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martedì 29 novembre 2011

Al di sopra della legge, il bene della persona.
Una professione di fedeltà a Dio e al mondo
DOC-2393. MONTEFANO-ADISTA. Cos’è l’essere umano, rispetto ai suoi simili? Un nemico, un lupo, come riteneva Plauto e dopo di lui Hobbes? Oppure un dio, come invece sosteneva Cecilio Stazio e, sulla sua scia, Ludwig Feuerbach? Ha ragione il biologo Richard Dawkins, l’autore de Il gene egoista, secondo cui non siamo altro che «robot semoventi programmati ciecamente per preservare quelle molecole egoiste note sotto il nome di geni», oppure lo psicologo evoluzionista Michael Tomasello, per il quale invece siamo «altruisti nati»? Il teologo Vito Mancuso opta però per un’altra risposta ancora, per quanto suoni oggi, ammette, piuttosto illusoria, se non buonista: l’essere umano, per i suoi simili, è, semplicemente, «un fratello», un fratello con cui capita assai spesso anche di litigare, ma a cui si è comunque uniti da «qualcosa di più grande». Parte da qui la riflessione condotta da Mancuso attorno al suo libro Io e Dio (Garzanti, pp. 488, euro 18,60) e a quello di Alberto Maggi Versetti pericolosi (Fazi, pp. 190, euro 16, v. documento successivo), presentati congiuntamente lo scorso 16 ottobre nel convento dei serviti a Montefano, alla presenza di circa 400 persone. Due libri uniti, ha sottolineato Mancuso, dalla medesima concezione riguardo al senso dell’essere cristiani, individuando entrambi gli autori «l’assoluto della vita» non nella fede ma nella vita stessa, e dunque interpretando la prima in funzione della seconda. Così da tenere insieme, come scrive Mancuso nel suo libro, quello che oggi «non risulta quasi più possibile»: «un responsabile pensiero di Dio e un retto pensiero del mondo», che vuol dire «pensare insieme Dio e il mondo, Dio e Io, come un unico sommo mistero, quello della generazione della vita, dell’intelligenza, della libertà, del bene, dell’amore», che poi, per il teologo, è «l’unica autentica modalità di essere fedeli a entrambi, a Dio e al mondo».
Se per Mancuso «fratello è colui con cui sento di condividere totalmente la cosa più preziosa che c’è in noi esseri umani, cioè il metodo con cui orientiamo la nostra libertà», è sicuramente questo sentimento a legare i due autori. Per entrambi, ha evidenziato infatti Mancuso, «il vero assoluto, in senso etico e ontologico, è il bene», quel bene che per Gesù, secondo quanto scrive Maggi, «non solo è al di sopra della Legge, ma della sua stessa vita, è la norma suprema che regge ogni comportamento morale». Per entrambi, l’umano è «il vertice del divino», al punto che «al di fuori di quello che è umano non è possibile fare un’esperienza di Dio». E, infine, per entrambi, ha sottolineato Mancuso, «la verità è qualcosa che si fa: non coincide con l’esattezza, non coincide con la dottrina, non coincide con le parole che si dicono; coincide con le azioni, ha molto più a che fare con le mani e con il cuore che con la lingua».
Tra i due autori, tuttavia, ci sono, e non potrebbe essere altrimenti, anche delle differenze, a cominciare da quella relativa alla concezione della religione, che per Maggi, secondo Mancuso, «è sempre tendenzialmente negativa, mentre per me è sempre tendenzialmente positiva». Lungi dal contrapporre fede e religione, spiritualità e religione, Mancuso le ritiene inscindibilmente, per quanto asimmetricamente, connesse: a suo giudizio, cioè, il primato spetta alla spiritualità, ma questa non può darsi, pena la caduta nello spiritualismo, «senza una traduzione concreta anche a livello istituzionale». Per Maggi, invece, religione e fede, così come appaiono nei Vangeli, «appartengono a due diverse concezioni della divinità». Dovendo giustificare la propria esistenza, infatti, l’istituzione religiosa ha scavato un abisso tra l’uomo e Dio: «Più la divinità è lontana dall’uomo – ha affermato Maggi - e più c’è bisogno di un’istituzione religiosa, di un tempio, di una legge, di un culto, di sacerdoti che facciano da mediatori tra gli uomini e questa divinità lontana». Religione, dunque, «è quello che l’essere umano fa per Dio». Con Gesù, invece, «Dio non solo non è lontano dall’essere, non solo non è esterno, ma è, al contrario, nell’intimo più profondo di ogni persona». Così, ha precisato Maggi, «nella religione si vive per Dio, nella fede si vive di Dio; nella religione l’essere umano è sempre alla ricerca di Dio, rischiando anche di non trovarlo, nella fede non deve più cercare Dio, perché Dio è in noi, ma deve accoglierlo attraverso azioni che lo aprano alla vita». E, ha concluso Maggi, in questo in perfetta sintonia con Mancuso, «ogni volta che ci apriamo ad azioni che comunicano, che arricchiscono, che restituiscono la vita agli altri è come se il nostro cuore si dilatasse per permettere alla divinità che è in noi di espandersi ulteriormente».

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