Post più popolari

martedì 19 aprile 2011

COME RIGIRARE LA FRITTATA...

Riportiamo da LIBERO di oggi, 19/04/2011, a pag. 18, l'articolo di Fausto Carioti dal titolo " Va bene la pietà ma non chiamate eroe il compagno Arrigoni ".

Vittorio Arrigoni con Ismail Haniyeh

Bene la pietà, che tutti i morti meritano, e giusto pure il minuto di silenzio osservato ieri nel consiglio comunale di Milano: atto dovuto per un connazionale ucciso in quel modo barbaro dai macellai salafiti. L’importante però è fermarsi qui, resistere alla retorica che già vuole trasformare Vittorio Arrigoni in un eroe, un simbolo. Arrigoni non era un eroe: gli eroi sono quelli che hanno il coraggio di andare controcorrente, e non era proprio il suo caso. Non deve diventare un simbolo: nel Medio Oriente che vogliono quelli come lui Israele non esiste, ed è falso dire che quelle lasciate sul web da Arrigoni erano parole di pace. A meno che per pace non s’intenda un luogo senza ebrei, secondo la definizione del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad e di qualcun altro prima di lui. La scelta della madre di non far passare la salma del figlio sul territorio dello Stato israeliano almeno fa chiarezza: «Chi non ha voluto mio figlio da vivo, non l’avrà neanche da morto». Ne avrebbe fatta di più se la signora avesse raccontato anche il resto della storia, e cioè che era suo figlio a non volere lo Stato d’Israele. Ma non si può pretendere tanto da una madre che ha appena subito un dolore così grande.
Con tutti gli altri, però, c’è il dovere di essere chiari. Quelli che su Indymedia scrivono che è «lecito sospettare» che Arrigoni sia stato ucciso da Israele, perché non riescono a concepire che il loro compagno, amico degli islamici, sia stato assassinato da un gruppo di islamici, meritano la qualifica di imbecilli, senza se e senza ma.
L’ipotesi della «pista israeliana» è talmente lunare che nemmeno i propagandisti di Hamas la prendono in considerazione. Ma l’odio per Israele, qui in Occidente, produce questa e altre idiozie. E a chi adesso difende Hamas e presenta il suo programma come ragionevole solo perché si è scoperto che da quelle parti esiste un gruppo di assassini più feroci, si deve rispondere esattamente come si faceva prima che Arrigoni fosse trucidato dai salafiti: che Hamas non è un partito politico, ma un’organizzazione terroristica fondata su base religiosa.
Né il consenso che Hamas ottiene in Palestina, né il fatto che Arrigoni fosse legato a doppio filo con Hamas, devono far scordare il punto fondamentale della faccenda, e cioè che nello statuto di Hamas, scritto nel 1988, si legge ancora oggi che «le cosiddette soluzioni pacifiche, le conferenze internazionali per risolvere il problema palestinese contraddicono i principi del Movimento di Resistenza Islamico. Cedere qualunque parte della Palestina equivale a cedere una parte della religione». Ovviamente per Palestina costoro intendono anche ogni zolla dello Stato d’Israele, al quale dunque non è concesso il diritto di esistere: «Israele, in quanto Stato ebraico, e i suoi ebrei sfidano l’islam e tutti i musulmani».
È promettendo la distruzione di Israele che nel 2006 Hamas, ramo palestinese dei Fratelli Musulmani, ha vinto le elezioni a Gaza, ed è in nome della lotta a ogni compromesso con «l’entità sionista» che Hamas l’anno seguente ha liquidato gli alleati moderati di Al Fatah, ammazzandoli casa per casa. Una tradizione, quella dell’omicidio, che per anni Hamas ha coltivato con gli attentati suicidi e con i missili Qassam (tubi di ferro ripieni di esplosivo) sparati a casaccio sui civili israeliani.
Questi sono gli amici di Arrigoni, i cui obiettivi lui condivideva. Ma dirlo chiaro e tondo in Italia oggi pare impossibile, forse per la paura di offendere un morto, che invece nei suoi giudizi e pregiudizi era sempre stato trasparente. Così ieri chi cercava un commento lucido e non retorico sulla vicenda era costretto a leggerlo sul «Wall Street Journal»: «La scorsa settimana l’ala paramilitare di Hamas si è assunta la responsabilità di sparare un missile guidato anticarro contro un bus scolastico israeliano. Un ragazzino è stato ferito gravemente; è stato solo per un caso fortunato che il bus, vicino alla fine del suo viaggio, avesse già fatto scendere la maggior parte dei suoi giovani passeggeri. Arrigoni non era a Gaza per protestare contro simili infamie, atto che gli avrebbe richiesto qualcosa di più della rigida correttezza politica che nei circoli radicali viene scambiata per coraggio. Ma il suo omicidio resta comunque un oltraggio, e allo stesso tempo forse una lezione sui rischi che si corrono a scambiare assassini terroristi per combattenti della libertà».
Per inviare la propria opinione

Nessun commento:

Posta un commento