosi garante presso una parte della Chiesa  contro un milione di maestri elementari, professori di ginnasi, licei e istituti, presidi e collaboratori scolastici, e contro un altro milione almeno di cittadini “diversi” in natura (gay) o all’anagrafe (singoli), che aspirerebbero a un’unione di fatto o a un’adozione. Il tutto, mentre dall’altra sponda del Tevere si cannoneggia contro i medici per aborti “presunti terapeutici” e i farmacisti per la pillola del giorno dopo. Sembra che il momento del massimo inabissamento morale delle nostre istituzioni rappresentative venga colto dalla parte più reazionaria della gerarchia per esasperare in termini di guerra religiosa ciò che andrebbe risolto con pragmatico realismo; e per ottenere ulteriori vantaggi legislativi e finanziari dal governo morente: come si deduce dalla comunicazione della stessa Conferenza episcopale, che nell'ultimo anno il numero degli studenti iscritti all'ora di religione è diminuito di un altro 1 per cento mentre il numero degli insegnanti di religione (prevalentemente laici e donne) è aumentato di altre 1200 unità.
Ci dispiace per i tanti cattolici onesti, a cominciare dai nostri familiari, ma da cittadini siamo interessati  innanzitutto alle istituzioni democratiche, sottoposte al fuoco del raìs di Arcore: e ci rivolgiamo ai ragazzi, agli insegnanti, a madri e padri perché il 12 marzo vadano alla manifestazione di Articolo 21 “Per la Costituzione e per la Scuola”, in continuità con la manifestazione delle Donne; e ci rivolgiamo al supremo garante delle istituzioni, il presidente della Repubblica, pregandolo di lavare il fango contro la scuola con lo stesso stile e contenuto culturale dell'incontro della scorsa settimana, promosso al Quirinale, su funzione e sviluppo della lingua nei 150 anni dell’unità. Centocinquant’anni fa in Italia il 70 per cento della popolazione era analfabeta. Questo era il prodotto del feudalesimo degli stati e del monopolio scolastico della Chiesa. Sarebbe fondamentale che le grandi istituzioni culturali tornassero al Quirinale per una riflessione sui 150 anni della scuola pubblica in Italia. Il vecchio provveditore Nicola D’Amico, per anni collaboratore scolastico del Corriere della sera (che oggi relegava la rivolta di scuole e famiglie contro Berlusconi a pagina 14),  ha appena pubblicato una monografia di 800 pagine Storia e storie della scuola italiana, Zanichelli: che parte dalla riforma sabauda del 1859, legge Casati. Con la quale si iniziò la civilizzazione degli italiani e continuò il braccio di ferro tra lo stato moderno e la chiesa, iniziatosi nel 1851  con le leggi Siccardi.
Quel braccio di ferro continua, come si vede, e le cialtronaggini dette sabato ai “cristiani riformisti” (riformisti?) contro la scuola pubblica ne sono un’aggiunta elettorale. La destra è impegnata da anni su un doppio binario, a parole manda alla scuola direttive europee, come “lavorare per competenze”. Nei fatti, Tremonti, Gelmini, Brunetta stravolgono finanziamenti, ordinamenti, programmi, corpi docenti, riducono le ore di presenza a scuola, si evade dai laboratori dove bisognerebbe tradurre in progetti le nozioni apprese teoricamente in aula; gli insegnanti non si aggiornano e vengono accusati di “fancazzismo” dalle Pravde arcoriane, le non poche famiglie che applaudono a Ruby tirano fuori gli artigli contro maestri e professori se solo si permettono di redarguire o dare un’insufficienza ai figli, resi scostumati e ignoranti dalla scostumatezza e dall’ignoranza di quelle famiglie.
Purtroppo, errori di pedagogia,  che hanno spinto verso questi traguardi, sono stati compiuti non solo da ministri dell’istruzione che nei primi decenni della repubblica “democratizzarono” la scuola e con quella splendida copertura ne iniziarono la tacita dequalificazione a favore della scuola a pagamento;  ma anche da spiriti missionari cattolici e comunisti, come don Milani e Gianni Rodari, troppo ossequiati dalla cultura acritica. Ora, benché tardi, la cultura laica riporta anche loro alle loro responsabilità.  Paola Mastrocola ha fatto centro nuovamente con Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare, Guanda; e ci sgomenta il suo  quadro di menomazione intellettuale dei ragazzi, invano mascherata dal luddismo di telecomando, tastiera, cd, pc, i-Pod, i-Pad, palmari, telefonini multiuso (compreso l' autofotografarsi lascivo) che al vescovo di San Marino, intervistato dalla Stampa, non dice nulla, come nulla dice “la moralità del premier perché il problema sono i Dico e le leggi laiciste”. Don Milani – ha ricordato Cesare Segre parlando della Mastrocola –  predicò in buona fede “contro il babau del nozionismo, svalutando cioè il concetto di nozione come conoscenza: donde l’avversione per il sapere letterario e in particolare linguistico, considerati appannaggio dei ricchi”. E sempre in buona fede l'ottimo Gianni Rodari decretò “la vittoria della fiaba sulla razionalità e sulla storia”, e trasformò l’aula scolastica in palcoscenico, dove gli scolari, “distolti dallo studio, mettevano allegramente in gara la loro pretesa inventività”.
I risultati di quella “scuola del fare” sono uguali ai risultati di questo “governo del fare”, forma senza sostanza, smanettamenti senza dottrina, affabulazione senza nozioni, bungabunga senza amore, distruzione  senza ricostruzione. Così Mario Draghi dice che stiamo uccidendo la nostra potenziale maggiore ricchezza, i giovani. Ma per questo delitto sono competenti i cittadini, non i pm.    
I comunicati di adesione (in ordine di arrivo) di: Luigi De Magistris, Angelo Bonelli, Rete dei Festival, Centro Pio La Torre, Michele Meta, Roberto Morrione, Rosa Calipari, Roberto Zaccaria, Oliviero Diliberto, Giancarlo Ghirra, Antonio Di Pietro, Rosy Bindi, Pierluigi Bersani, Associazione Sylos Labini, Carlo Verna, Paolo Ferrero e Rosa Rinaldi, Monica Guerritore, Jean Leonard Touadi, Fulvio Fammoni, Filippo Rossi, Angela Napoli, Comitati Dossetti, Fabio Mussi, Rete Studenti e Unione Universitari, Leoluca Orlando e la Retitudine
 “Abbiamo bisogno di sentire l’eco delle parole di Gesù nelle parole dei Vescovi”: un gruppo di «cristiani della Chiesa di Modena» ha intitolato così la lettera indirizzata al vescovo della città, mons. Antonio Lanfranchi. La missiva, promossa all’inizio di febbraio dalla comunità cristiana di base del Villaggio Artigiano, nel giro di pochi giorni ha circolato moltissimo all’interno della diocesi, sostenuta e discussa da diversi gruppi ecclesiali, fuori e dentro le parrocchie.
«Ci rivolgiamo a lei – scrivono i credenti modenesi a mons. Lanfranchi – perché è il nostro pastore. Sappiamo che il suo ruolo e il suo ministero è proprio quello di ascoltare, confortare, tenere unito il gregge, cioè guidare il popolo cristiano e aiutarlo a vivere nella fede, nella speranza e nella carità. Vogliamo quindi esprimerle alcune nostre gravi preoccupazioni, con semplicità ma anche con tutta franchezza».
Segue un elenco che, quasi in un crescendo, manifesta tutto il disagio e lo sgomento che tante comunità cristiane vivono di fronte all’attuale scenario politico: «Siamo preoccupati perché vediamo il nostro Paese scivolare sempre più in una crisi generale, vissuta da molti con disperazione e senza vie d’uscita, crisi che rischia di compromettere l’unità stessa della Nazione, nei suoi aspetti istituzionali, politici e sociali. E la disperazione non è una virtù cristiana. Siamo sconvolti perché vediamo la classe politica che governa questo Paese sprofondare sempre più nel degrado morale, nell’arroganza dell’impunità, nella ricerca del tornaconto personale e dei propri amici, nel saccheggio della cosa pubblica e nella distruzione sistematica delle basi stesse del vivere civile e democratico. Siamo indignati perché questa stessa classe politica al governo ha ingannato e continua a ingannare i poveri con false promesse, con un uso spregiudicato e perverso dei mezzi di comunicazione, con l’esibizione ostentata di modelli di comportamento radicalmente contrari al comune sentimento morale della nostra gente».
Ma la preoccupazione maggiore, i cristiani modenesi la esprimono nei confronti della loro Chiesa: «Sappiamo – scrivono infatti – che i vertici della Cei e gli ambienti della Curia vaticana hanno deciso già da tempo di appoggiare la maggioranza di destra ancora oggi al governo. È opinione sempre più diffusa, anche tra i cattolici credenti e praticanti, che questa alleanza sia frutto di accordi di potere, volti a ottenere  privilegi per la Chiesa e legittimazione per il governo. Vale la pena di compromettere la credibilità dell’annuncio del Vangelo e l’immagine della Chiesa per un piatto di lenticchie?». Anche perché, proseguono i cristiani modenesi, in nome di questo accordo «si sono di fatto avallate politiche, alcune di stampo prettamente xenofobo,  del tutto contrarie non solo al Vangelo ma anche alla dottrina sociale della Chiesa». Le voci che nella Chiesa di base si sono sinora levate per denunciare questa pericolosa alleanza trono-altare vengono «sempre ignorate, censurate o minimizzate». Neppure adesso che «l’abisso morale e lo stile di vita inqualificabile dello stesso presidente del Consiglio sono sotto gli occhi di tutto il mondo», i vertici della Cei «trovano la forza e la dignità di pronunciare parole chiare, di uscire dalle deplorazioni generiche che riguardano tutti e quindi nessuno, di usare finalmente il linguaggio evangelico del sì  sì, no  no». Un atteggiamento che stride con il modo, assai diverso, con cui fu trattato il precedente governo Prodi, «che non solo non fu sostenuto, ma venne addirittura osteggiato, forse proprio perché più libero, sicuramente più laico e quindi meno disponibile ad accordi sotto banco».
«Occorre che ci si renda conto davvero che alla base della Chiesa sta aumentando il disagio, il dissenso, la sofferenza, il lento e silenzioso abbandono. L’amara sensazione di molti, giusta o sbagliata, è che i pastori abbiano tradito il loro gregge, abbiano preferito i morbidi palazzi di Erode alla grotta di Betlemme, abbiano colpevolmente rinunciato alla profezia. E questo non fidarsi di Dio, tecnicamente, è un comportamento ateo».
Di qui una proposta «che può sembrare provocatoria», ma che costituirebbe un segnale importante da parte delle gerarchie della Chiesa: «La Cei e il Vaticano dichiarino pubblicamente di rinunciare all’esenzione del pagamento dell’Ici sulle proprietà della Chiesa che siano fonti di reddito; che abbiano il coraggio di dire di no a questa proposta scellerata. Acquisterebbero un po’ di stima e credibilità, perché questo, fra i tanti, è uno scandalo che grida vendetta». (valerio gigante) [ADISTA]

