di Alberto Maggi
Fin dall'inizio della sua attività, Gesù ha avuto come accaniti avversari gli scribi e i farisei.
Chi erano costoro, e come mai detestavano tanto Gesù, al punto da volerne la morte?
Provenienti per lo più dalle file dei farisei, gli scribi erano laici che, dopo una severa selezione e un lunghissimo periodo di preparazione e di studio, ricevevano, attraverso l'imposizione delle mani, lo spirito di Mosè (Nm 11,16-17). Da quel momento erano considerati legittimi successori dei profeti, custodi del testo sacro e teologi ufficiali dell'istituzione religiosa giudaica.
Gli scribi erano i soli che avevano la competenza e l'autorità giuridica per interpretare la Legge divina; il loro magistero era reputato espressione della volontà di Dio, e le loro parole le stesse del Signore. Le loro sentenze erano considerate infallibili: ubbidire a loro era come ubbidire a Dio.
L'importanza degli scribi in Israele era tale che essi godevano di un prestigio maggiore di quello del sommo sacerdote e dello stesso re, perché si diceva che Dio «sulla persona dello scriba pone la sua gloria» (Sir 10,5), e nella Bibbia così veniva elogiato il ruolo dello scriba: «Svolge il suo compito fra i grandi, lo si vede tra i capi [...]. Egli non sarà mai dimenticato; non scomparirà il suo ricordo, il suo nome vivrà di generazione in generazione» (Sir 39,4.9).
I farisei erano pii laici che attendevano la venuta del regno di Dio e, per accelerarne l'arrivo, s'impegnavano a osservare radicalmente e integralmente ogni singolo dettame della Legge, praticando, nella vita quotidiana, le severe regole per la purezza e la santità richieste ai sacerdoti nel limitato periodo nel quale prestavano servizio nel tempio di Gerusalemme.
Per essere certi di osservare ogni singolo dettame, regola o prescrizione della Legge, i farisei erano riusciti a individuare in essa ben seicentotredici precetti, suddividendoli in duecentoquarantotto comandamenti e trecentosessantacinque proibizioni.
LA SANTITÀ E LA COMPASSIONE
Ritenendosi la vera e santa comunità d'Israele, i farisei evitavano di mescolarsi con le persone che non mostravano lo stesso zelo nell'osservare la Legge. Il loro stile di vita, non praticabile dalla maggioranza del popolo, li separava dal resto della gente, da qui il termine “farisei”, che significa appunto “separati/appartati”.
Era soprattutto al gruppo dei farisei che appartenevano gli scribi, per cui spesso scriba e fariseo erano la stessa realtà, e Gesù nelle sue invettive più volte li accomuna: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti» (Mt 23,13).
Come mai questi cultori ed esperti conoscitori della Legge, questi zelanti devoti che ne osservavano in maniera pignola e maniacale ogni minimo precetto o dettaglio, che pregavano dal mattino alla sera e che erano considerati sante persone tra il popolo, sono gli acerrimi nemici di Gesù, il Figlio di Dio?
Il conflitto nasce dal fatto che Gesù ha parlato di Dio in un modo nuovo. Mentre il Dio degli scribi e dei farisei si rivela attraverso la sua Legge, eterna e immutabile, il Padre di Gesù si manifesta nell'amore, fedele e incondizionato.
Per scribi e farisei è sacra la Legge, per Gesù è sacro l'uomo. Mentre la Legge esclude da Dio chi non la osserva, l'amore del Padre è offerto a tutti.
Per scribi e farisei il peccato era una trasgressione della Legge e un'offesa a Dio, per Gesù il peccato è quel che offende l'uomo e lo ferisce.
Scribi e farisei si sono messi a servizio di Dio e offrono la loro vita al Signore. Gesù, Figlio di Dio, ha messo la sua esistenza a servizio degli uomini (Lc 22,27) offrendo loro la sua vita.
Il percorso degli scribi e dei farisei e quello di Gesù è pertanto opposto, perché diverso è il loro concetto di Dio, e quindi sono destinati a non incontrarsi mai e a scontrarsi sempre.
Scribi e farisei per avvicinarsi sempre più al Signore si separano, di fatto, dal resto del popolo. Per loro, infatti, il Signore è nell'alto dei cieli (Dt 4,39), e per raggiungerlo occorre salire la mistica scala di Giacobbe «la cui cima raggiungeva il cielo».
Gesù è il Dio che per amore è sceso verso gli uomini, e si è fatto lui stesso uomo.
