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mercoledì 30 marzo 2011

L’Italia ha già perso la sua guerra di Libia

L’Italia ha già perso la sua guerra di Libia
Dopo aver celebrato in sordina il Centocinquantenario dell’Unità, il Governo italiano ha scelto d’aggiungere ai festeggiamenti uno strascico molto particolare: una guerra in Libia. Un conflitto che sa tanto di amarcord: la Libia la conquistò Giolitti nel 1911, la “pacificò” Mussolini nel primo dopoguerra, e fu il principale fronte italiano durante la Seconda Guerra Mondiale. Questa volta, però, le motivazioni sono molto diverse.
Sgombriamo subito il campo da ogni dubbio: solo uno sprovveduto potrebbe pensare che l’imminente attacco di alcuni paesi della NATO alla Libia sia davvero motivato da preoccupazioni “umanitarie”. Gheddafi, certo, è un dittatore inclemente coi suoi avversari. Ma non è più feroce di molti suoi omologhi dei paesi arabi, alcuni già scalzati dal potere (Ben Alì e Mubarak), altri ancora in sella ed anzi intenti a soffiare sul fuoco della guerra (gli autocrati della Penisola Arabica).

L’asserzione dell’ex vice-ambasciatore libico all’ONU, passato coi ribelli, secondo cui sarebbe in atto un «genocidio», rappresenta un’evidente boutade. È possibile ed anzi probabile che Gheddafi abbia represso le prime manifestazioni contro di lui (come fatto da tutti gli altri governanti arabi), ma l’idea che abbia impiegato bombardamenti aerei (!) per disperdere cortei pacifici è tanto incredibile che quasi sarebbe superflua la smentita dei militari russi (che hanno monitorato gli eventi dai loro satelliti-spia).
Non è stato necessario molto tempo perché dalle proteste pacifiche si passasse all’insurrezione armata, ed a quel punto è divenuto impossibile parlare di “repressione delle manifestazioni”. Anche se i giornalisti occidentali, ancora per alcuni giorni, hanno continuato a chiamare “manifestanti pacifici” gli uomini che stavano prendendo il controllo di città ed intere regioni, e che loro stessi mostravano armati di fucili, artiglieria e carri armati (consegnati da reparti dell’Esercito che hanno defezionato e forse anche da patroni esterni). Da allora Gheddafi ha sicuramente fatto ricorso ad aerei contro i ribelli, ma i pur numerosi giornalisti embedded nelle fila della rivolta non sono riusciti a documentare attacchi sui civili. La stessa storia delle “fosse comuni”, che si pretendeva suffragata da un’unica foto che mostrava quattro o cinque tombe aperte su un riconoscibile cimitero di Tripoli, è stata presto accantonata per la sua scarsa credibilità.
La guerra civile tra i ribelli ed il governo di Tripoli, che prosegue – a quanto ne sappiamo – ben poco feroce, giacché i morti giornalieri si contano sulle dita di una o al massimo due mani, stava volgendo rapidamente a conclusione. Il problema è che a vincere era, agli occhi d’alcuni paesi atlantici, la “parte sbagliata”. La storia – in Krajina, in Kosovo, persino in Iràq – ci ha insegnato che, generalmente, gl’interventi militari esterni fanno più vittime di quelle provocate dai veri o presunti “massacri” che si vorrebbero fermare. In Krajina, ad esempio, i bombardamenti “umanitari” della NATO permisero ai Croati d’espellere un quarto di milione di serbi: una delle più riuscite operazioni di “pulizia etnica” mai praticate in Europa, almeno negli ultimi decenni.
Le motivazioni reali dell’intervento, dunque, sono strategiche e geopolitiche: l’umanitarismo è puro pretesto. In questo sito si può leggere molto sulle reali motivazioni della Francia, degli USA e della Gran Bretagna (vedasi, ad esempio: Intervista a Jacques Borde; Libia: Golpe e Geopolitica di A. Lattanzio; La crisi libica e i suoi sciacalli di S.A. Puttini). Motivazioni, del resto, facilmente immaginabili. Qui ci sofferemo invece sulle scelte prese dal Governo italiano.
Cominciamo dall’inizio. Prima dell’esplodere dell’insurrezione, l’Italia ha un rapporto privilegiato con la Libia. Il nostro paese è innanzi tutto il maggiore socio d’affari della Jamahiriya: primo acquirente delle sue esportazioni e primo fornitore delle sue importazioni. La Libia vende all’Italia quasi il 40% delle sue esportazioni (il secondo maggior acquirente, la Germania, raccoglie il 10%) e riceve dalla nostra nazione il 18,9% delle sue importazioni totali (il secondo maggiore venditore, la Cina, fornisce poco più del 10%). La dipendenza commerciale della Libia dall’Italia è forte, dunque, ma è probabile che il rapporto abbia maggiore valenza strategica per noi che per Tripoli. La Libia possiede infatti le maggiori riserve petrolifere di tutto il continente africano (per giunta petrolio d’ottima qualità), è geograficamente prossimo al nostro paese e dunque si profila naturalmente come fornitore principale, o tra i principali, di risorse energetiche all’Italia. La nostra compagnia statale ENI estrae in Libia il 15% della sua produzione petrolifera totale; tramite il gasdotto Greenstream nel 2010 sono giunti in Italia 9,4 miliardi di metri cubi di gas libico. I contratti dell’ENI in Libia sono validi ancora per 30-40 anni e, malgrado l’atteggiamento italiano che analizzeremo a breve, Tripoli li ha confermati il 17 marzo per bocca del ministro Shukri Ghanem. Attualmente la Libia concede ad imprese italiane tutti gli appalti relativi alla costruzione d’infrastrutture, garantendo così miliardi di commesse che si ripercuotono positivamente sull’occupazione nel nostro paese. Infine la Libia, che grazie alle esportazioni energetiche è un paese relativamente ricco (ha il più elevato reddito pro capite dell’Africa), investe in Italia gran parte dei suoi “petrodollari”: attualmente ha partecipazioni in ENI, FIAT, Unicredit, Finmeccanica ed altre imprese ancora. Un apporto fondamentale di capitali in una congiuntura caratterizzata da carenza di liquidità, dopo la crisi finanziaria del 2008.
