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sabato 21 aprile 2012

Padre Balducci: Questa Italia di boss e corsari


Da MicroMega

Altrachiesa

Padre Balducci: Questa Italia di boss e corsari

Proponiamo un estratto dal libro "Siate ragionevoli chiedete l’impossibile" di Ernesto Balducci, in questi giorni in libreria per Chiarelettere. Il volume raccoglie i principali scritti politici di padre Balducci, tra i più grandi pensatori cristiani del Novecento.

di padre Ernesto Balducci

Della mafia, come della metafisica, dovrebbero parlare solo gli esperti. Ma mentre gli esperti della metafisica, rari e introvabili, possiamo lasciarli senza nostro danno ai loro soliloqui sublimi e inutili, gli esperti della mafia siamo costretti a sopportarli, quando gli avvenimenti li chiamano a ripeterci la lezione di circostanza, senza che al nostro intelletto esterrefatto giunga mai un barlume di luce. Anzi, di anno in anno, che dico?, di mese in mese il buio si fa sempre più buio.

E se cominciassimo a prendere la parola noi che esperti non siamo? Se cominciassimo, sgombrandoci di dosso ogni complesso di inferiorità, ad applicare anche a questo fenomeno complesso e misterioso i sani e semplici criteri dell’etica politica su cui si basa, o dovrebbe basarsi, la nostra coscienza di cittadini? Ebbene, dopo aver fatto per una giornata una rigorosa astinenza – non ho toccato un quotidiano, non ho ascoltato un giornale radio, per paura di imbattermi negli esperti governativi – provo a dire la mia.

E comincio con la considerazione più ovvia: la mafia è il segno del fallimento dello Stato, anzi è la crescita di uno Stato illegale dentro le viscere dello Stato legale. I due organismi vivono utilizzando gli stessi apparati: respirano la stessa aria, sono irrorati dallo stesso sangue. Vivono in simbiosi, insomma, tanto che la morte dell’uno sarebbe, stando così le cose, la morte dell’altro. Nessuna radioscopia vi permetterebbe di distinguerli l’uno dall’altro. Nello Stato legale si fa largo ricorso a espedienti illegali e nello Stato illegale si fa largo uso di espedienti legali.

Su questo sfondo, la mafia propriamente detta è una espressione particolare di un male oscuro che ormai investe l’intero apparato amministrativo dello Stato. Un amico imprenditore che opera a Milano ha cercato perfino il mio aiuto per sventare un costume ormai diventato normale in tutte le amministrazioni della penisola: quello delle tangenti nelle aste pubbliche. A suo giudizio non c’è in Italia un solo Comune che ne sia esente. Perfino alcuni amici parlamentari, competenti e onesti, ai quali ho esposto la questione, hanno scosso la testa e mi hanno detto: è vero, ma non c’è niente da fare! E così tutto continua, a tutt’oggi.

Chi si presenta al concorso si sente dire dall’impiegato addetto: «Scusi, lei ha una presentazione?». Un modo pulito per chiedere quale partito o comunque quale padrino il postulante ha alle spalle. La cultura della tangente è ormai la cultura base del paese di Mazzini e di Garibaldi. Se la mafia del Sud ci getta, come oggi, nella costernazione, è perché essa fa largo uso della eliminazione fisica di chiunque, come Libero Grassi, si opponga alla prassi illegale. Ma ci sono infiniti modi per rendere innocui gli onesti: l’uccisione è il metodo più primitivo.
La mafia potrebbe davvero scomparire solo se il principio della legalità diventasse nella coscienza collettiva quello che è di per sé: il modo più elementare di esercitare la responsabilità per il bene comune.

Ma che avviene? Mi pare di vederlo a occhio nudo.
Di anno in anno si fa sempre più diffuso uno spirito di rassegnazione che spesso diventa cinismo. Ma che forse non è, il cinismo, l’ultimo surrogato delle ideologie che nel passato davano una qualche tonalità ideale al nostro ceto politico? Io non arrivo a sospettare che la nostra nomenklatura sia in rapporti di collusione con la mafia. Ma sono certo che se non c’è una complicità programmata, c’è una complicità oggettiva, il cui segno evidente è la spartizione del potere, l’uso degli apparati pubblici per fini di parte, l’assegnazione delle prebende – si pensi ai posti direttivi nelle banche – secondo logiche di parte. Del resto, lo spregio della legalità è diventato un principio proclamato dalle più alte cattedre dello Stato come dimostrano i pubblici elogi fatti agli esponenti di Gladio e della P2.

