Post più popolari

giovedì 15 settembre 2011

A mani nude contro i dittatori: gli attivisti, le rivolte arabe e le nostre responsabilità
Contrasto_spring_arab.jpg
di Domenico Chirico - direttore Un ponte per...
Abdualldhi al Kawahiaj è un giovane avvocato. Ha fondato un’associazione per i diritti umani in Bahrein e da ormai alcuni anni vive in Europa, dove lavora per l’organizzazione Frontline. In Irlanda Abdhulladi segue i casi di molti attivisti per i diritti umani, così come di tutti quei giornalisti ed esponenti politici che nel mondo arabo svolgono quotidianamente una pacifica opera di opposizione ai loro regimi. Attivisti che spesso lavorano nell’ombra, correndo quotidianamente il rischio di essere arrestati. Abdhualldi è più di un avvocato. Lui li segue uno ad uno, con continue telefonate e incontri, ospitandoli nella sua casa irlandese nel momento in cui la loro vita diventa insostenibile. Quando all'inizio del 2011 la situazione del Barhein è esplosa e migliaia di persone sono scese in piazza, Abdhulladi si è precipitato in patria, per diventare anche lui protagonista della rivolta pacifica che stava inondando le piazze del Regno. Poco dopo è stato arrestato e rinchiuso in una cella. La rivolta è finita nel peggiore dei modi possibili: la comunità internazionale gli ha voltato la faccia e l’esercito della vicina Arabia Saudita ha represso nel sangue le manifestazioni. I leader dell’opposizione sono stati rinchiusi in prigione.
Hadi al Mahdi era un popolare giornalista radiofonico, tra i primi a guidare le manifestazioni di piazza a Baghdad lo scorso marzo. Hadi è stato ucciso brutalmente nella sua casa. Come molti altri giornalisti iracheni è sempre stato estremamente critico rispetto alla corruzione dilagante nel paese ed è forse per questo che ha pagato il prezzo più caro. Nonostante i suoi ripetuti appelli per la pace e per le proteste non violente è stato arrestato e torturato dopo le manifestazioni di marzo. Torture ampiamente documentate da Human Rights Watch. Prima del suo assassinio, Hadi stava organizzando le manifestazioni di piazza del venerdì ed aveva tenuto a precisare che non era legato a nessun partito, ma solo all’esigenza di lottare per pace e la giustizia sociale nel suo paese. Nei giorni precedenti aveva denunciato le molte minacce ricevute e le telefonate con cui tentavano di dissuaderlo dall’organizzare la manifestazione di venerdì scorso. Ma lui stesso aveva scritto sul suo profilo face book che era stanco di vedere tanta ingiustizia, dopo anni di ricostruzioni e fiumi di denaro che hanno arricchito pochi, lasciando il paese in condizioni precarie.
Ali Ferzat è uno dei più noti vignettisti del mondo arabo. Ed è per questo che la notizia del violento attacco che ha subito ha fatto il giro del mondo. Forze di sicurezza probabilmente legate al governo siriano hanno provveduto a rapirlo e a spezzargli le mani. Con metodi che ricordano il peggior fascismo. A molti attivisti di Damasco è sembrato un chiaro segnale verso il mondo laico siriano, che si è unito alle manifestazioni che vanno avanti dalla fine di marzo. Manifestazioni che ad oggi, secondo le Nazioni Unite, hanno causato circa 2700 vittime. La repressione del regime di Assad è stata violenta ed ha fatto guadagnare consenso alle prime manifestazioni.
Le storie degli attivisti che si sono esposti nelle rivolte arabe degli ultimi mesi sono molte di più. Da Damasco a Tunisi, le persone non hanno più paura: scendono in strada, parlano di politica, organizzano manifestazioni e riunioni politiche. In modo prepotente è emersa una voglia di libertà e partecipazione e le interpretazioni che spesso si danno in Occidente rischiano di essere involontariamente orientaliste, alla disperata ricerca di un mandande occulto delle manifestazioni. Come se queste persone non abbiano potuto scegliere autonomamente, a rischio della propria vita, di protestare e di farlo con tutta la loro voce.
E’ chiaro, come già è evidente in Egitto, che saranno le forze moderate, se non conservatrici, a beneficiare dei cambi di regime. Ma è anche chiaro a chi osserva da lontano che è necessario essere vicini e solidali, ogni giorno, a tutti quegli attivisti che si sono uniti alle proteste contro le dittature. Piuttosto che chiederci chi sarà a beneficiare delle proteste, ci dovremmo domandare in ogni momento come proteggere gli attivisti nelle piazze. Come informare al meglio sul loro lavoro e come creare meccanismi di protezione efficaci. Durante le guerre nei Balcani molti stati europei scelsero di aprire le loro frontiere ai profughi e molti si salvarono. Durante le rivolte arabe i governi europei hanno scelto di chiudere le frontiere. E lasciare gli attivisti al loro destino. Il paradosso è che questi attivisti, rischiando le loro vite, ci guardano come modelli di libertà e giustizia. Anche per la retorica sui diritti umani "importata" con programmi e interventi umanitari. Ed ora il destino di ognuno di loro dovrebbe essere, anche, una nostra responsabilità.
Foto: Il Cairo, gennaio 2011 - Piazza Tahrir - Migliaia di Egiziani protestano nella piazza principale della città, fulcro della rivolta egiziana, sventolando cartelli e striscioni e chiedendo le dimissioni del Presidente Hosni Mubarak. Antonio Zambardino/CONTRASTO

Nessun commento:

Posta un commento