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domenica 17 aprile 2011

Vite che non valgono un funerale

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Ci sono posti dove morire non basta. Uccidere, crivellare di colpi un corpo già esanime, lasciare il cadavere in una pozza di sangue che disegna le imperfezioni dell'asfalto non è sufficiente. Si deve andare oltre.
La Calabria è la regione con più casi di lupara bianca d'Europa. A Cosenza s'è da poco chiuso il primo grado di un maxiprocesso denominato "Missing", proprio perché la maggior parte dei 42 omicidi in esame finì con la sparizione del cadavere.
I clan armano le batterie di fuoco, uccidono con brutalità in masserie abbandonate, in casolari invisibili. Poi fanno sparire i corpi per sempre. Perché ci sono vite che non valgono un funerale. Perché ci sono uomini che non meritano una sepoltura, un posto dove piangerli. Perché non lasciare tracce allontana lo spettro di un processo per omicidio.
La vita dei familiari di chi sparisce diventa un inferno fatto di attese inutili. Mogli che dormono accanto a un telefono che non squilla mai, madri senza più lacrime che ogni giorno spolverano la stanza del figlio e continuano a fare lo stesso bucato di quelle camice, in attesa di un ritorno che non esiste.
Qualche anno fa ne ho conosciuta una di queste madri tristi. (leggi tutto)
Mi ero chiesto spesso se era meglio non sapere, piuttosto che avere la certezza di un morto ammazzato. Non ebbi più dubbi. Chi attende una vittima di lupara bianca attende se stesso. Muore. Mi chiamava spesso, al giornale dove lavoravo. Era più uno sfogo che una telefonata. Ore al telefono ma non gli ho mai detto veramente cosa pensassi della storia di suo figlio. Tagliare anche l'ultimo filo di speranza non mi sembrava giusto.
Eppure il meccanismo è sempre uguale: la vittima di lupara bianca paga l'inganno. Viene uccisa lontana dai centri urbani, dal traffico, dalla gente. I killer, eccitati dalla cocaina, non sprecano neanche proiettili, ossessionati dallo stub. Uccidono sgozzando, facendo ingoiare sabbia, sfondando il cranio a colpi di bastone. Poi lavorano sul cadavere: lo sciolgono nell'acido, lo danno in pasto ai maiali, lo seppelliscono in un pilone di cemento armato.
Ho ancora in mente la storia di Santino Panzarella, scomparso per un amore vietato e ritrovato grazie a una clavicola. Ricordo l'appello della madre, Angela Donato, che a "Chi l'ha visto" non chiese il ritorno del figlio, ma la restituzione del cadavere. Perché Angela sa bene come funzionano le cose in certi posti. Ma la tecnica cara ai clan non è più solo calabrese. E' realtà nella ricca Lombardia dei capi firmati e dei blackberry.
Ad ottobre la storia di Lea Garofalo, ex collaboratrice di giustizia sciolta nell'acido in Brianza, a pochi chilometri da Monza. Storie calabresi, tramonti padani. Intrecci coi cinesi di via Paolo Sarpi, Chinatown a Milano.
Ora la verità sulla fine di Antonio Tedesco, detto l'Americano, e di Rocco Stango. Entrambi hanno pagato la violenza dei clan calabresi che operano nell'hinterland meneghino. Il primo freddato in un maneggio del comasco e sepolto sotto una lastra di cemento. Lo hanno ritrovato mummificato, dopo ore di scavi.
Il secondo ucciso e dato in pasto ai maiali a Bernate Ticino, spartiacque fra Lombardia e Piemonte. Le bestie hanno mangiato anche le ossa non lasciando traccia. Senza il racconto di un pentito sarebbero rimasti dei missing per sempre. Missing in Lombardia, dove la 'ndrangheta non esiste."
Biagio Simonetta

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