ALLARME ONU
Inferno Mogadiscio
Corno d'Africa: la carestia colpisce 13 milioni di persone.
di Michele Esposito
Brucia l’inferno somalo, senza soluzione di continuità. Il Paese del Corno d’Africa è assediato da quella che è stata definita come la più grave carestia degli ultimi 60 anni. Un'emergenza che, cominciata ormai sei mesi fa, non accenna a smorzarsi. Secondo le Nazioni Unite una sesta regione somala, quella di Bay, è caduta nella morsa della fame coinvolgendo 750 mila persone. Che si aggiungono così ai circa 12 milioni di africani già raggiunti dall’incubo della siccità in tutto il Corno d’Africa e in urgente bisogno di aiuti.
Ma è la Somalia a preoccupare maggiormente le organizzazioni internazionali: oltre all’allarme carestia, a Mogadiscio e dintorni continua a regnare il caos, e violenze e corruzione sono all’ordine del giorno.
A RISCHIO 13 MILIONI DI PERSONE. Il 9 settembre, da Ginevra, l’Ufficio dell’Onu per gli Affari umanitari, ha snocciolato le ultime cifre dell’ennesima tragedia africana. La popolazione che necessita di urgenti aiuti alimentari ammonta ora a 13,3 milioni di persone, distribuite tra Somalia, Kenya, Gibuti. E a causa della carestia, i rifugiati sono circa 841 mila, scappati o accolti nei campi profughi allestiti all’interno dei confini somali, in Kenya e in Etiopia. Nelle ultime settimane, poi, un numero via via crescente di somali è fuggito - o ha tentato di fuggire - nello Yemen, attraversando le acque del Golfo di Aden su fragili imbarcazioni. E, sempre nei giorni scorsi, l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) ha tracciato un quadro ancora più fosco della situazione, ribadendo le precarie condizioni igieniche e sanitarie in cui versa buona parte dei campi allestiti.
L'80% DEI RIFUGIATI SONO BAMBINI. Sono soprattutto i centri di accoglienza della regione etiope di Dollo Allo a preoccupare l’Unhcr. Qui, l’80% dei rifugiati è composto da bambini e ragazzi di età inferiore ai 18 anni, in buona parte orfani o privi di parenti, e la maggioranza delle famiglie presenti hanno a capo una donna. Gli uomini, infatti, difficilmente si spostano per non trasformarsi in facile bersaglio di milizie private e bande di delinquenti. I bambini, in ogni caso restano le prime vittime della fame. Secondo Imtiaaz Sooliman, a capo dell’Ong sudafricana Gift of the givers, sono 1300 le vittime quotidiane, tra i più piccoli.
LA ROAD MAP VERSO IL 2012. La Somalia, invece, continua a navigare nel caos. Il 6 settembre, il presidente Sharif Shiekh Ahmed, i rappresentanti dell'autoproclamata regione autonoma del Puntland ed esponenti delle milizie filo-governative hanno firmato una prima road map per portare a termine la transizione, dopo 7 anni di impasse: il 1 luglio 2012 dovrebbe entrare in vigore la nuova Costituzione e a partire dal 20 agosto successivo, dovrebbero essere indette nuove elezioni.
CAOS E VIOLENZE. Tutto, per un pezzo di pane. Nel campo di Baadbado, almeno 10 persone sono rimaste uccise dalle forze governative o dalle milizie private all’arrivo degli alimenti. Tanto che l’Onu ha dovuto bloccare l’invio di aiuti, lasciando i 30 mila residenti del campo nell’emergenza. E quando la morte non arriva dai ribelli di al Shaabab, ci pensano gli stessi soldati governativi, che non riescono a far fronte al caos che solitamente segue la distribuzione di cibo e acqua. Un caos della disperazione, che l’8 settembre ha portato un soldato somalo ad uccidere cinque civili in mezzo al trambusto.
AIUTI MALDISTRIBUITI. Violenze e corruzione imperano a Mogadiscio. Il problema, paradossalmente, è proprio l’eccessivo invio di aiuti, che sono mal distribuiti o finiscono nelle mani sbagliate. Nei campi, la vita quotidiana scorre nel segno del sangue. Tanto che, perfino un’organizzazione ‘coraggiosa’ come Medici senza frontiere ha ordinato ai suoi funzionari di non restare nei campi più di 30 minuti, per il rischio di essere rapiti da banditi o ribelli integralisti. Un vero e proprio incubo di fame e di morte, descritto così da un funzionario di una Ong che ha lavorato ad Haiti, prima di giungere in Mogadiscio: paragonandola alla crisi somala, «Haiti è una fetta di torta».