domenica 27 febbraio 2011

fortezza_Italia.jpg
Siamo in attesa, ma non si sa di cosa. Deve passare la nottata, ma nessuno sa quanto sia lunga e nera la notte e, in fondo, non ci importa. Dalla nostra fortezza, avamposto in rovina, appartamento di periferia o in centro città, osserviamo l'orizzonte attraverso la malia della televisione. Voci familiari di perfetti sconosciuti ci tengono compagnia ogni sera. Interpretano gli accadimenti alle nostre frontiere e anche i pericoli, e insieme ad essi le soluzioni. Noi, come è ovvio, non ci crediamo più, né ai pericoli, né alle soluzioni. I pericoli sono ben più minacciosi, già dentro i nostri confini, e le soluzioni sono giochi di prestigio di chi non può che perpetuare il proprio potere, non ha del resto scelta. Le falsità di cui ci circondiamo sono troppo evidenti e prolungate, ma quel futuro così minaccioso non si può affrontare ora, con queste miserabili armi, senza una strategia, senza un'oncia, o anche un solo grammo, di coraggio. La fortezza è accogliente, non ci manca nulla a parte la libertà e la conoscenza. L'attesa ci consuma come delle candele, ma il loro calore è sufficiente per rimandare anche il più piccolo esame di coscienza.
Dal deserto che si estende ininterrotto di fronte alle mura, in cui ci siamo rinchiusi per viltà o per scelta, non verrà nessuno, non formidabili e spietati nemici, non amici in nostro soccorso con le armi della democrazia e della libertà, due parole di cui crediamo di sapere il significato, ma che abbiamo mutato, più o meno inconsciamente, in dittatura e servilismo. L'attesa deve durare per sempre, resistere (a chi?) è il nostro unico e vero obiettivo. Il tempo dell'attesa dura da generazioni, una dopo l'altra cancellate come le stelle dalla luce del mattino. Nella fortezza c'è ancora abbastanza cibo, ma i più giovani spesso partono per delle terre straniere senza fare più ritorno. Sono milioni ormai.
La fortezza invecchia insieme ai suoi abitanti e le sue mura cominciano a sgretolarsi, si dice che avvenga per tutte le fortezze, che sia una regola universale, che nessuna fortezza sia eterna, che nessuna attesa sia per sempre. Il muro di Berlino è caduto, e ora le fortezze del Maghreb, una dopo l'altra. Ma è dolce l'attesa, pur con il boato dei primi crolli. Quel nemico, che mai apparirà da territori sconosciuti, siamo in realtà noi, ma è così rassicurante pensarlo diverso, lontano.

sabato 26 febbraio 2011

Yara/ Parroco Brembate: papà molto scosso ma di forza esemplare

Domani fiaccolata e messa, annullata sfilata carnevale

Domani fiaccolata e messa, annullata sfilata carnevale

Chignolo d'Isola(Bg), 27 feb. (TMNews) - Don Corinno Scotti, parroco di Brembate di Sopra (Bergamo) ha descritto come "molto scosso" il padre di Yara Gambirasio, la ragazza scomparsa lo scorso 26 novembre e il cui cadavere è stato trovato ieri pomeriggio nelle campagne di Chignolo d'Isola. "Sono stato da loro con il sindaco - ha raccontato il sacerdote - e ho parlato con il papà, la madre non se l'è sentita. Non ci siamo detti molto, l'ho abbracciato e mi è parso molto scosso, ma di una forza come sempre esemplare. Di fronte a una notizia tremenda come questa è stato molto dignitoso". Don Scotti ha aggiunti di non aver ancora suonato le campane a morto, in attesa di una comunicazione ufficiale, ma ha proseguito dicendo che domani ci sarà comunque una fiaccolata in paese, seguita da una messa, per ricordare Yara, mentre la sfilata di carnevale in programma oggi è stata annullata. La ragazza sarà ovviamente ricordata anche nelle messe domenicali

Il silenzio dei colpevoli

Le gravi omissioni di Nicola Mancino e Giovanni Conso sul biennio stragista '92/'93
di Giorgio Bongiovanni e Lorenzo Baldo - 18 febbraio 2011
Nell'aula bunker di Firenze il senatore Nicola Mancino è tornato ad affrontare la questione della revoca del 41 bis per 140 detenuti decisa inspiegabilmente nel novembre del '93 dall'allora ministro di Grazia e Giustizia, Giovanni Conso. Mancino ha affermato di non averne mai parlato con il suo collega di via Arenula, smentendo di fatto le precedenti dichiarazioni dell'ex Guardasigilli già di per sé lacunose e gravemente omertose.
    