Non ci salveremo da questo male se non ci sarà una insurrezione democratica [...] Il cosiddetto «paese legale» si è costituito come un corpo separato la cui sopravvivenza impone metodi troppo affini a quelli della mafia. La parete di separazione va abbattuta, i criteri di rappresentanza vanno ripensati, le regole dello stato di diritto devono essere in grado di tener soggetto ogni potere, economico, politico, culturale, al criterio sommo del bene comune. Le segregazioni ideologiche non hanno più senso, e i monumenti viventi che fanno ombra al paese vanno calati giù dal piedistallo. Si accumulano di mese in mese i segnali dell’urgenza di questa operazione. Dobbiamo creare un nuovo Stato che abbia senso anche per le popolazioni del Sud per le quali, dall’Unità in poi, lo Stato ha voluto dire una vergognosa subalternità a poteri politici ed economici insediati altrove. È in questo vuoto che è nata la mafia, metabolizzando, in forme adatte al clima, un male imperversante nell’intero paese.

Un giorno Alessandro Magno riuscì a catturare un pericoloso corsaro. «Non ti vergogni – gli disse – di impadronirti delle navi con la forza?» «Io – gli rispose il corsaro – conquisto le navi, tu conquisti gli imperi: che differenza c’è?» Nell’antico apologo ci sono tutti i termini per un dialogo tra un boss di Palermo e un boss di Roma. E noi continuiamo a gettar fiori sulle bare, con le lacrime agli occhi.

da «Il Secolo XIX», 1° settembre 1991


Da MicroMega

Altrachiesa

Ernesto Balducci, un maestro da riscoprire


Pubblichiamo la prefazione di don Andrea Gallo a "Siate ragionevoli chiedete l’impossibile" di Ernesto Balducci (Chiarelettere).

di don Andrea Gallo

Ernesto Balducci è stato uno straordinario testimone del Vangelo e credo che più che un personaggio da commemorare, a vent’anni dalla morte, sia un uomo da ascoltare e da studiare.

Sono stato sul monte Amiata, a Santa Fiora (Grosseto), il paese dove padre Balducci è nato nel 1922, e ho fatto il percorso dalla Badia Fiesolana a Santa Fiora come un pellegrinaggio. È proprio a Santa Fiora che avviene la «svolta antropologica», l’affermazione della centralità dell’essere umano e insieme la necessità di una vera e propria riconversione del nostro modo di pensare e di agire. Questa è una terra straordinaria, dove è ancora viva la memoria di David Lazzaretti, il «profeta dell’Amiata» ucciso nel 1878 dalla Guardia regia, come quella dei martiri fucilati durante la Resistenza mentre difendevano le miniere in cui lavoravano, minacciate dall’esercito tedesco in ritirata. «Quando più alto in me si fa il fastidio morale per questo mondo – scrive Balducci –, mi capita di tornare a quegli anni lontani, in quella piccola scuola invasa dalla tramontana, dove l’ideologia della prepotenza cercava di corromperci. Non c’è riuscita. Ma mentre Eraldo, Mauro, Luigi e gli altri hanno pagato con la vita… io, noi sopravvissuti, che andiamo facendo?»

Abbiamo sotto gli occhi l’insostenibilità politica e sociale di un modello di sviluppo che ha mostrato tutta la sua inadeguatezza. Dobbiamo muoverci, in questo senso è proprio la parola e la testimonianza di padre Ernesto a spronarci. Balducci per me è un maestro e non smetto mai di ricordarlo in ogni incontro e occasione pubblica. Dobbiamo leggere padre Balducci, è lui a insegnarci che dobbiamo «osare la speranza». Abbiamo bisogno di un nuovo paradigma culturale, non c’è più tempo da perdere. Dobbiamo ripensare la nostra civiltà e il nostro modello di convivenza secondo un’ottica che sia globale, planetaria. E allora basta competizione sfrenata, ci vuole solidarietà, ma una solidarietà liberatrice e responsabile, ben diversa dall’assistenzialismo che conosciamo e che ci tiene lontani dall’altro, mettendoci a posto la coscienza con la retorica dei buoni sentimenti.