Scribi e farisei salgono, il Signore scende... e non s'incontrano mai. Anzi, a forza di salire verso il loro Dio nei cieli, scribi e farisei si allontanano sempre di più da quel Dio che si è fatto uomo.
Il paradosso è che quelli che, per il loro stile di vita e le loro devozioni, si ritengono i più vicini a Dio, di fatto sono i più lontani. Più cercano di avvicinarsi a Dio, meno lo incontrano, e quindi meno lo conoscono.
Con Gesù, Dio ha infatti assunto un volto umano e si manifesta nell'umano. Ciò significa che al di fuori di quel che è umano non è possibile fare alcuna esperienza di Dio.
Scribi e farisei, a forza di spiritualizzarsi, si sono disumanizzati: il loro sguardo, costantemente teso a scrutare il cielo, li fa diventare refrattari e insensibili ai bisogni e alle sofferenze del popolo. Interamente assorbiti dalle loro devozioni, sono indifferenti alle necessità concrete delle persone.
Il loro attaccamento alle cose celesti li fa essere distaccati da quelle terrene, tanto ardenti verso Dio quanto freddi verso i propri simili.
Per Gesù più l'individuo è umano e più manifesta il divino che è in sé. Una spiritualità che disumanizzi la persona, soffocandone la vitalità, reprimendone i sentimenti, non procede in alcuna maniera dallo Spirito del Signore. Una spiritualità del genere non solo non permette di incontrare Dio, ma lo impedisce, perché Dio può essere conosciuto e incontrato in quel che è profondamente e intensamente umano.
Per questo Gesù, nel suo insegnamento, prende radicalmente le distanze dalla spiritualità di scribi e farisei, e ritiene ormai il tempo maturo per proclamare la buona notizia del regno di Dio.
E Gesù annuncia il suo messaggio ai discepoli, proponendo loro una nuova relazione con il Padre che, se accolta, provocherà un profondo radicale mutamento nel cammino dell'umanità.
Il Dio che Gesù fa conoscere è esclusivamente buono, perché «Dio è Amore» (1Gv 4,8), e l'amore non può essere comunicato attraverso una Legge o una dottrina, ma solo mediante gesti che trasmettono vita e l'arricchiscono. Ed è questo che le folle percepiscono da Gesù, e per questo sono attratte da lui: si sentono amate come mai prima era loro capitato.
Con Gesù, il Dio che si è fatto uomo, cambia il rapporto degli uomini con il Signore. L'uomo, una volta accolto da questo amore gratuito e incondizionato, non vive più per Dio, ma di Dio, e come Gesù è spinto dallo Spirito ad alleviare le sofferenze dell'umanità. Prima di Gesù, il cammino dell'umanità era diretto verso Dio. Ma ora Dio in Gesù si è fatto uomo, c'è solo da accoglierlo e, con lui e come lui, andare verso ogni creatura.
Gesù nella sua predicazione annuncia il regno di Dio, la società alternativa che lui è venuto a inaugurare: un mondo dove alla brama di accumulare si sostituisca la gioia del condividere, al posto della frenesia del salire si scopra la libertà di scendere, e alla smania di comandare si opponga la vera grandezza, quella del servire.
Nel messaggio proclamato da Gesù, stupisce l'assenza dell'invito alla santità, caratteristica costante dell'insegnamento degli scribi. La spiritualità dell'Antico Testamento era infatti fondata sull'imperativo di Dio: «Siate santi perché io sono santo» (Lv 11,44). Mai Gesù fa suo questo invito e mai invita alcuno a essere santo.
Nel codice di santità, contenuto nel Libro del Levitico (Lv 19-24), la relazione con Dio si realizzava mediante l'accettazione di verità assolute e per questo immutabili, di norme intoccabili, di osservanze e pratiche rituali ben determinate. Questa legge di santità generava una società discriminatoria, che escludeva quanti non potevano osservare i suoi innumerevoli precetti, dividendo, di fatto, il popolo tra uomini puri e impuri, tra giusti e peccatori.
Gesù non pone come traguardo l'irraggiungibile santità di Dio, ma la sua compassione per gli uomini. Il Padre di Gesù non assorbe gli uomini, ma comunica a essi il suo Spirito, dilatando la loro capacità d'amore. È l'amore e non la Legge che può generare una società dove ognuno si senta accolto, giustificato, perdonato.
Per questo il Cristo, piena manifestazione di un «Dio che è ricco di misericordia» (Ef 2,4), propone di essere misericordiosi come il Signore è misericordioso, obiettivo a tutti accessibile, perché essere compassionevoli come il Padre significa avere come lui un amore dal quale nessuno viene escluso, e questo rientra nelle possibilità di ogni persona.
