ROMA RICORDI AL VESCOVO MANI CHE I CAPI SONO I SERVI E' stato pubblicato oggi 17 luglio, fra gli editoriali di SARDEGNA 24, il nuovo quotidiano isolano, un articolo di SALVATORE CUBEDDU, nostro redattore oltre che vice presidente di Cresia. Questo avviene nella ricorrenza dei cosiddetti "fatti di Sant'Eulalia" che furono una pagina assai triste non solo per i fedeli di quella parrocchia ma per l'intera Chiesa diocesana. Con l'autorizzazione dell'autore - e con la citazione del giornale che l'ha pubblicato con grande evidenza (vi è anche a pag. 28 una bella cronaca della nostra giornata ecclesiastica di Serdiana) - lo pubblichiamo integralmente per l'interesse che ha e per l'intelligente contenuto che aggiunge nuova e importante linfa vitale alle nostre argomentazioni sull'uso e sull'abuso del potere come in atto nella nostra Chiesa.
di SALVATORE CUBEDDU - 17/07/2011
di SALVATORE CUBEDDU - 17/07/2011
ROMA RICORDI AL VESCOVO MANI CHE I CAPI SONO I SERVI
di SALVATORE CUBEDDU - 17/07/2011
“Per amore di Sion non tacerò…”, (Isaia, 62,1), è l’incipit famoso in cui la Bibbia indica il compito del profeta: non tacere di fronte al male, da qualsiasi parte arrivi, non importa da chi e a quale prezzo. Profeta, re e sacerdote: l’olio con cui è segnato e l’acqua in cui viene immerso dovrebbero rendere ciascun cristiano campione nella lotta contro il male nel mondo. E nel caso il male entrasse nella Chiesa? E se, come successe nell’Antico Testamento, lambisse i re unti dal Signore (Davide) o i capi dei sacerdoti? “Per amore …. non tacerò…”, ripete doverosamente Papa Ratzinger, chiedendo ai fedeli di denunciare l’omosessualità attiva nel clero e la pedofilia esplosa da tante parti nella sua Chiesa. “Dillo alla Chiesa…!”, era la pratica delle prime comunità, che raccoglievano dei convertiti con lunghi strascichi comportamentali dell’ambiente pagano da cui provenivano. L’affermazione della figura monocratica del vescovo, nel senso etimologico di ‘sorvegliante’, - e del vescovo di Roma quale ‘sorvegliante dei/con i sorveglianti’ - deve molto all’esigenza di guida di comunità che tentavano di vivere il vangelo in contesti antagonisti ai propri valori. Avere a che fare con il male, fuori e dentro la Chiesa, è costitutivo del vivere cristiano. Non sono angeli, i cristiani: sono uomini che vivono tra gli uomini.
Benedetto XVI ha chiesto aiuto su un particolare peccato della sua Chiesa perché i fedeli sono i più vicini e le vittime di questi ‘peccati’, perché la gestione della sessualità è un punto ‘politicamente’ sensibile del suo clero celibatario e, ultimo ma non forse come motivo, la ribellione di intere comunità ha causato danni inimmaginabili e intollerabili per tenere chiusa la pentola ecclesiastica in ebollizione. Ma non è facile sapere, il vizio è abile a nascondersi, inventa le sue difese, sposta in continuazione i propri obiettivi. E poi, se uno non è toccato in proprio (e, quindi, sa), come può agire, a chi si rivolge, cosa gli aspetta? Il bene e il male sono anche dentro ciascuno (“chi è senza peccato…. !”). La religione tocca l’ambito più intimo dell’individuo, quasi sempre il più delicato e prezioso, che non si vorrebbe venisse turbato da questioni provenienti dall’ambito ecclesiale visto che già lo è tanto dall’insieme del vivere. Non è bello, non è facile, non è comodo seguire le indicazioni del Papa quando, “per amore … della Chiesa”, chiede ai fedeli di parlare.
A Cagliari si è parlato e da un anno si scrive e si dice. Ma, anche, si tace, si teme, si va sotto processo. Il 17 luglio 2010, il ‘sorvegliante’ Giuseppe Mani è andato nella Chiesa di Sant’Eulalia, ha parlato e provocato dal pulpito la reazione dei numerosi fedeli, è stato da loro apertamente contestato come un prepotente aggressore del sentire della comunità. La vicenda – se un vescovo possa/debba trasferire un suo parroco – ha accompagnato e confuso i termini reali della questione, che invece è quella dei modi in cui il vescovo Mani dirige la diocesi di Cagliari, sul come si rapporta alle risorse economiche, alle istituzioni civili, ai quotidiani interlocutori della sua azione, i religiosi e i sacerdoti innanzitutto. Tra i casi specifici alcuni riguardano temi cui il Vaticano è interessato, seppure si unifichino intorno al problema del potere e del suo utilizzo.