Le deposizioni dell'ex ministro dell'Interno hanno acuito un senso di rabbia e disgusto nei confronti di questi uomini delle istituzioni. Uomini che avevano e che hanno il dovere di essere al servizio del nostro Paese e che invece, barricandosi dietro palesi omissioni o evidenti contraddizioni, rischiano di macchiarsi del reato più infamante per un servitore dello Stato: alto tradimento.
Cosa si cela dietro ai tanti “non ricordo”, ai troppi “non so” di questi smemorati di Stato?
Non è più tollerabile sentir dire da un ex ministro della giustizia che “al momento non siamo in grado di dire nulla di sicurissimo, ma col tempo pezzi di verità verranno tirati fuori”.
Ma da chi dobbiamo aspettare che vengano fuori questi “pezzi di verità”?
Da altri uomini delle istituzioni che per codardia bussano alle procure per fornire solamente una parte di quello che sanno, prima di essere chiamati in causa da mafiosi o da collaboratori di giustizia?
Non è più ammissibile che nelle aule di giustizia rimbombino questi silenzi colpevoli!
Il silenzio di chi sa ma non parla ci induce al sospetto che entrambi tacciano per coprire uno Stato che, con la sua grave incompetenza, noncuranza e finanche complicità, porta su di sé il peso della corresponsabilità nelle stragi del '92 e del '93.
Come potevano sapere all'epoca Mancino e Conso dell'esistenza di due schieramenti di Cosa Nostra? Chi li aveva informati della fazione “terroristica” legata a Riina e di quella più “politica” capitanata da Provenzano? Solamente chi stava “trattando” ne era a conoscenza e lo avrebbe comunicato ad entrambe le personalità istituzionali.
Se così fosse i due eminenti ex ministri dovrebbero finire sotto inchiesta per falsa testimonianza, con l'aggravante di aver favorito la trattativa tra Cosa Nostra e lo Stato. A prescindere che entrambi lo abbiano potuto fare inconsapevolmente, o consapevolmente.
Mai più ruoli istituzionali a uomini come Nicola Mancino o Giovanni Conso!
Mai più ruoli istituzionali a chi ha pensato solo ai propri interessi e non al bene comune, a chi afferma di non aver affrontato questioni di rilevanza fondamentale “per rispetto dell'autonomia del ministro” quando c'era un Paese a ferro e fuoco.
Nessuna attenuante a chi ha negato e continua a negare di aver incontrato Paolo Borsellino il 1° luglio al Viminale nonostante l'evidenza di un'agenda, non sottratta da altri uomini fedeli ad un Giano Bifronte, ma solo il biasimo unito al disprezzo generale per il loro contributo nel continuare ad occultare la verità.
La richiesta di giustizia di tutti i familiari delle vittime della violenza politico-mafiosa peserà su di loro e su tutti gli altri “smemorati” come un macigno dal quale si potranno liberare solamente rompendo una volta per tutte quel silenzio colpevole.
(da: http://www.antimafiaduemila.com/)
Gelli e il cambio
nel potere occulto»

di Alessandro Calvi
GIUSEPPE DE LUTIIS. Spiega il maggior esperto italiano di intelligence e terrorismo che, oltre alla transizione politica, nella inusuale loquacità del Venerabile potrebbe nascondersi pure la volontà di preparare il terreno alla sua personale transizione, quella verso l’“Oriente Eterno”.

Potrebbe essere una «transizione morbida» l’obiettivo celato dietro l’inusuale necessità di intervenire pubblicamente che ha colto da qualche tempo Licio Gelli. Ne è convinto Giuseppe De Lutiis, tra i maggiori analisti italiani di terrorismo e servizi segreti, al quale i segnali che circolano da qualche tempo - come le rivelazioni dello stesso Gelli sull’Anello, una struttura segreta e parallela che il Venerabile ha collegato a Giulio Andreotti - non sono sfuggiti. Neppure quelli che sembrano indicare nella fase attuale una certa similitudine con quella attraversata dal paese tra il ’92 e il ’94. «È inevitabile pensare - spiega - che, quello che Giorgio Galli chiama il governo invisibile, stia lavorando a un dopo Berlusconi meno caratterizzato dal muro contro muro». Almeno, sarebbe una differenza con quegli anni disgraziati.
I segnali sono tanti. Le parole di Licio Gelli sono lì, nero su bianco. E non ci sono soltanto quelle: c’è una concatenazione di eventi che suggerisce che qualcosa, dietro le quinte del potere, molto dietro quelle quinte, stia accadendo, al riparo dal clamore delle cronache. Poi, certo, qualche segnale va dato. Ed ecco, infatti, che è puntualmente arrivato.
C’è stato uno strappetto di Licio Gelli dopo il cosiddetto scandalo P3, per prendere le distanze da quel «sodalizio di affaristi». Poi, a gennaio, dopo che lo stesso Gelli si era concesso al quotidiano friulano il Piave svolgendo alcune osservazioni su Tina Anselmi, è arrivata una sibillina intervista pubblicata dall’Espresso nella quale il prefetto Bruno Rozera, pezzo pregiato della massoneria, parla anche di Gelli, ricordandone significativamente l’attività nel periodo precedente agli anni tra il 1992 e il 1994. Infine, due interviste consecutive dell’ex capo della P2, una al Tempo e una ad Oggi, nelle quali Gelli sembra prendere in modo deciso le distanze da Berlusconi e fa una rivelazione: «Io avevo la P2, Cossiga la Gladio e Andreotti l’Anello». Ce ne è abbastanza per farsi qualche domanda. «Già - dice Giuseppe De Lutiis - non è casuale se in poche settimane Gelli abbia espresso in più sedi le sue valutazioni e lo abbia fatto con interviste di quel tenore. D’altra parte, non credo neppure che quella del prefetto Rozera, che ha informazioni paragonabili a quelle in possesso di Gelli, sia una decisione casuale. E questo è possibile attribuirlo al fatto che l’era di Berlusconi sembra terminata, sia perché lo stesso interessato ha contribuito molto ad accelerarne la fine, sia per la durata che si avvicina al ventennio. E forse anche per altre ragioni che noi non conosciamo».
Insomma, mentre la vita politica sembra avvitata da mesi in una picchiata molto pericolosa, «potrebbe essere - osserva De Lutiis - che queste interviste servano a preparare il terreno ad un cambio di gestione sia del potere palese che di quello più o meno occulto». Dunque, la promessa di Gelli, il quale ha annunciato altre rivelazioni, «potrebbe aiutarci, se mantenuta, a comprendere molti aspetti della difficile gestione di questo paese che è stato definito efficacemente come una portaerei nel Mediterraneo e che ora vede al comando una persona che anche a livello internazionale non viene più ritenuta affidabile». De Lutiis non esclude però che le parole di Licio Gelli nascondano anche un elemento di natura più personale. «Gelli - osserva - è stato un uomo di frontiera, considerato come un demone dall’area progressista. Ora, a 92 anni, con qualche rivelazione e qualche apertura, potrebbe voler preparare il terreno anche per meritare una valutazione meno negativa della sua figura quando lui transitasse all’Oriente Eterno».
D’altra parte, aggiunge De Lutiis, «Gelli detiene tanti di quei segreti che può scegliere di rivelarne alcuni senza per questo far franare una intera area politica». Per ora, dal cappello ha tirato fuori l’Anello, organizzazione segreta della quale sino a poco fa era ignota la stessa esistenza e della quale tuttora non conosciamo neppure il vero norme: nelle poche carte che ne attestano l’esistenza è indicato come Noto Servizio; Anello è un nome attribuitogli da alcuni appartenenti in via informale. Nato alla fine della seconda guerra mondiale, la sua esistenza fu svelata soltanto nel 1998 da alcuni documenti riservati, rinvenuti in un archivio del Viminale da Aldo Giannuli, su incarico dei magistrati di Milano e Brescia che indagavano sulle stragi di piazza della Loggia e di piazza Fontana.
«Già, dell’Anello sappiamo molto poco ma almeno ora sappiamo che esiste. A dircelo, al là di qualche documento e di alcune testimonianze, c’è anche Gelli». «Devo dire - confessa De Lutiis - che inizialmente ero scettico, forse influenzato da valutazioni negative provenienti da un ambiente molto informato. Ma poi mi sono convinto del contrario». Ebbene, di questa organizzazione conosciamo il pezzetto di storia riferito a Mario Roatta relativo alla metà degli anni ’40 ma poi, spiega De Lutiis, «dobbiamo fare un salto di molti decenni per arrivare alla fuga di Kappler e al sequestro Cirillo, vicende nelle quali l’Anello operò, come intervenne, secondo qualcuno, anche nel caso Moro. Ma - prosegue De Lutiis - se l’Anello esiste dal ’45, cosa ha fatto dopo? Mancano 60 anni, forse potrebbe essere stato protagonista di altri episodi, forse, sapendone di più, potremmo rileggere un pezzo di storia della Repubblica».
Soprattutto, c’è da chiedersi chi lo gestì negli anni ‘50, gli anni della guerra fredda in cui più aspra era la contrapposizione tra il mondo occidentale e quello comunista. «Di Gladio - dice ancora De Lutiis - non sappiamo nulla su quello che può aver fatto dopo il ’46. Ad esempio, fino al ’56 è esistita anche una organizzazione detta “O”, erede della Osoppo, formazione partigiana moderata, che raccoglieva oltre 5mila aderenti. C’erano rapporti tra queste due strutture? Cosa hanno fatto nel primo decennio di guerra fredda conclamata? Non conosciamo neppure i nomi degli aderenti a nessuna delle due organizzazione. E non sappiamo come una formazione come l’Anello si sia collocata in un simile sistema di apparati, nel quale si sono mossi anche il Sifar e l’Ufficio affari riservati. Ma, certo, la sua esistenza è coerente con quell’apparato».
Se questo è il quadro, è evidente che per noi è difficile anche comprendere l’affermazione di Gelli che ha collegato il Noto Servizio con Andreotti. «La semplificazione prospettata da Gelli - osserva De Lutiis - dovrebbe essere suffragata da qualche prova. Ciò che è noto, è che Andreotti operò per disvelare, e quindi rendere inservibile, Gladio che, invece, fu difeso da Cossiga. E ancora oggi negli ambienti eredi del servizio segreto militare, che era quello che gestiva Gladio, Cossiga è popolarissimo, quasi venerato, mentre verso Andreotti permane un sentimento, per così dire, di avversione». «Essendo trascorso mezzo secolo - conclude De Lutiis - forse le autorità politiche potrebbero ammettere gli storici a consultare almeno una parte delle carte, a meno che il maestro Venerabile non ci aiuti a caprine di più come ha promesso».
(fonte: http://www.ilriformista.it/)
LA SARDEGNA E' UNA COLONIA ITALIANA.
La Sardegna è una colonia italiana, come la Somalia o l'Eritrea di una volta. La parola "colonia" significa: "Comunità costruita per l'occupazione e lo sfruttamento di un territorio d'oltremare, per lo più fornita di una più o meno evidente autonomia rispetto alla patria di origine". E' la fotografia della Sardegna. Il neocolonialismo italiano ha distrutto il territorio con la cementificazione delle coste (il lavoro non è ancora terminato, Marcegaglia e Benetton sono impegnati nel paradiso della Costa Verde), la pastorizia con l'introduzione di pecore dall'Est Europa in seguito naturalizzate sarde, il suo bellissimo mare, circondandola di impianti petroliferi da nord (E.On) a sud (Saras di Moratti) e con lo sversamento di decine di migliaia di metri cubi di petrolio. Le ribellioni vengono stroncate sul nascere, come da tradizione nelle colonie. E' avvenuto a Cagliari e a Porto Torres con l'intervento delle forze occupanti. Gli indigeni, quando cercano ascolto nell'opinione pubblica del Continente, sono recintati come bestie e manganellati il giusto come a Civitavecchia. La Sardegna, alla stregua di ogni colonia o protettorato che si rispetti, ha un governatore indigeno collaborazionista, Cappellacci, che esegue gli ordini dell'occupante. La colonia è luogo di svago per i suoi padroni italiani, è consuetudine che vi costruiscano ville faraoniche in cui soggiornano con le loro favorite e invitino importanti ospiti stranieri. Il segreto del successo dell'occupazione italiana risiede nella negazione dell'occupazione stessa. L'Italia porta lavoro e in cambio non chiede nulla. Solo l'anima sarda e il futuro di questa straordinaria gemma del Mediterraneo. Forza Paris!
Intervista a Stefano Deliperi da Porto Torres, Sardegna
Sono Stefano Deliperi, responsabile dell’Associazione ecologista Gruppo Intervento Giuridico, una Onlus che si occupa di difendere l’ambiente utilizzando lo strumento del diritto. Utilizziamo leggi, norme per difendere i valori ambientali del territorio, operiamo ormai in tutta Italia. Abbiamo iniziato dalla Sardegna ma stiamo lavorando un po’ dappertutto.
Il disastro ambientale di Porto Torres (espandi.jpg espandi | comprimi.jpg comprimi)
A noi si rivolgono soprattutto cittadini, comitati locali, altre associazioni ambientaliste, molte volte anche amministrazioni pubbliche che chiedono aiuto per affrontare i problemi ambientali.
La dinamica dell’incidente, per quello che è stato possibile capire, è stata di una banalità estrema.