La parola di padre Balducci ci viene incontro con la forza di una rivelazione: «Viviamo in una società che, con la complicità di tutti, solleva alcune persone sui piedistalli dell’ammirazione sconfinata e della sconfinata gratificazione economica, senza che a questa glorificazione facciano riscontro valori veramente umani» («La droga del successo», 1991). E ancora:
«Spinti dal nostro feticismo produttivo, noi stiamo avanzando in regioni spaventose, quelle del benessere vuoto di ogni valore» («Quei suicidi al tramonto della speranza», 1990). La nuova cultura planetaria che siamo chiamati con urgenza a costruire è agli antipodi del consumismo e dello sfruttamento. «La cultura della competizione [...] è condannata non solo dalla coscienza – ci ammonisce padre Ernesto –, ma dall’istinto di sopravvivenza. I valori alternativi sono, non dico possibili, ma necessari» («Le attese tradite dietro la droga», 1988). Dobbiamo ritornare a essere soggetti delle nostre vite e così anche della storia dell’uomo, una storia che deve diventare redentrice.

Ho ascoltato padre Balducci a Genova pochi giorni prima della sua tragica scomparsa in un incidente stradale. Le sue parole mi hanno conquistato. Ancora oggi porto dentro di me la sua lezione, l’importanza dell’«uomo inedito», dell’«uomo nascosto» che è patrimonio di ogni cultura e di ogni religione. Un uomo nascosto nel profondo di ciascuno di noi. «Nella natura dell’uomo – scrive padre Balducci – c’è tutto, ci sono possibilità che non hanno ancora trovato espressione. Le religioni devono tutte rigenerarsi nella loro sorgente nascosta [...] Le religioni hanno una forma edita, in quanto sono entrate a far parte di una cultura, l’hanno alimentata, l’hanno magari anche generata, ma hanno subito i condizionamenti della realtà storica dell’uomo e si sono macchiate di violenza. C’è però alla loro radice una ispirazione di fondo che le rende omogenee alle attese dell’uomo nascosto e che fa di esse dei veri messaggi di pace.» E ancora: «C’è in noi quello che chiamavo, con Bloch, l’homo absconditus: un uomo che non trova il suo linguaggio adeguato nell’homo editus. Non c’è una lingua che traduca le attese, le aspettative, le possibilità reali dell’homo absconditus. Potremmo dire che la sua attesa è quella della profezia» («L’homo editus e l’homo absconditus», 1993).

Un nuovo mondo è possibile? Padre Balducci ha annunciato le grandi contraddizioni del Terzo millennio. La minaccia ecologica, prima di tutto, e vediamo che i vertici mondiali sul clima non riescono a combinare nulla di concreto. «Ogni patto sociale viene meno quando entra in gioco la sicurezza della sopravvivenza. Allora le responsabilità tornano là dove è la vera sorgente di ogni sovranità, tornano nelle nostre mani» («Essere o non essere», 1988). Ma noi siamo chiusi come in una fortezza, la paura del diverso genera violenza ed emarginazione. La scienza e la tecnica hanno modificato la comprensione e la dinamica della vita, provocando l’accelerazione del tempo vitale e l’alterazione drammatica dei ritmi naturali. Il pianeta terra è ormai come un missile che viaggia a velocità supersonica, senza freni.

È venuto allora il momento di costruire la democrazia della terra. La terra che abitiamo, sorgente di vita, da preservare come casa comune. «La vera coscienza rivoluzionaria non è quella di classe, è quella di specie» («Tutti insieme per non scomparire», 1989). Dobbiamo dar vita a un contratto sociale, su scala planetaria, che permetta a ogni paese di preservare i propri valori e l’identità del suo popolo, la diversità culturale, le ricchezze e le bellezze naturali. Dobbiamo costruire un paradigma di civiltà che sia fondato sul ben-vivere e non solo sul ben-essere, che poi finisce col diventare ben-avere, generando quella diseguaglianza sociale che vediamo sempre di più nelle nostre città. Ognuno deve sentirsi cittadino della terra, e per questo ci vuole una grande campagna di educazione, soprattutto tra i giovani. L’Italia deve essere in prima linea. Ma dove sono finiti i veri cristiani? Gesù ha detto: «Io sono venuto per servire, non per essere servito». C’è bisogno di un cristianesimo più autentico. Padre Ernesto Balducci è ancora vivo e ci indica la strada. Basta volerlo ascoltare e studiare.