Venerdì, 09 Settembre 2011
Ma è la Somalia a preoccupare maggiormente le organizzazioni internazionali: oltre all’allarme carestia, a Mogadiscio e dintorni continua a regnare il caos, e violenze e corruzione sono all’ordine del giorno.
A RISCHIO 13 MILIONI DI PERSONE. Il 9 settembre, da Ginevra, l’Ufficio dell’Onu per gli Affari umanitari, ha snocciolato le ultime cifre dell’ennesima tragedia africana. La popolazione che necessita di urgenti aiuti alimentari ammonta ora a 13,3 milioni di persone, distribuite tra Somalia, Kenya, Gibuti. E a causa della carestia, i rifugiati sono circa 841 mila, scappati o accolti nei campi profughi allestiti all’interno dei confini somali, in Kenya e in Etiopia. Nelle ultime settimane, poi, un numero via via crescente di somali è fuggito - o ha tentato di fuggire - nello Yemen, attraversando le acque del Golfo di Aden su fragili imbarcazioni. E, sempre nei giorni scorsi, l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) ha tracciato un quadro ancora più fosco della situazione, ribadendo le precarie condizioni igieniche e sanitarie in cui versa buona parte dei campi allestiti.
L'80% DEI RIFUGIATI SONO BAMBINI. Sono soprattutto i centri di accoglienza della regione etiope di Dollo Allo a preoccupare l’Unhcr. Qui, l’80% dei rifugiati è composto da bambini e ragazzi di età inferiore ai 18 anni, in buona parte orfani o privi di parenti, e la maggioranza delle famiglie presenti hanno a capo una donna. Gli uomini, infatti, difficilmente si spostano per non trasformarsi in facile bersaglio di milizie private e bande di delinquenti. I bambini, in ogni caso restano le prime vittime della fame. Secondo Imtiaaz Sooliman, a capo dell’Ong sudafricana Gift of the givers, sono 1300 le vittime quotidiane, tra i più piccoli.
LA ROAD MAP VERSO IL 2012. La Somalia, invece, continua a navigare nel caos. Il 6 settembre, il presidente Sharif Shiekh Ahmed, i rappresentanti dell'autoproclamata regione autonoma del Puntland ed esponenti delle milizie filo-governative hanno firmato una prima road map per portare a termine la transizione, dopo 7 anni di impasse: il 1 luglio 2012 dovrebbe entrare in vigore la nuova Costituzione e a partire dal 20 agosto successivo, dovrebbero essere indette nuove elezioni.
In Somalia si uccide per un pezzo di pane
Per ora, tuttavia, il governo non sembra in grado di controllare con mano ferma né la Somalia né la sua capitale dove gli integralisti di al Shaabab e i signori della guerra continuano a far sentire la loro influenza. Con tragici effetti sulla popolazione e sull’invio di aiuti umanitari. A Mogadiscio, ad esempio, gli aiuti non mancano, ma «solo chi è forte e ha una pistola prende il cibo», ha raccontato Duniyio Alosow una delle migliaia di rifugiati somali giunti nella capitale. Parlando con il quotidiano canadese Globe and Mail la donna ha ricordato: «ho visto gente uccisa davanti ai miei occhi».CAOS E VIOLENZE. Tutto, per un pezzo di pane. Nel campo di Baadbado, almeno 10 persone sono rimaste uccise dalle forze governative o dalle milizie private all’arrivo degli alimenti. Tanto che l’Onu ha dovuto bloccare l’invio di aiuti, lasciando i 30 mila residenti del campo nell’emergenza. E quando la morte non arriva dai ribelli di al Shaabab, ci pensano gli stessi soldati governativi, che non riescono a far fronte al caos che solitamente segue la distribuzione di cibo e acqua. Un caos della disperazione, che l’8 settembre ha portato un soldato somalo ad uccidere cinque civili in mezzo al trambusto.
AIUTI MALDISTRIBUITI. Violenze e corruzione imperano a Mogadiscio. Il problema, paradossalmente, è proprio l’eccessivo invio di aiuti, che sono mal distribuiti o finiscono nelle mani sbagliate. Nei campi, la vita quotidiana scorre nel segno del sangue. Tanto che, perfino un’organizzazione ‘coraggiosa’ come Medici senza frontiere ha ordinato ai suoi funzionari di non restare nei campi più di 30 minuti, per il rischio di essere rapiti da banditi o ribelli integralisti. Un vero e proprio incubo di fame e di morte, descritto così da un funzionario di una Ong che ha lavorato ad Haiti, prima di giungere in Mogadiscio: paragonandola alla crisi somala, «Haiti è una fetta di torta».
Venerdì, 09 Settembre 2011
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