Il minimalismo della Prestigiacomo, ministro dell'Ambiente (espandi.jpg espandi | comprimi.jpg comprimi)
Ora a distanza di settimane non abbiamo avuto una risposta definitiva, le azioni di ripristino previste dal Codice dell’ambiente e le azioni risarcitorie previste dal Codice dell’ambiente hanno competenze ben precise, dal Ministero dell’ambiente a tutti gli enti territoriali. Abbiamo invece visto tanti volontari impegnarsi per la raccolta,
(dal blog di Beppe Grillo)
Cagliari:
Criminal profiling
Si è tenuto il 19 febbraio, nell’hotel Mediterraneo, un Corso base di criminal profiling curato dal prof. Marco Strano e dalla dott.ssa Marianna Chessa. Cos’è il criminal profiling? In estrema sintesi si può definire come l’insieme delle tecniche di supporto in una determinata indagine investigativa. Le origini del criminal profiling derivano dalla letteratura. Si fanno infatti risalire alle opere degli scrittori Edgar A. Poe e A.Conan Doyle i primi, innovativi, ragionamenti sul modo di eseguire determinate indagini per scoprire gli autori dei delitti, mentre sul piano accademico-scientifico si cita Cesare Lombroso e, in tempi recenti, il LAPD (Los Angeles Police Department) e la BSU (Behavioral Science Unit) dell’FBI Training Academy.
Marco Strano, Psicologo e Criminologo è considerato uno dei maggiori esperti del mondo di Psicologia investigativa e criminal profiling. Funzionario di Polizia (Direttore Tecnico Capo Psicologo) è DirigenteNazionale del Sindacato di Polizia CONSAP, con l'incarico di responsabile della ricerca Scientifica e della formazione.In Italia è docente di Psicologia Investigativa e Criminal Profilingall'Università degli Studi di Palermo. Marianna Chessa, Psicologa e Criminologa. È iscritta all'Ordine degli Psicologi della Sardegna e si è specializzata in Criminologia Forense con una tesi sulle Sette Sataniche e la criminalità. Responsabile della sede ICAA in Sardegna e dell'attività formativa, oltre che dello sportello antistalking.
L’Associazione ICAA (International Crime Analysis Association) è una associazione no-profit con sede a Roma e sedi operative in varie città italiane ed estere, che svolge attività di studio in aree tematiche psicologico-giuridiche e criminologiche, con particolare attenzione alle forme criminali emergenti. L’ICAA riunisce, come associati, studiosi ed operatori internazionali del settore criminologico, provenienti in prevalenza dal mondo investigativo, accademico e professionale. Il sodalizio attualmente annovera nel mondo più di 3500 soci, molti dei quali appartenenti alle forze di polizia italiane ed estere nonché al mondo accademico e professionale. Collabora con la BSU dell’FBI di Quantico, con la Vancouver Police, con La Polizia Portoghese, con diverse Crime Scene Unit statunitensi e con diverse prestigiose società scientifiche internazionali. Dal 1978 il criminal profiling acquisisce lo status di tecnica investigativa di supporto. Il profilo psicologico è stato definito in diversi modi. Le varie definizioni sottendono però un concetto comune: l’offender (chi commette un crimine) durante la perpetrazione del proprio crimine esibisce un determinato modello di comportamento, l’individuazione e lo studio di questo modello permette di inferire alcune caratteristiche dell’autore del crimine. Pertanto, un’adeguata interpretazione della scena del delitto può indicare il tipo di persona che ha commesso il reato. Il principale obiettivo del criminal profiling è dunque quello di fornire agli investigatori informazioni specifiche che agevolino l’identificazione e la cattura di criminali sconosciuti. La sua finalità dichiarata è quindi quella di ridurre la rosa dei sospetti, inizialmente molto ampia, mantenendo all’interno della rosa solo gli individui con caratteristiche specifiche.
Il seminario è stato seguito da un foltissimo pubblico, costituito in prevalenza da giovani. Per 26 marzo è programmato un livello avanzato del  seminario sul criminal profiling.