Mentre all'imperativo della santità di Dio seguiva tutta una serie di norme su ciò che era puro (e quindi permetteva la santità) e quel che era impuro (e ostacolava la santità), separando, di fatto, quanti osservavano queste regole da chi non poteva o non voleva osservarle, la pratica dell'amore e della misericordia non allontana da nessun uomo ma avvicina a tutti.
Per Gesù l'assomiglianza alla misericordia del Padre non si realizza mediante attestati di ortodossia, né attraverso l'osservanza di norme religiose, ma attraverso l'attenzione alla persona, alla dignità, al bene e al benessere degli uomini, liberandoli da ogni sofferenza e angustia.
Mentre la santità colloca al di sopra degli altri, la misericordia pone a fianco degli ultimi della società, delle persone emarginate ed escluse.
La spiritualità proposta da Gesù non centra la persona in se stessa, nella propria perfezione, nella santificazione personale, ma nel dono concreto e generoso di sé agli altri. Non la propria virtù (parola assente nei vangeli), ma la necessità altrui è quel che distingue il credente in Gesù: «Amate i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell'Altissimo; poiché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi» (Lc 6,35; Mt 5,44). Da qui l'invito a impegnarsi contro ogni forma di ingiustizia e sofferenza, per realizzare il disegno del Padre di rovesciare i potenti dai troni per innalzare gli umili, di ricolmare di beni gli affamati e di rimandare i ricchi a mani vuote.
Per ascoltare Gesù affluiscono «da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone» (Lc 6,17). Tutti sono attratti dal suo messaggio e dalla straordinaria forza che da lui usciva, capace di guarire e di ridare vita (Lc 6,19).
Cadono le barriere della razza e della religione e, nella tanto disprezzata Galilea, salgono dall'insigne Giudea, e persino dalla stessa Gerusalemme, la città santa, sede dell'istituzione religiosa. Non solo, a Gesù accorrono anche dal mondo pagano. Inizia così a delinearsi un regno i cui confini non sono limitati a Israele, ma estesi a tutta l'umanità: anche i pagani, considerati alla stregua dei rettili, sono i beneficiari dell'azione sanatrice di Gesù. (…).
Chi erano costoro, e come mai detestavano tanto Gesù, al punto da volerne la morte?
Provenienti per lo più dalle file dei farisei, gli scribi erano laici che, dopo una severa selezione e un lunghissimo periodo di preparazione e di studio, ricevevano, attraverso l'imposizione delle mani, lo spirito di Mosè (Nm 11,16-17). Da quel momento erano considerati legittimi successori dei profeti, custodi del testo sacro e teologi ufficiali dell'istituzione religiosa giudaica.
Gli scribi erano i soli che avevano la competenza e l'autorità giuridica per interpretare la Legge divina; il loro magistero era reputato espressione della volontà di Dio, e le loro parole le stesse del Signore. Le loro sentenze erano considerate infallibili: ubbidire a loro era come ubbidire a Dio.
L'importanza degli scribi in Israele era tale che essi godevano di un prestigio maggiore di quello del sommo sacerdote e dello stesso re, perché si diceva che Dio «sulla persona dello scriba pone la sua gloria» (Sir 10,5), e nella Bibbia così veniva elogiato il ruolo dello scriba: «Svolge il suo compito fra i grandi, lo si vede tra i capi [...]. Egli non sarà mai dimenticato; non scomparirà il suo ricordo, il suo nome vivrà di generazione in generazione» (Sir 39,4.9).
I farisei erano pii laici che attendevano la venuta del regno di Dio e, per accelerarne l'arrivo, s'impegnavano a osservare radicalmente e integralmente ogni singolo dettame della Legge, praticando, nella vita quotidiana, le severe regole per la purezza e la santità richieste ai sacerdoti nel limitato periodo nel quale prestavano servizio nel tempio di Gerusalemme.
Per essere certi di osservare ogni singolo dettame, regola o prescrizione della Legge, i farisei erano riusciti a individuare in essa ben seicentotredici precetti, suddividendoli in duecentoquarantotto comandamenti e trecentosessantacinque proibizioni.
LA SANTITÀ E LA COMPASSIONE
Ritenendosi la vera e santa comunità d'Israele, i farisei evitavano di mescolarsi con le persone che non mostravano lo stesso zelo nell'osservare la Legge. Il loro stile di vita, non praticabile dalla maggioranza del popolo, li separava dal resto della gente, da qui il termine “farisei”, che significa appunto “separati/appartati”.