A Sant’Eulalia lui disse: “Nella Chiesa c’è in cima il Papa, sotto il vescovo, quindi il parroco, poi i fedeli … altrimenti… qui è una baracca!”. Il dissenso dei fedeli gli ricordava che questo è solo l’aspetto funzionale nell’opera di ‘sorveglianza’ verso il male. La regola di Gesù, contemporanea all’istituzione del sacerdozio, è quella che chi comanda deve essere il tuo servo, l’opposto di quel che succede nel ‘mondo’. Altrimenti entriamo in altre regole, quelle che descriveva Massimo Gorkij nella sua novella: “La vita sarà crudele e orribile fino a quando gli uomini non comprenderanno che è altrettanto vergognoso l’essere padrone o schiavo”. Ma Gorkij era russo e comunista. Allora lo diciamo con Gesù, ‘cristiano e cattolico’: “Voi sapete che i capi delle nazioni spadroneggiano su di esse e che i grandi le dominano; tra voi non dev’essere così…” (Matteo 20,25-28). Mani dovrebbe saperlo. Roma dovrebbe ricordarglielo. Ma: troveranno ancora in Vaticano un giudice giusto i cristiani di Sardegna?
“Per amore di Sion non tacerò…”, (Isaia, 62,1), è l’incipit famoso in cui la Bibbia indica il compito del profeta: non tacere di fronte al male, da qualsiasi parte arrivi, non importa da chi e a quale prezzo. Profeta, re e sacerdote: l’olio con cui è segnato e l’acqua in cui viene immerso dovrebbero rendere ciascun cristiano campione nella lotta contro il male nel mondo. E nel caso il male entrasse nella Chiesa? E se, come successe nell’Antico Testamento, lambisse i re unti dal Signore (Davide) o i capi dei sacerdoti? “Per amore …. non tacerò…”, ripete doverosamente Papa Ratzinger, chiedendo ai fedeli di denunciare l’omosessualità attiva nel clero e la pedofilia esplosa da tante parti nella sua Chiesa. “Dillo alla Chiesa…!”, era la pratica delle prime comunità, che raccoglievano dei convertiti con lunghi strascichi comportamentali dell’ambiente pagano da cui provenivano. L’affermazione della figura monocratica del vescovo, nel senso etimologico di ‘sorvegliante’, - e del vescovo di Roma quale ‘sorvegliante dei/con i sorveglianti’ - deve molto all’esigenza di guida di comunità che tentavano di vivere il vangelo in contesti antagonisti ai propri valori. Avere a che fare con il male, fuori e dentro la Chiesa, è costitutivo del vivere cristiano. Non sono angeli, i cristiani: sono uomini che vivono tra gli uomini.
Benedetto XVI ha chiesto aiuto su un particolare peccato della sua Chiesa perché i fedeli sono i più vicini e le vittime di questi ‘peccati’, perché la gestione della sessualità è un punto ‘politicamente’ sensibile del suo clero celibatario e, ultimo ma non forse come motivo, la ribellione di intere comunità ha causato danni inimmaginabili e intollerabili per tenere chiusa la pentola ecclesiastica in ebollizione. Ma non è facile sapere, il vizio è abile a nascondersi, inventa le sue difese, sposta in continuazione i propri obiettivi. E poi, se uno non è toccato in proprio (e, quindi, sa), come può agire, a chi si rivolge, cosa gli aspetta? Il bene e il male sono anche dentro ciascuno (“chi è senza peccato…. !”). La religione tocca l’ambito più intimo dell’individuo, quasi sempre il più delicato e prezioso, che non si vorrebbe venisse turbato da questioni provenienti dall’ambito ecclesiale visto che già lo è tanto dall’insieme del vivere. Non è bello, non è facile, non è comodo seguire le indicazioni del Papa quando, “per amore … della Chiesa”, chiede ai fedeli di parlare.
A Cagliari si è parlato e da un anno si scrive e si dice. Ma, anche, si tace, si teme, si va sotto processo. Il 17 luglio 2010, il ‘sorvegliante’ Giuseppe Mani è andato nella Chiesa di Sant’Eulalia, ha parlato e provocato dal pulpito la reazione dei numerosi fedeli, è stato da loro apertamente contestato come un prepotente aggressore del sentire della comunità. La vicenda – se un vescovo possa/debba trasferire un suo parroco – ha accompagnato e confuso i termini reali della questione, che invece è quella dei modi in cui il vescovo Mani dirige la diocesi di Cagliari, sul come si rapporta alle risorse economiche, alle istituzioni civili, ai quotidiani interlocutori della sua azione, i religiosi e i sacerdoti innanzitutto. Tra i casi specifici alcuni riguardano temi cui il Vaticano è interessato, seppure si unifichino intorno al problema del potere e del suo utilizzo.
A Sant’Eulalia lui disse: “Nella Chiesa c’è in cima il Papa, sotto il vescovo, quindi il parroco, poi i fedeli … altrimenti… qui è una baracca!”. Il dissenso dei fedeli gli ricordava che questo è solo l’aspetto funzionale nell’opera di ‘sorveglianza’ verso il male. La regola di Gesù, contemporanea all’istituzione del sacerdozio, è quella che chi comanda deve essere il tuo servo, l’opposto di quel che succede nel ‘mondo’. Altrimenti entriamo in altre regole, quelle che descriveva Massimo Gorkij nella sua novella: “La vita sarà crudele e orribile fino a quando gli uomini non comprenderanno che è altrettanto vergognoso l’essere padrone o schiavo”. Ma Gorkij era russo e comunista. Allora lo diciamo con Gesù, ‘cristiano e cattolico’: “Voi sapete che i capi delle nazioni spadroneggiano su di esse e che i grandi le dominano; tra voi non dev’essere così…” (Matteo 20,25-28). Mani dovrebbe saperlo. Roma dovrebbe ricordarglielo. Ma: troveranno ancora in Vaticano un giudice giusto i cristiani di Sardegna?
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