Gian Paolo Marcialis


venerdì 25 febbraio 2011

Berlusconi show: bunga bunga è la mia visione di vita

Durante la conferenza stampa per la presentazione della fondazione dedicata a Franco Zeffirelli, Berlusconi afferma ridendo e scherzando che "anche la sinistra voleva venire al bunga bunga" perché "conquistata a questa mia visione della vita".

Mentre Gheddafi afferma in Piazza Verde a Tripoli: "Questo è il popolo che ha fatto inginocchiare l'Italia, la rivoluzione ha fatto inginocchiare l'Italia, abbiamo costretto l'Italia a pagarci l'indennizzo per la colonizzazione" e in Aula a Montecitorio il Presidente della Camera Gianfranco Fini dà ragione, ironicamente, a Fabrizio Cicchitto affermando gravemente che "la situazione è istituzionalmente insostenibile", il premier Silvio Berlusconi rideva e scherzava sul bunga bunga. Il processo che lo vede indagato per concussione e prostituzione minorile, e che avrà inizio il prossimo 6 aprile, non sembra preoccupare il Presidente del Consiglio, nonostante tutto il mondo sia rimasto scioccato dal fatto che Berlusconi non abbia neanche minimamente pensato a dimettersi, per il bene e per l'immagine dell'Italia. Durante la conferenza stampa per la presentazione della fondazione dedicata a Franco Zeffirelli, l'inviato di Ballarò chiede a Silvio Berlusconi: "Si sente nelle condizioni di governare bene?" "Credo che nessuno possa governare meglio di me" risponde il premier tra l'ilarità generale, le risate di Renata Polverini, governatore del Lazio, e l'imbarazzo di Gianni Letta, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, che cerca di riportare la discussione al tema iniziale. Ma Silvio Berlusconi, forse anche incoraggiato dal clima scherzoso che sembrava regnare in sala stampa, nonostante la domanda fosse non solo del tutto legittima ma oltremodo seria, continua: "Lei sa che oggi sono entrato in Parlamento - spiega al giornalista di Ballarò - e anche la sinistra voleva venire al bunga bunga, in coro hanno tutti citato il bunga bunga". Immediatamente però Silvio Berlusconi precisa: "Che poi sa cosa vuol dire: andiamo a divertirci, andiamo a ballare, andiamo a bere qualcosa". Naturalmente un Sanbìtter, sottolineerebbe qualche malizioso ricordando la descrizione della "sala del bunga bunga" fatta da Ruby Rubacuori agli inquirenti (Ruby Rubacuori, Berlusconi e la sala del bunga bunga - http://tinyurl.com/697uof5). "Quindi anche la sinistra è stata conquistata a questa mia visione della vita, che è tanto lavoro ma che è anche..." conclude Silvio Berlusconi ridendo di gusto mentre Gianni Letta lo interrompe invitando saggiamente anche il Presidente a ritornare "al tema".
Deborah Nardinelli

giovedì 24 febbraio 2011

dal sito Cado in piedi

PROCESSO A PORTE CHIUSE

di Giorgio Meletti 
24 Febbraio 2011
Gli imputati per la morte di 3 operai nelle raffinerie dei Moratti scelgono il rito abbreviato
Il processo per la morte dei 3 operai che il 26 maggio 2009 sono rimasti asfissiati dall'azoto puro dentro una cisterna della Saras, la raffineria in Sardegna della famiglia Moratti, si svolgerà con tutta probabilità a porte chiuse.
È quello che è emerso la settimana scorsa dall'udienza preliminare che si è svolta davanti al giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Cagliari, quando si è appreso che con tutta probabilità i 5 imputati saranno giudicati col rito abbreviato.
Il rito abbreviato per definizione si svolge a porte chiuse, è una camera di Consiglio in cui lo stesso giudice dell'udienza preliminare, anziché rinviare gli imputati davanti a un Tribunale che li giudichi, decide sulla base della documentazione, degli atti processuali prodotti fino a quel momento, sull'innocenza, la colpevolezza e semmai sulla pena da dare a chi viene condannato.
Questo meccanismo giuridico può sembrare strano a chi non conosce le sfumature del diritto penale, ma è assolutamente normale. Di fronte alla giustizia, gli imputati, anche quelli (come in questo caso) accusati di omicidio colposo plurimo, hanno il diritto di chiedere un giudizio veloce e a porte chiuse. Anche perché prima dell'udienza preliminare i 5 imputati ( fra cui il direttore generale della Saras, Dario Scaffardi, e Francesco Ledda, presidente della Comesa, la cooperativa metalmeccanica che svolgeva lavori in appalto dentro la raffineria per la quale i 3 operai lavoravano) hanno risarcito le famiglie delle 3 vittime, dando loro il massimo delle cifre previste dalle tabelle specifiche del Tribunale per questi casi. In totale alle 3 famiglie sono andati circa 5 milioni di euro e questo fa sì che il processo non solo si svolga a porte chiuse, ma anche praticamente senza parti civili. Dico praticamente perché è possibile che prima che si arrivi alla Camera di Consiglio del giudizio del rito abbreviato, la Cgil riesca a ottenere la costituzione come parte civile.
Se ciò non accadesse si avrebbe un risultato piuttosto curioso: uno degli incidenti sul lavoro più gravi e clamorosi degli ultimi anni che ha come esito giudiziario una sentenza emessa dopo una breve discussione a porte chiuse senza neanche parti civili.
Questo fa parte dei diritti della difesa, fa parte della nostra civiltà giuridica e chi vorrà sapere qualcosa di più su come sono andate effettivamente le cose, su come sia possibile in un'azienda di tali dimensioni, di tale lignaggio, che 3 operai finiscano dentro una cisterna satura di azoto puro, dove muoiono in pochi secondi senza che ci fosse neanche un cartello per avvisarli che forse era meglio non entrare lì dentro, dovrà attendere il verdetto dei giudici. Chi vorrà conoscere i dettagli su come sono andate le cose in questa triste storia di morti bianche, non potrà fare altro che aspettare la sentenza e poi andarsi a leggere le carte processuali dove i fatti vengono raccontati e ricostruiti con una certa precisione. Precisione riscontrata nella ricostruzione degli eventi fatta dalla Procura che ha portato alla richiesta di rinvio a giudizio di questi 5 manager. Questi ultimi probabilmente ritengono inevitabile una condanna, anche se questa può sembrare solo un'illazione. Ma normalmente chi si aspetta una condanna, chiede il rito abbreviato che consente di chiudere la faccenda lontano dall'attenzione dei mass media e avendo diritto anche a un significativo sconto di pena.

