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sabato 23 luglio 2011

Scusateci fratelli e sorelle musulmani
di Giovanni Sarubbi



Lo abbiamo già visto, lo abbiamo già letto, e lo abbiamo rifiutato. Questa è in estrema sintesi l'idea che ci siamo fatti leggendo oggi tutti i quotidiani nazionali del nostro paese in merito a ciò che è successo ieri in Norvegia, con una strage in un campeggio dei giovani laburisti norvegesi ed un attentato ad edifici governativi che hanno provocato, al momento in cui scriviamo queste note, 91 morti.
Il già visto sono le immagini terribili dei morti e dei feriti, delle distruzioni immani di vite umane, della natura e di ciò che l'umanità ha realizzato. Abbiamo già visto persone in fuga dalla morte e le tragiche conseguenze dell'esplodere di bombe o dell'uso delle armi che ci si ostina a chiamare “leggere”, quasi si trattasse di innocui gingilli da gioco per ragazzi.
Il già letto riguarda invece il modo univoco con il quale la stampa italiana ha presentato l'attentato affibbiandone la responsabilità alla religione islamica. Lo hanno fatto tutti i quotidiani da “Il Manifesto – quotidiano comunista” all'ultra destro “Libero”, passando per “Il Giornale”, “Il Fatto”, “La Repubblica”, “Il Corriere della sera”, “L'Unità”, “La Stampa” e scusate se ne dimentichiamo qualcuno.
“Sociologi”, “politologi”, “intellettuali” (permetteteci le virgolette giusto per mettere in discussione le loro qualifiche) di vario ordine e grado si sono lanciati in spericolate analisi a senso unico, a cominciare dalla Fiamma Nirenstein su “Il Giornale”, secondo la quale «Ciò che importa è che la guerra dell’islamismo contro la nostra civiltà, se verrà confermata l’ipotesi che nel corso della giornata è diventata sempre più robusta, è feroce e aggressiva», a finire al professor Renzo Guolo, che sull'Unità viene descritto come uno dei più autorevoli studiosi dell’Islam radicale, secondo il quale «Vi sono diversi motivi che fanno della Norvegia un obiettivo agli occhi dei jihadisti» insieme all'Europa che potrebbe «essere tornata nel mirino qaedista per il suo impegno a fianco degli Stati Uniti o in ambito Nato su fronti caldissimi, dall’Afghanistan alla Libia».
Commenti e ipotesi conditi con affermazioni piene di “se” messi li giusto a futura memoria, per poter smentire se stessi nel caso in cui l'ipotesi affermata con enfasi si dimostrasse infondata.
Il tutto prendendo spunto da una fantomatica rivendicazione di un gruppo islamico di cui nessuno sa nulla ma di cui ci vengono invece fornite ampie notizie, probabilmente confezionate da chi ha interesse a diffondere bugie su bugie affinché nessuno capisca come stanno effettivamente le cose. E anche questo fa parte del già visto, già letto e già rifiutato da parte nostra. E' un gioco semplice: qualcuno fa un attentato con morti feriti e distruzioni; immediatamente giunge alle redazioni dei giornali una rivendicazione di un gruppo islamico sconosciuto ai più ma di cui i giornali forniscono notizie non verificabili; la notizia della rivendicazione finisce su tutti i mass media e gli “intellettuali” di cui sopra ci ricamano su ed il gioco è fatto. L'islam, nel nostro caso, ma lo schema è stato usato anche con altre religioni, viene messo sul banco degli accusati e da quel momento in poi tutto può succedere, visto che in tutto il mondo sono molto attivi e prolifici gruppi, sia politici sia di matrice religiosa, che sono ferocemente anti-islamici. I più scalmanati si sentono autorizzati a dar vita a pestaggi o violenze nei confronti dell'islamico della porta a fianco e la guerra trova nuovo carburante per andare avanti.
Significativo, a tale proposito, la conclusione dell'articolo di Carlo Panella, uno degli “intellettuali” (le virgolette qui sono d'obbligo) anti-islamici di punta del quotidiano Libero. Panella chiude il suo articolo con la frase «La guerra continua», e anche questo fa parte del già visto, già letto e già rifiutato da parte nostra. Gli attentati fanno sempre il gioco dei guerrafondai, dei militaristi di ogni ordine e grado, delle industrie di armamenti che controllano migliaia di miliardi di finanziamenti statali finalizzati alle guerre e che hanno il potere di condizionare uomini politici, mass-media e anche Chiese. E i “sociologi”, “politologi”, “intellettuali” con i loro commenti non fanno altro che rendersi complici della guerra, strumenti nelle mani di chi dalla guerra trae profitto e ricchezza ai danni dei popoli.