(19 aprile 2012)

domenica 1 aprile 2012

Boom di armi in Africa Da Nigrizia Ricerca Sipri Boom di armi in Africa Negli ultimi 5 anni, è stato acquistato nel continente oltre il 53% in più dei grandi sistemi d'arma rispetto al periodo precedente. Impennata nei paesi della sponda sud del Mediterraneo, in Sudafrica, Nigeria e Uganda. A livello globale, la spesa per armamenti è cresciuta del 24%. Ci sarà pure la crisi, ma le armi continuano ad affluire in modo copioso in Africa. Sembrano non risentire della recessione in atto. Il Sipri, l'Istituto internazionale sulla pace di Stoccolma - tra i più accreditati nel condurre ricerche in materia di conflitti e impegnato nello studio sulle spese degli armamenti - ha messo a confronto i dati del quinquennio 2002-2006 con quelli del 2007-2011. Scoprendo che c'è stato un aumento di oltre il 53% di importazione in Africa dei grandi sistemi d'arma convenzionali (aerei, elicotteri, carri armati, autoblindo, pezzi di artiglieria, sensori radar, sistemi di difesa aerea, missili, navi di oltre 100 tonnellate con cannoni, motori per aerei e veicoli armati, torrette per natanti e veicoli armati. Le cosiddette "armi leggere" o "piccole armi" non sono incluse nella statistica Sipri). Così oggi il continente pesa oltre il 10% (13.329 milioni di dollari per un volume totale di trasferimenti di 128.343 milioni) a livello planetario, quando cinque anni prima era fermo all'8,3 (8.660 milioni di dollari contro 103.743 milioni). Dati che tengono conto anche dell'Egitto, mentre il Sipri colloca Il Cairo nel Medio Oriente. L'impennata si è avuta grazie agli acquisti di armi avvenuti nella sponda sud del Mediterraneo. Una crescita del Nord Africa di oltre il 72% (da 5.099 milioni a 8.722). Mentre per l'Africa Sub-sahariana la crescita è stata del 29% (da 3.561 milioni a 4.607). Il record, in termini di crescita, l'ha conquistato il Marocco, con un più 443% rispetto al quinquennio 2002-2006. Grazie, in particolare alla performance del 2011, che ha visto Rabat importare armi per un valore complessivo di 1.558 milioni di dollari. Tra gli acquisti eccellenti troviamo 16 F16, aerei da combattimento, dagli Usa; 27 aerei Mf 2000 dalla Francia; una fregata dall'Olanda... Algeri, tuttavia, resta inarrivabile come spesa militare, posizionandosi in testa nell'ultimo quinquennio: 4.644 milioni di dollari, quattro volte tanto la spesa del periodo precedente (1.141 milioni). Grande fornitore algerino rimane la Russia (4.301). Nell'Africa Sub-sahariana, il Sudafrica da solo rappresenta il 41% delle importazioni d'armi, quasi raddoppiando la quota del periodo 2002-2006 (1.842 milioni contro 977). In calo il Sudan (415 milioni contro 739), mentre in fortissima ascesa la Nigeria (406 milioni contro 86) e l'Uganda (334 rispetto ai 76 del quinquennio precedente). Sorprende anche l'attivismo della Guinea Equatoriale, ben rifornita dall'Ucraina (194 milioni) e da Israele (70 milioni). Per quanto riguarda i dati generali, i trasferimenti mondiali di armi continuano a crescere a doppia cifra: più 24% nel periodo 2007-2011 rispetto al quinquennio precedente. La regione Asia-Oceania rappresenta ormai il 44% delle importazioni mondiali di armamenti, mentre i primi esportatori sono gli Stati Uniti (30%). Il maggior cliente dei "mercanti di morte" si conferma l'India, che vale da sola il 10% delle importazioni mondiali. Crescono le spese militari del gigante asiatico: nel 2012-2013 aumenteranno del 17%, per raggiungere quota 40 miliardi di dollari, il doppio circa di quanto investa l'Italia. Delhi sta diversificando le fonti di approvvigionamento e sviluppando un'industria nazionale. In evoluzione anche bilancio della difesa cinese, in crescita dell'11,2% nel 2012. Nell'ultimo decennio è più che triplicato: era di 27,9 miliardi di dollari nel 2000, è arrivato a 91,5 nel 2012. (Giba) Nigrizia - 30/03/2012