I miei libri (4)
I miei libri (3)
Miei libri (2)
Miei libri (1)

Bibliografia di testi sulla Palestina

Libri in italiano: letteratura

A.A.V.V., Palestina Terra ancora promessa, Como Solidarietà Internazionale, Milano 1999.
Naj al-Ali, No al silenziatore, TraccEdizioni, Livorno 1994.
P. Blasone e T. Di Francesco, La terra più amata. Voci della letteratura palestinese, Il Manifesto, Roma 1988.
Mahmud Darwish, Una memoria dell'oblio, Jouvence Editore, Roma, 1997.
Ouzi Dekel, Sui muri di Jabalya - Cronache di un campo di rifugiati palestinesi, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2002.
Tawfiq Fayyad, Selim lo scemo, Edizioni Rispostes, Salerno 1990.
Giabra Ibrahim Giabra, La nave, Jouvence Editore, Roma 1994.
Randa Ghazy, Sognando Palestina, Contrasti - Fabbri Editori, Milano 2002.
Emile Habibi, Sestina dei sei giorni, Edizioni Rispostes, Salerno 1990.
Emile Habibi, Peccati dimenticati, Marsilio editore, Venezia 1997.
Hassan Itab, La tana della iena, Edizioni Sensibili alle Foglie, Roma 1991.
Ghassan Kanafani, Ritorno a Haifa. La madre di Saad, Edizioni Ripostes, Salerno 1985.
Ghassan Kanafani, Se tu fossi un cavallo, edizioni Jouvence, Roma 1993.
Ghassan Kanafani, E. Habibi e T. Fayyad, Palestina, tre racconti, Edizioni Ripostes, Salerno 1984.
Ghassan Kanafani, E. Habibi e M.Bsisu, Palestina, dimensione teatro, Edizioni Ripostes, Salerno 1985.
Ghassan Kanafani, Uomini sotto il sole, Sellerio editore, Palermo 1991.
Sahar Khalifah, La svergognata. Diario di una donna palestinese, Giunti editore, Firenze 1989.
Sahar Khalifah, La porta della piazza, Jouvence editore, Roma 1994.
Sahar Khalifah, Terra di fichi d'India, Jouvence Editore, Roma 1996.
Mohammed Lamsouni, Intifada poesia araba contemporanea, Prospettiva editrice, Roma 2003.
Ahmed Qatamesh, Non metterò il vostro cappello. Diario dalle stanze di interrogatorio israeliane, Edizioni della battaglia, Palermo 1998.
Joe Sacco, Palestina Reportage a fumetti, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2002.
Edward W. Said, Sempre nel posto sbagliato - Autobiografia, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 2000.
Ibrahim Sousse, Lontano da Gerusalemme, Tranchida Editori, Milano 1994.
 Ibrahim Sousse, Le rondini di Gerusalemme, Giovanni Tranchida Editore, Milano 1997.

Libri in italiano: Storia, società

A.A.V.V., Israele senza confini. Politica estera e territori occupati, Sapere 2000, Roma 1984.
A.A.V.V., Nakba. L'espulsione dei palestinesi dalla loro terra, Fondazione Lelio Basso, Roma 1987.
A.A.V.V., Guevara Gaza - la compagna Widad – la lotta palestinese, Edizioni della battaglia, Palermo 1996.
Alessandra Antonelli, Sposata a un palestinese. Vivere nella terra dell'Intifada, Paoline editrice, Milano 2003.
A. Arioli, La lezione negata. Palestina e palestinesi nei libri di testo, Fondazione internazionale Lelio Basso, Roma 1986.
Roberto Balducci, La bomba Hamas, Datanews editrice, Roma 1999.
P.Barbieri e M. Musolino, Barghouti, il Mandela palestinese, Datanews, Roma 2005.
Xavier Baron, I Palestinesi - Genesi di una nazione, Baldini & Castaldi, Milano 2002.
Fabio Beltrame, Palestina ai palestinesi, Prospettiva edizioni, Roma 1997.
Mario Capanna, Arafat, Rizzoli editore, Milano 1989.
Pietro Citati, Israele e l'Islam. Le scintille di Dio, Mondadori editore, Milano 2003.
Andrew e Leslie Cockburn, Amicizie pericolose - Storia segreta dei rapporti tra Stati Uniti e Israele, Gamberetti Editrice - Roma, 1993
Giovanni Codovini, Storia del conflitto arabo israeliano palestinese, Paravia Bruno Mondadori Editori, Milano 2000.
Collettivo Redazionale Posse, Diario palestinese -Diplomazia dal basso contro la guerra globale, Manifestolibri, Roma 2002.
Tano D'Amico, Gerusalemme -Immagini, Prospettive Edizioni, Roma 2000.
Paola De Giorgis, L'intifadah palestinese. I diritti violati in Israele, Arte Tipografica Editrice, Napoli 2002.
Dale F. Eickelman, Popoli e culture del Medio Oriente, Rosenberg & Sellier, Torino 1993.
Nicoletta Flora, Le pietre dell'Intifada, Rubbettino editore, Messina 1995.
Nicoletta Flora, I sicomori di Gaza, Prospettiva Edizioni, Roma 1998.
Robert Gaillot, Momo Palestina, Editoriale Jaca Book, Milano 2002.
Johan Galtung, Palestina-Israele. Una soluzione nonviolenta?, Sonda editrice, Torino 1989.
Jean Genet, Quattro ore a Shatila, Gamberetti Editrice, Roma 2001.
Jean Genet, Palestinesi, Redazione Stampa Alternativa, Roma 2002.
Giabra Ibrahim Giabra, I pozzi di Betlemme, Jouvence Società Editoriale, Roma 1997.
Andrew Gowers e Tony Walker, Yasser Arafat e la rivoluzione palestinese - Dalla nascita di Al-Fatah alla storica stretta di mano di Washington, Gamberetti Editrice, Roma 1994.
Marco Grazia, Emergenza Palestina. Diario della seconda Intifada, Prospettiva edizioni, Roma 2001.
Alan Gresh, Storia dell'Olp, Edizioni Associate, Roma 1988.
L. Guazzone, Fabbricanti di terrore. Discriminazioni antiarabe nella stampa italiana, Sapere 2000, Roma 1986.
Rania Hammad, Palestina nel cuore, Sinnos Editrice, Roma 1998.
Alan Hart, Arafat, terrorista o pacifista?, Frassinelli editore, Milano 1985.
Yoram Kaniuk, Confessioni di un arabo buono, Theoria editrice, Roma 1997.
Amnon Kapeliouk, Sabra e Chatila - Inchiesta su un Massacro, Editrice C.R.T. Pistoia, 2002.
Stefania Limiti, I fantasmi di Sharon - Il massacro dei palestinesi nei campi di Sabra e Shatila, 16-18 settembre 1982, Sinnoseditrice, Roma 2002.
Ada Lonni, Dal conflitto alla pace - Scuola e democrazia nella terra di Abramo, Edizioni dell'Orso, Alessandria 2001.
Ada Lonni, Fra muri e check points, L'Harmattan Italia, Torino 2006.
Massimo Massara, La terra troppo promessa, Teti Editore, Milano 1979.
Helmut Mejcher, Sinai, 5 giugno 1967. Il conflitto arabo-israeliano, Il Mulino, Bologna 2000.
Benny Morris, Vittime - Storia del conflitto arabo-sionista 1881-2001, RCS Libri, Milano 2002.
Marisa Musu ed Ennio Polito, I bambini dell'Intifada, Editori Riuniti, Roma 1991.
Federico Nicolini, La Palestina ottomana (1839-1922). Nascita di un conflitto, Firenze Atheneum, Firenze 1990.
Giancarlo Paciello, Quale processo?, Editrice CRT, Pistoia 1998.
Giancarlo Paciello, La nuova Intifada, Editrice C.R.T. Pistoia 2001.
Daniela Palumbo, Diario di giorni senza pace, Paoline editrice, Milano 2003.
Rita Poreno, Il giorno che a Beiruth morirono i panda. 1982, gli ultimi giorni dell'assedio israeliano nel racconto di una testimone oculare, Gamberetti Editrice, Roma 1993.
Edoardo Pusillo e Francesco Mazza Galanti, Cucciolo di leone - Biografia di un giovane Fedayn, Franco Angeli, Milano 2000.
Maxime Rodinson, Israele e il rifiuto arabo, Einaudi editore, Torino 1969.
Edward W. Said, La questione palestinese, Gamberetti editrice, Roma 1995.
Edward W. Said, Fine del processo di pace -Palestina/Israele dopo Oslo, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 2002.
Salwa Salem, Con il vento nei capelli. Vita di una donna palestinese, Giunti editore, Firenze 1993.
Patrick Seale, Una pistola in vendita-I mille volti del terrorismo internazionale – Abu Nidal, Gamberetti
Editrice, Roma 1994
B. Abu-Sharif - U. Mahnaimi, Il mio miglior nemico. Israele-Palestina. Dal terrore alla pace, Sellerio Editore, Palermo 1996.
Guido Valabrega, Medio Oriente, Marzorati editore, Milano 1980.
Alberto Zoratti, A mani nude -Missione di pace a Ramallah, Fratelli Frilli Editori, Genova 2002.