Era soprattutto al gruppo dei farisei che appartenevano gli scribi, per cui spesso scriba e fariseo erano la stessa realtà, e Gesù nelle sue invettive più volte li accomuna: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti» (Mt 23,13).
Come mai questi cultori ed esperti conoscitori della Legge, questi zelanti devoti che ne osservavano in maniera pignola e maniacale ogni minimo precetto o dettaglio, che pregavano dal mattino alla sera e che erano considerati sante persone tra il popolo, sono gli acerrimi nemici di Gesù, il Figlio di Dio?
Il conflitto nasce dal fatto che Gesù ha parlato di Dio in un modo nuovo. Mentre il Dio degli scribi e dei farisei si rivela attraverso la sua Legge, eterna e immutabile, il Padre di Gesù si manifesta nell'amore, fedele e incondizionato.
Per scribi e farisei è sacra la Legge, per Gesù è sacro l'uomo. Mentre la Legge esclude da Dio chi non la osserva, l'amore del Padre è offerto a tutti.
Per scribi e farisei il peccato era una trasgressione della Legge e un'offesa a Dio, per Gesù il peccato è quel che offende l'uomo e lo ferisce.
Scribi e farisei si sono messi a servizio di Dio e offrono la loro vita al Signore. Gesù, Figlio di Dio, ha messo la sua esistenza a servizio degli uomini (Lc 22,27) offrendo loro la sua vita.
Il percorso degli scribi e dei farisei e quello di Gesù è pertanto opposto, perché diverso è il loro concetto di Dio, e quindi sono destinati a non incontrarsi mai e a scontrarsi sempre.
Scribi e farisei per avvicinarsi sempre più al Signore si separano, di fatto, dal resto del popolo. Per loro, infatti, il Signore è nell'alto dei cieli (Dt 4,39), e per raggiungerlo occorre salire la mistica scala di Giacobbe «la cui cima raggiungeva il cielo».
Gesù è il Dio che per amore è sceso verso gli uomini, e si è fatto lui stesso uomo.
Scribi e farisei salgono, il Signore scende... e non s'incontrano mai. Anzi, a forza di salire verso il loro Dio nei cieli, scribi e farisei si allontanano sempre di più da quel Dio che si è fatto uomo.
Il paradosso è che quelli che, per il loro stile di vita e le loro devozioni, si ritengono i più vicini a Dio, di fatto sono i più lontani. Più cercano di avvicinarsi a Dio, meno lo incontrano, e quindi meno lo conoscono.
Con Gesù, Dio ha infatti assunto un volto umano e si manifesta nell'umano. Ciò significa che al di fuori di quel che è umano non è possibile fare alcuna esperienza di Dio.
Scribi e farisei, a forza di spiritualizzarsi, si sono disumanizzati: il loro sguardo, costantemente teso a scrutare il cielo, li fa diventare refrattari e insensibili ai bisogni e alle sofferenze del popolo. Interamente assorbiti dalle loro devozioni, sono indifferenti alle necessità concrete delle persone.
Il loro attaccamento alle cose celesti li fa essere distaccati da quelle terrene, tanto ardenti verso Dio quanto freddi verso i propri simili.
Per Gesù più l'individuo è umano e più manifesta il divino che è in sé. Una spiritualità che disumanizzi la persona, soffocandone la vitalità, reprimendone i sentimenti, non procede in alcuna maniera dallo Spirito del Signore. Una spiritualità del genere non solo non permette di incontrare Dio, ma lo impedisce, perché Dio può essere conosciuto e incontrato in quel che è profondamente e intensamente umano.
Per questo Gesù, nel suo insegnamento, prende radicalmente le distanze dalla spiritualità di scribi e farisei, e ritiene ormai il tempo maturo per proclamare la buona notizia del regno di Dio.
E Gesù annuncia il suo messaggio ai discepoli, proponendo loro una nuova relazione con il Padre che, se accolta, provocherà un profondo radicale mutamento nel cammino dell'umanità.
Il Dio che Gesù fa conoscere è esclusivamente buono, perché «Dio è Amore» (1Gv 4,8), e l'amore non può essere comunicato attraverso una Legge o una dottrina, ma solo mediante gesti che trasmettono vita e l'arricchiscono. Ed è questo che le folle percepiscono da Gesù, e per questo sono attratte da lui: si sentono amate come mai prima era loro capitato.