Significativi anche le citazioni dei dispacci dell’ambasciatore Usa a Oslo che descrivevano la Norvegia come impreparata al terrorismo in documenti diplomatici diffusi da WikiLeaks non molti mesi fa. E anche questo è un classico, un già visto, già letto e già rifiutato, della politica internazionale degli ultimi decenni: si sceglie il paese più libero, meno militarizzato, meno ossessionato dalla paura del diverso e dello straniero per colpirlo a morte in modo da consentire una escalation della violenza non solo a livello di quel paese ma a livello globale. “Ora i partiti di estrema destra – ha affermato la scrittrice norvegese Holt in una intervista su La Repubblica - avanzeranno soffiando con prepotenza sul sentimento anti-islamico. Il fatto di essere un Paese pacifico e con poca criminalità ci rende un obiettivo facile per il terrorismo”. Ma non vanno trascurati le paure diffuse da chi, come Libero, dice che ora “Rischia anche l’Italia”, perché “Da Mohammed Game a Times Square: per anni i fondamentalisti ci hanno provato. E lo rifaranno”. Verrebbe voglia di far convocare questi “giornalisti” in una procura della Repubblica come “persone informate sui fatti” di cui parlano con tanta sicurezza, diffondendo paura e odio per difendere i loro padroni.
Il già rifiutato, con cui abbiamo iniziato queste riflessioni, riguarda sia la guerra, la violenza, il militarismo e le armi di tutti i tipi, sia soprattutto un giornalismo come quello che abbiamo fin qui descritto. Un giornalismo che, nel suo complesso, dall'estrema destra all'estrema sinistra, ha scritto oggi la pagina più vergognosa della sua storia perché l'islam non c'entra nulla con gli attentati di Oslo.
Si perchè su quasi tutti i siti internet dei quotidiani italiani, infatti, oggi possiamo leggere che l'autore degli attenati di Oslo «è un cristiano fondamentalista» legato all'estrema destra e per di più ferocemente anti-islamico. Esattamente il contrario di quello che oggi sulla carta stampata è stata accreditata come verità.
Rifiutiamo un giornalismo che scrive articoli di cronaca basati sui “se” invece che su fatti certi ed incontrovertibili, impegnandosi nella loro ricerca ove le autorità costituite dovessero negarle. Rifiutiamo un giornalismo che sui “se” costruisce i commenti più spericolati e violenti, veri e propri strumenti di istigazione all'odio razziale e alla violenza. Rifiutiamo un giornalismo che non rispetti il principio della veridicità dei fatti raccontati e che trasforma le perversioni mentali di qualcuno in fatti o in commenti su fatti inesistenti.
Un giornalismo serio avrebbe cercato di capire e verificare innanzitutto la dinamica dei fatti per come essi sono effettivamente avvenuti. Avrebbe cercato di capire se sia vera l'ipotesi dell'autobomba (dalle immagini viste non c'è traccia di un qualche cratere a livello di strada che invece avrebbe dovuto esserci nel caso di autobomba mentre si sono viste immagini di incendi al 5 piano di un edificio); avrebbe cercato di fare l'elenco dei danni, di coloro che materialmente sono stati investiti dall'esplosione, e via di questo passo. Invece abbiamo potuto leggere notizie dozzinali e di nessun valore insieme a violenti requisitorie contro l'islam.
Se il giornalismo italiano avesse un minimo di serietà, dovrebbe chiedere scusa, con titoli cubitali, a tutti i musulmani italiani e del mondo per le pagine vergognose di odio scritte oggi.
Non crediamo che ciò accadrà ed è per noi amaro constatare come l'amore per la verità non faccia parte del bagaglio morale di quanti fanno il mestiere di giornalista per professione.
Ma noi facciamo i giornalisti per passione, forse è questa la differenza ed il motivo della nostra indignazione.
Allora scusateci fratelli e sorelle musulmani, non sarà per sempre così, ne siamo convinti, almeno è la nostra speranza ed è quello per il quale siamo impegnati.
Giovanni Sarubbi


Sabato 23 Luglio,2011 Ore: 15:40
 

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