Libri in inglese

William W. Baker, More in Common Than You Think: The Bridge Between Islam & Christianity.
Ramzy Baroud (preface by Noam Chomsky), Searching Jenin.
Yoram Binur, My enemy, my self, Doubleday, London 1989.
Kathleen Christison, Perceptions of Palestine: Their Influence on U.S. Middle East Policy.
Ron David, Arabs & Israel for Beginners.
Samih K. Farsoun, Palestine and the Palestinians.
J. J. Goldberg, Jewish Power.
Ghassan Kanafani, Like Roses in the Wind Self Portraits and Thoughts.
Marwan Abu Khalaf, Islamic Art Through The Ages.
Nancy E. Krulik and Gerald Scarfe The truth at last.
Benny Morris, The Road to Jerusalem: Glubb Pasha, Palestine, and the Jews.
Khaled H. Nusseibeh, Gates of Beauty Middle Eastern Poetry.
Mary Eliza Rogers, Domestic Life In Palestine.
Edward Said, Out of Place.
Edward Said, After the last sky. Palestinian Lives, Vintage, London 1986.
Yasir Suleiman, A War of Words.

mercoledì 23 febbraio 2011

Allarme Libia!
Le forze armate della Libia stanno usando mitragliatrici e caccia da combattimento contro i manifestanti pro-democrazia: migliaia di loro sono stati ammazzati e senza un'azione internazionale immediata la repressione potrebbe tramutarsi in un bagno di sangue nazionale.

L'Unione europea e il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si sono riuniti d'emergenza sulla Libia. Hanno condannato la violenza, ma se riusciremo a farli passare dalle parole ai fatti, affinché si accordino per istituire una zona di non sorvolo sulla Libia, il congelamento dei beni di Gheddafi e dei suoi generali, sanzioni mirate contro il regime e l'avvio di un procedimento presso i tribunali internazionali per tutti gli ufficiali militari coinvolti nella repressione, ciò potrebbe fermare i bombardamenti aerei e dividere la struttura di comando di Gheddafi.

Non abbiamo tempo da perdere: le persone in Libia sono massacrate dal loro stesso governo. Clicca per mandare un messaggio direttamente a tutti i delegati del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, ai Ministri degli esteri dell'UE e all'Alto Rappresentante dell'UE per fermare la violenza, e fai il passaparola con tutti. Sproniamo l'ONU e l'UE ad agire ora inondandoli di messaggi:

http://www.avaaz.org/it/libya_stop_the_crackdown_eu/?cl=955834656&v=8463

Il colonnello Gheddafi ha comandato il paese da tiranno per 42 anni, senza parlamento né costituzione. E' il dittatore più longevo di tutta l'Africa e del Medio Oriente. Nessun giornalista straniero è potuto entrare in Libia, e il governo ha chiuso internet e la rete dei telefoni cellulari nel tentativo di nascondere la brutale violenza in corso. Ma i manifestanti, che chiedono il cambiamento del regime e i diritti fondamentali, dicono che migliaia di persone sono ancora per le strade nonostante migliaia di loro siano state massacrati. Il commissario ONU per i diritti umani Navi Pillay ha detto che gli attacchi da parte del governo "potrebbero essere considerati crimini contro l'umanità".

Sconvolti dalle atrocità, i diplomatici libici e alcuni alti comandanti dell'esercito hanno già disertato dal regime. Sia il Consiglio di Sicurezza dell'ONU che l'UE hanno chiesto la cessazione immediata della violenza, ma nessuno dei due finora ha agito. Se l'UE e l'ONU alzassero la pressione su Gheddafi e la sua corte - confiscando le loro ricchezze e minacciando di processarli - quelli che ora danno l'ordine di uccidere potrebbero ripensarci e fermare il bagno di sangue.

Il Consiglio di Sicurezza dell'ONU si tiene ora in Brasile, un governo fortemente impegnato nei diritti umani nei confronti del quale Avaaz ha costruito una reputazione solida di impegno e attivismo. Non ci rimane molto tempo per convincere l'ONU e l'UE: inondiamo le loro e-mail di messaggi da tutto il mondo! Invia un messaggio e fai il passaparola con tutti i tuoi amici e la tua famiglia:

http://www.avaaz.org/it/libya_stop_the_crackdown_eu/?cl=955834656&v=8463

Le persone in Libia vengono ammazzate perché chiedono libertà, salute, educazione e un salario decente: bisogni primari che tutti noi condividiamo. Oggi alziamo le nostre voci da ogni angolo del mondo come comunità globale per condannare questi massacri vergognosi e insieme agiamo per fermare il bagno di sangue e sostenere il giusto appello al cambiamento dei libici. 

Con speranza e determinazione,

Alice, Ricken, Pascal, Graziela, Rewan e tutto il team di Avaaz

FONTI

Libia, commissario Onu: necessaria inchiesta crimini contro l'umanità
http://www.adnkronos.com/IGN/News/Esteri/Libia-commissario-Onu-necessaria-apertura-inchiesta-crimini-umanita_311719265270.html

"In Libia diecimila morti e cinquantamila feriti". A Tripoli si scavano le fosse comuni
http://www.corriere.it/esteri/11_febbraio_23/libia-cronaca_1938f84a-3f45-11e0-ad3f-823f69a8e285.shtml

UE, ONU e USA a Gheddafi: "Basta violenze":
http://www.ilgiornale.it/esteri/ue_e_onu_gheddafi_basta_violenze/politica-libia-gheddafi-proteste-ue-onu-violenza-genocidio/21-02-2011/articolo-id=507460-page=0-comments=1

Aggiornamenti in diretta sulla Libia su Repubblica e BBC:
http://www.repubblica.it/esteri/2011/02/23/dirette/libia_23_febbraio-12794693/?ref=HREA-1
http://www.bbc.co.uk/news/world-middle-east-12307698