Tutto ciò fa della Libia un caso più unico che raro, dal nostro punto di vista, tra i produttori di petrolio nel Mediterraneo e Vicino Oriente. Quasi tutti, infatti, hanno rapporti economici privilegiati con gli USA e con le compagnie energetiche anglosassoni, francesi o asiatiche.
La relazione italo-libica è stata suggellata nel 2009 dal Trattato di Amicizia, Partenariato e Cooperazione, siglato a nome nostro dal presidente Silvio Berlusconi ma derivante da trattative condotte già sotto i governi precedenti, anche di Centro-Sinistra. Tale trattato, oltre a rafforzare la cooperazione in una lunga serie di ambiti, impegnava le parti ad alcuni obblighi reciproci. Tra essi possiamo citare: il rispetto reciproco della «uguaglianza sovrana, nonché tutti i diritti ad essa inerenti compreso, in particolare, il diritto alla libertà ed all’indipendenza politica» ed il diritto di ciascuna parte a «scegliere e sviluppare liberamente il proprio sistema politico, sociale, economico e culturale» (art. 2); l’impegno a «non ricorrere alla minaccia o all’impiego della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica dell’altra Parte» (art. 3); l’astensione da «qualsiasi forma di ingerenza diretta o indiretta negli affari interni o esterni che rientrino nella giurisdizione dell’altra Parte» (art. 4.1); la rassicurazione dell’Italia che «non userà, né permetterà l’uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile contro la Libia» e viceversa (art. 4.2); l’impegno a dirimere pacificamente le controversie che dovessero sorgere tra i due paesi (art. 5).
L’Italia è dunque arrivata all’esplodere della crisi libica come alleata di Tripoli, legata alla Libia dalle clausole – poste nero su bianco – di un trattato, stipulato non cent’anni fa ma nel 2009, e non da un governo passato ma da quello ancora in carica.
L’atteggiamento italiano, nel corso delle ultime settimane, è stato incerto ed imbarazzante. Inizialmente Berlusconi dichiarava di non voler “disturbare” il colonnello Gheddafi (19 febbraio), mentre il suo ministro Frattini agitava lo spettro di un “emirato islamico a Bengasi” (21 febbraio). Ben presto, però, l’insurrezione sembrava travolgere le autorità della Jamahiriya e l’atteggiamento italiano mutava: Frattini inaugurava la corsa al rialzo delle presunte vittime dello scontro, annunciando 1000 morti (23 febbraio) mentre Human Rights Watch ancora ne conteggiava poche centinaia; il ministro della Difesa La Russa (non si sa in base a quali competenze specifiche) annunciava la sospensione del Trattato di Amicizia italo-libica, sospensione per giunta illegale (27 febbraio). Gheddafi riesce però a ribaltare la situazione e parte alla riconquista del territorio caduto in mano agl’insorti. Man mano che le truppe libiche avanzano, il bellicismo in Italia sembra spegnersi: il ministro Maroni arriva ad invitare gli USA a «darsi una calmata» (6 marzo). Ma la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU del 17 marzo, che dà il via libera agli attacchi atlantisti sulla Libia, provoca una brusca virata della diplomazia italiana: il nostro governo mette subito a disposizione basi militari ed aerei per bombardare l’ormai ex “amico” e “partner”.
È fin troppo evidente come il Governo italiano abbia, in questa vicenda, manifestato un atteggiamento poco chiaro e molto indeciso; semmai, s’è palesata una spiccata propensione ad ondeggiare a seconda degli eventi, cercando di volta in volta di schierarsi col probabile vincitore. Come già in altre occasioni recenti di politica estera, il Capo del Governo è parso assente, lasciando che suoi ministri dettassero o quanto meno comunicassero alla nazione la linea dell’Italia. L’ambivalenza ha scontentato sia il governo libico, che s’aspettava una posizione amichevole da parte di Roma, sia i ribelli cirenaici, che hanno ricevuto sostegno concreto dalla Francia e dalla Gran Bretagna ma non certo dall’Italia. Infine, il Trattato di Amicizia, siglato appena due anni fa, è stato stracciato e Berlusconi si prepara, seppur sotto l’égida dell’ONU, a scendere in guerra contro la Libia.
Qualsiasi sarà l’esito dello scontro, l’Italia ha già perduto la sua campagna di Libia. I nostri governanti, memori della peggiore specialità nazionale, hanno celebrato il Centocinquantenario dell’Unità con un plateale voltafaccia ai danni della Libia: una riedizione tragicomica del dramma dell’8 settembre 1943. Questa volta non sarà l’Italia stessa, ma l’ex “amica” Libia, ad essere consegnata ad una guerra civile lunga e dolorosa, che senza ingerenze esterne si sarebbe conclusa entro pochi giorni.
Ma non si sta perdendo solo la faccia e l’onore. Le forniture petrolifere e le commesse, comunque finirà lo scontro, molto probabilmente passeranno dalle mani italiane a quelle d’altri paesi: se non tutte, in buona parte. Se vincerà Gheddafi finiranno ai Cinesi o agl’Indiani; se vinceranno gl’insorti ai Francesi ed ai Britannici; in caso di stallo e guerra civile permanente in Libia resterà poco da raccogliere. Se non ondate d’immigrati ed influssi destabilizzanti per tutta la regione.
* Daniele Scalea, redattore di “Eurasia” e segretario scientifico dell’IsAG, è autore de La sfida totale (Roma 2010). È co-autore, assieme a Pietro Longo, d’un libro sulle rivolte arabe di prossima uscita.
http://www.eurasia-rivista.org/8778/litalia-ha-gia-perso-la-sua-guerra-di-libia
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Articolo 21 - ESTERI
Guerra, Pace e Internet
di Santo Della Volpe