Con Gesù, il Dio che si è fatto uomo, cambia il rapporto degli uomini con il Signore. L'uomo, una volta accolto da questo amore gratuito e incondizionato, non vive più per Dio, ma di Dio, e come Gesù è spinto dallo Spirito ad alleviare le sofferenze dell'umanità. Prima di Gesù, il cammino dell'umanità era diretto verso Dio. Ma ora Dio in Gesù si è fatto uomo, c'è solo da accoglierlo e, con lui e come lui, andare verso ogni creatura.
Gesù nella sua predicazione annuncia il regno di Dio, la società alternativa che lui è venuto a inaugurare: un mondo dove alla brama di accumulare si sostituisca la gioia del condividere, al posto della frenesia del salire si scopra la libertà di scendere, e alla smania di comandare si opponga la vera grandezza, quella del servire.
Nel messaggio proclamato da Gesù, stupisce l'assenza dell'invito alla santità, caratteristica costante dell'insegnamento degli scribi. La spiritualità dell'Antico Testamento era infatti fondata sull'imperativo di Dio: «Siate santi perché io sono santo» (Lv 11,44). Mai Gesù fa suo questo invito e mai invita alcuno a essere santo.
Nel codice di santità, contenuto nel Libro del Levitico (Lv 19-24), la relazione con Dio si realizzava mediante l'accettazione di verità assolute e per questo immutabili, di norme intoccabili, di osservanze e pratiche rituali ben determinate. Questa legge di santità generava una società discriminatoria, che escludeva quanti non potevano osservare i suoi innumerevoli precetti, dividendo, di fatto, il popolo tra uomini puri e impuri, tra giusti e peccatori.
Gesù non pone come traguardo l'irraggiungibile santità di Dio, ma la sua compassione per gli uomini. Il Padre di Gesù non assorbe gli uomini, ma comunica a essi il suo Spirito, dilatando la loro capacità d'amore. È l'amore e non la Legge che può generare una società dove ognuno si senta accolto, giustificato, perdonato.
Per questo il Cristo, piena manifestazione di un «Dio che è ricco di misericordia» (Ef 2,4), propone di essere misericordiosi come il Signore è misericordioso, obiettivo a tutti accessibile, perché essere compassionevoli come il Padre significa avere come lui un amore dal quale nessuno viene escluso, e questo rientra nelle possibilità di ogni persona.
Mentre all'imperativo della santità di Dio seguiva tutta una serie di norme su ciò che era puro (e quindi permetteva la santità) e quel che era impuro (e ostacolava la santità), separando, di fatto, quanti osservavano queste regole da chi non poteva o non voleva osservarle, la pratica dell'amore e della misericordia non allontana da nessun uomo ma avvicina a tutti.
Per Gesù l'assomiglianza alla misericordia del Padre non si realizza mediante attestati di ortodossia, né attraverso l'osservanza di norme religiose, ma attraverso l'attenzione alla persona, alla dignità, al bene e al benessere degli uomini, liberandoli da ogni sofferenza e angustia.
Mentre la santità colloca al di sopra degli altri, la misericordia pone a fianco degli ultimi della società, delle persone emarginate ed escluse.
La spiritualità proposta da Gesù non centra la persona in se stessa, nella propria perfezione, nella santificazione personale, ma nel dono concreto e generoso di sé agli altri. Non la propria virtù (parola assente nei vangeli), ma la necessità altrui è quel che distingue il credente in Gesù: «Amate i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell'Altissimo; poiché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi» (Lc 6,35; Mt 5,44). Da qui l'invito a impegnarsi contro ogni forma di ingiustizia e sofferenza, per realizzare il disegno del Padre di rovesciare i potenti dai troni per innalzare gli umili, di ricolmare di beni gli affamati e di rimandare i ricchi a mani vuote.
Per ascoltare Gesù affluiscono «da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone» (Lc 6,17). Tutti sono attratti dal suo messaggio e dalla straordinaria forza che da lui usciva, capace di guarire e di ridare vita (Lc 6,19).
Cadono le barriere della razza e della religione e, nella tanto disprezzata Galilea, salgono dall'insigne Giudea, e persino dalla stessa Gerusalemme, la città santa, sede dell'istituzione religiosa. Non solo, a Gesù accorrono anche dal mondo pagano. Inizia così a delinearsi un regno i cui confini non sono limitati a Israele, ma estesi a tutta l'umanità: anche i pagani, considerati alla stregua dei rettili, sono i beneficiari dell'azione sanatrice di Gesù. (…).
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