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Italia primo fornitore europeo di armi alla Libia.
L’Italia non solo è uno dei principali partner commerciali della Libia, ma è il maggiore esportatore europeo di armamenti al regime di Gheddafi. I Rapporti dell’Unione europea sulle esportazioni di materiali e sistemi militari (qui l'ultimo rapporto e un'analisi) certificano che nel biennio 2008-2009 l’Italia ha autorizzato alle proprie ditte l’invio di armamenti alla Libia per oltre 205 milioni di euro che ricoprono più di un terzo (il 34,5%) di tutte le autorizzazioni rilasciate dall’UE (circa 595 milioni di euro). Tra gli altri paesi europei che nel recente biennio hanno dato il via libera all’esportazione di armi agli apparati militari di Gheddafi, figurano la Francia (143 milioni di euro), la piccola Malta (quasi 80 milioni di euro), la Germania (57 milioni), il Regno Unito (53 milioni) e il Portogallo (21 milioni).
A differenza dei colleghi europei, il ministro degli Esteri Frattini si è guardato bene dal dichiarare anche solo la sospensione temporanea dei rifornimenti di armi a Gheddafi. Eppure da quando sono iniziate le manifestazioni di piazza in diversi paesi del nord Africa non sono mancate le dichiarazioni in tal senso delle principali cancellerie europee.
Ha cominciato la Francia annunciando la sospensione dell’invio all’Egitto non solo di sistemi militari ma anche di ogni materiale esplosivo o destinato al controllo dell’ordine pubblico tra cui i gas lacrimogeni. Ha proseguito la Germania dichiarando l’interruzione delle forniture di armi verso l'Egitto manifestando specifiche “preoccupazioni per le violazioni dei diritti umani nella risposta alle proteste” da parte delle forze dell’ordine vicine al presidente Mubarak. Il 17 febbraio la Francia ha quindi esteso lo stop alla vendita di armi anche al Bahrain e alla Libia. E lo stesso Foreign Office britannico, inizialmente poco propenso ad ammettere l’uso di armi inglesi contro la popolazione a Manama, il giorno successivo ha revocato numerose autorizzazioni all’esportazione di armi in Bahrain e Libia. Tra i principali esportatori europei di armamenti solo l’Italia tace.
Eppure non sono mancate le sollecitazioni. Dopo i primi tumulti nei paesi del nord Africa, Rete Disarmo e la Tavola della pace avevano chiesto esplicitamente al Governo italiano di sospendere ogni forma di cooperazione militare con Algeria, Egitto e Tunisia e di fatto con tutti i paesi dell’area. Simili richieste sono state inoltrate dalle associazioni pacifiste in Germania, in Francia e nel Regno Unito. I cui governi, inizialmente refrattari, hanno dovuto rispondere all’opinione pubblica. Solo il ministro Frattini è sordo ad ogni sollecitazione.
Non sono certo bruscolini gli affari in armi delle industrie militari italiane con il colonnello Gheddafi a cominciare da quelle controllate Finmeccanica. La holding italiana è partecipata per la quota di maggioranza (il 32,5%) dal Ministero dell’Economia, ma ha come secondo azionista proprio la Lybian Investment Authority (LIA), l’autorità governativa libica che detiene una quota del 2,01%: quota che Gheddafi mira ad espandere fino al 3% del capitale per imporre nel consiglio di amministrazione alcuni dei suoi uomini fidati e che comunque già adesso le permetterebbe di eleggere fino a quattro delegati.
Da quando nel 2004 l’Unione europea ha revocato l’embargo totale alla Libia, le esportazioni di armamenti italiani al regime del colonnello Gheddafi hanno visto un crescendo impressionante. Si è passati dai poco meno di 15 milioni di euro del 2006 ai quasi 57 milioni del 2007. Ma è soprattutto nell’ultimo biennio – anche a seguito del “Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra Italia e Libia” firmato a Bengasi nell’agosto del 2008 dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e dal leader della Rivoluzione, Muammar El Gheddafi – che le esportazioni di armamenti italiani verso le coste libiche hanno preso slancio. L’articolo 20 del Trattato prevede infatti “un forte ed ampio partenariato industriale nel settore della Difesa e delle industrie militari”, nonché lo sviluppo della “collaborazione nel settore della Difesa tra le rispettive Forze Armate”. Si è cominciato quindi con 93 milioni di euro nel 2008 e proseguito nel 2009 con quasi 112 milioni di euro che fanno oggi dell’Italia il principale fornitore europeo – e probabilmente mondiale – di armi al colonnello Gheddafi.
Le asettiche Relazioni della Presidenza del Consiglio sulle esportazioni militari degli ultimi anni parlano di generici “aeromobili” (Rapporto 2006, Tabella P.), “veicoli terrestri” e ancora “aeromobili” (Rapporto 2007, Tabella 18), ma poi anche di “bombe, siluri,razzi, missili e accessori” e “apparecchiature per la direzione del tiro” e i soliti “aeromobili” (Rapporto 2008, Tabella 15) e più di recente anche di tutto quanto sopra con l’aggiunta di sempre generiche “apparecchiature elettroniche” e “apparecchiature per la visione di immagini” (Rapporto 2009, Tabella 15).
Spulciando le più corpose Relazioni annuali si scopre qualcosa di più: nel 2006 è stata autorizzata l’esportazione a Tripoli di due elicotteri AB109 militari dell’Agusta del valore di quasi 15 milioni di euro. Nel 2007 sempre l’Agusta ha incassato 54 milioni di euro per l’ ammodernamento degli aeromobili CH47. Nel 2008 è stato dato il via libera per l’esportazione di otto elicotteri A109 per 59,9 milioni di euro sempre dell’Agusta e all’Alenia Aeronautica per un aeromobile ATR42 Maritime Patrol del valore di 29,8 milioni di euro. Nel 2009 altri due elicotteri AW139 dell’Agusta per circa 24,9 milioni di euro e quasi 3 milioni per “ricambi e addestramento” per velivoli F260W della Alenia Aermacchi, ma anche una autorizzazione alla MBDA Italiana, azienda leader a livello mondiale nei sistemi missilistici, per materiali di cui non si rintraccia l’autorizzazione (se non il numero: MAE 18160) del valore di 2.519.771 euro.
Non sembrino poca cosa i poco più di 2,2 milioni di euro e per “ricambi e addestramento” dei velivoli F260W della Alenia Aermacchi: la Libia infatti possiede circa 250 aerei F260W, “un numero spropositato, anche considerando che si tratta del modello armabile” – notano gli analisti. “Questi velivoli in origine Siai Marchetti, che in Europa vengono utilizzati come addestratori, ma che in Africa e America latina sono spesso impiegati come bombardieri, sono stati venduti all'Aeronautica libica negli anni Settanta. Ne erano stati acquistati 240, oggi non si sa quanti siano in servizio. Nel 2006 un certo numero di questi velivoli sono stati ceduti alle forze armate ciadiane che li hanno utilizzati per bombardare i ribelli sulle frontiere con il Sudan” – ricorda Enrico Casale.
Nella sua approfondita inchiesta sulle esportazioni di armamenti italiani alla Libia dal titolo “Roma-Tripoli: compagni d’armi”, il giornalista del mensile Popoli, evidenzia inoltre che Finmeccanica e la Libyan Investment Authority hanno stretto ulteriormente i loro rapporti il 28 luglio 2009 con un nuovo accordo: si tratta di un’intesa generale attraverso la quale la holding di piazza Montegrappa e il fondo sovrano si impegnano a creare una nuova joint-venture (con capitale di 270 milioni di euro) attraverso la quale gestiranno gli investimenti industriali e commerciali in Libia, ma anche in altri Paesi africani. Il primo frutto è stato un accordo siglato da Selex Sistemi Integrati, società controllata da Finmeccanica, e dal governo libico: un contratto, del valore di 300 milioni di euro, che prevede la creazione di un sistema di “protezione e sicurezza” dei confini meridionali della Libia per frenare l'immigrazione.
Forse anche per questo il ministro Frattini è in difficoltà ad intervenire quando sente parlare di sanzioni contro il leader libico. Gli andrebbe ricordato che la legge 185 del 1990 e la Posizione Comune dell’Unione europea sulle esportazioni di armamenti chiedono di accertare il “rispetto dei diritti umani nel paese di destinazione finale e il rispetto del diritto internazionale umanitario da parte di detto paese” e di rifiutare le esportazione di armamenti “qualora esista un rischio evidente che la tecnologia o le attrezzature militari da esportare possano essere utilizzate a fini di repressione interna”.
Proprio per evitare questo tipo di utilizzo, Francia, Germania e Regno Unito hanno deciso nei giorni scorsi di sospendere le esportazioni militari a diversi paesi tra cui la Libia. Il ministro degli Esteri italiano, invece tace. Che sia all’oscuro delle dichiarazioni dei suoi colleghi?
Intanto il ministro della Difesa, La Russa conferma da Abu Dhabi che la nave della marina militare Elettra è stata mobilitata per far fronte alla emergenza creata dalla crisi in Libia. La Russa si trova negli Emirati Arabi per una non ben specificata (dai media italiani) “visita ufficiale”. Guarda caso proprio nell’emirato dove è in corso l’International Defence Exhibition and Conference (IDEX 2011), “il più grande salone espositivo su difesa e sicurezza nel Medio Oriente e nel Nord Africa”. Al quale non potevano mancare tutte le maggiori industrie italiane di armamenti. Specialmente Finmeccanica che ha realizzato "un padiglione all'avanguardia in linea con i principi espressi nel suo Rapporto di sostenibilità". E per cercare nuovi acquirenti in un’area che è sicuramente di "interesse strategico" adesso che diversi dittatori sono in bilico.