Guerra, Pace e Internet Durante la Guerra del Golfo, nell’ormai lontano 1991, ogni discussione sulla democrazia con i nostri “censori” (gli uomini dei servizi segreti che seguivano, letteralmente, i giornalisti) finiva sempre  con la stessa frase: “noi arabi siamo diversi, qui abbiamo bisogno di dittatori e condottieri, non siamo e non  saremo mai come voi Occidentali”. Era una scusa per  giustificare il potere sanguinario di Saddam Hussein e l’assenza di democrazia in Iraq. Un giorno uno dei vari “mukhabarat”, più aperto di altri e che parlava spagnolo, aggiunse pensoso:”chissà cosa dovrà accadere e quanti anni ci vorranno prima che si possa parlare di democrazia nei paesi arabi”. E sembrò una grande apertura mentale e politica.

Sono passati 20 anni esatti da allora: non ho più visto quell’uomo, Maruan, e la sua famiglia (si dice che sia scappato in Inghilterra, ancora sotto il regime di Saddam; speriamo….). Ma oggi, di fronte alle rivoluzioni e rivolte  democratiche nel Nord Africa ed in altri paesi arabi sono arrivate le prime smentite e risposte a quel comodo ragionamento: c’è voluta una generazione e mezza ed è bastata la libera comunicazione, Internet e Twitter, i telefoni cellulari ed i Blog, per aprire gli orizzonti,in quello spazio metafisico che è il Web dove la censura non è possibile, dove la libertà non è concetto astratto ma quel che Nelson Mandela definiva come libertà, esattamente “ciò che  i governi possono o non possono fare”. Perché  “il termine libertà abbraccia tutte le regole ed i limiti che governano la politica,la giustizia, l’economia e la religione”. E dove non c’è , la libertà si cerca perché è possibile ed è visibile in molti paesi del mondo, non più nell’aldilà paradisiaco promesso dal fondamentalismo religioso oppure  ai cosiddetti ‘martiri’ dai maestri del terrorismo islamico. Semplicemente la libertà era visibile dall’altro capo del computer o dall’altra parte del Mediterraneo o dell’Oceano Atlantico, là dove addirittura un ‘nero’ era stato eletto presidente degli Stati Uniti…: “perché io qui posso parlare liberamente per strada  e nel mio paese no?”  chiedeva ad un giornalista Rai un giovane tunisino alcune settimane fa.  Una domanda che sottintendeva una richiesta di cittadinanza piena: esattamente quello che i regimi dittatoriali tunisino, egiziano, yemenita,siriano  e soprattutto libico, hanno negato per decenni, facendo saltare “i coperchi” personali, sociali, politici; la rivolta giovanile, la ribellione che ha mantenuto carattere pacifico e non violento (in Tunisia ed in Egitto,in particolare), sino a quando non è subentrata una repressione armata sanguinaria ed estrema. Esattamente quello che è successo in Libia, dove Gheddafi ha annunciato in Televisione la sua intenzione di uccidere, letteralmente far fare la fine dei topi, a tutti coloro che si  sono ribellati.
E’ qui che si pone il problema, nostro Occidentale, nostro pacifista, nostro democratico. Innanzitutto  va detto che il cambiamento epocale che avviene in questi paesi arabi smentisce ancora una volta l’illogica  e spergiura guerra in Iraq di Bush e soci; là si invase una nazione guidata da un tiranno che  si era lasciato governare sotto  embargo(provocando immensi sacrifici della popolazione) con la presunzione di portare la democrazia dal di fuori, pensando che quel popolo fosse incapace di ribellarsi, quando  nel 1991 lo si era lasciato da solo a morire di fronte alla repressione di Saddam. Queste rivolte dimostrano invece che la democrazia era ed è possibile  che nasca da dentro le singole nazioni e sulla spinta delle generazioni giovanili.

Per anni e decenni i governi occidentali hanno preferito non vedere questi giovani (che, lo ricordiamo, in paesi come la Tunisia o l’Egitto sono il 60% della popolazione, quindi il futuro di quelle nazioni…), ignorando le loro richieste di cittadinanza: i governi, e soprattutto il nostro guidato da un plurisettantenne ignorante in materia quanto arrogante, non hanno voluto leggere ciò che accadeva nei Blog e sul Web, preferendo fare gli affari con i dittatori baciando loro le mani. Non hanno voluto usare la politica per chiedere che in quei paesi si sviluppasse il diritto di cittadinanza e la democrazia, preferendo  la comoda  e pigra riflessione del mio “mukhabarat” iracheno di 20 anni fa: i dittatori? Sono inevitabili, tanto vale farci affari, con tende nei parchi e cavallerizze, hostess e parate militaresche, usarli per il loro petrolio e utilizzarli per trattenere  gli immigrati ed i profughi, ossessione stupida e paurosa di un gruppo di politici  guidati dalla Lega Nord (inefficienti quanto arroganti), incapaci di governare il presente italiano, figurarsi il futuro del Mediterraneo.  Quel futuro che ci aspetta e coinvolge tutti noi, dove i giovani Nord Africani avranno in mano il lavoro e lo sviluppo dei loro paesi ed anche, in parte, dei nostri, visto l’andamento demografico e del mercato del lavoro. Quelle nuove classi dirigenti arabe che  vogliono democrazia  e libertà per  aumentare la distribuzione sociale delle ricchezze che inevitabilmente venderanno a noi  occidentali, semplicemente perché noi siamo la maggioranza dei consumatori: e che quindi ci converrebbe aiutare nelle loro ribellioni, anche  solo guardando egoisticamente al nostro futuro; seguire nelle loro richieste di governo e cittadinanza attiva, perché dalle loro democrazie, poi tutti potremo averne giovamento politico ed economico, per la pace e la sicurezza nel Mediterraneo e nella gestione delle fonti energetiche. Anche solo per questi motivi dovevamo prima e dobbiamo ora aiutare quei popoli nella ribellione ed offrire loro una sponda, una assistenza in casa propria ed ospitarli quando fuggono e vengono da noi. Perché l’ospitalità non si dimentica: chi oggi accoglie verrà ripagato in seguito, chi oggi aiuta troverà le porte aperte quando ci sarà bisogno di governare  il mondo per il benessere comune e diffuso. Già questo basterebbe per accogliere e non respingere gli immigrati: per umanità, solidarietà, amicizia e comprensione.  Ed anche questo impone una riflessione sul presente dei rapporti con i paesi in rivolta e del futuro del dopo rivoluzione nei paesi arabi in movimento.

L’obiezione  più logica è oggi la più diffusa nei Blog e sul Web. Sino a ieri abbiamo baciato le mani a Gheddafi ed oggi lo bombardiamo? Che legittimità ha oggi la guerra in Libia quando sino a ieri non si è mai fatto nulla per affermare la libertà ed il diritto alla democrazia in quel Paese? Non c’era una modo per  risolvere la guerra civile in Libia senza usare i missili e le bombe? Per un pacifista convinto sono domande difficili: e bisogna  subito dire che la responsabilità di questo governo è totale. Hanno dimostrato inefficienza e incapacità politica, tale da far pensare che l’unica cosa da augurarsi è che, senza idee e progetti come sono, se ne vadano al più presto. Balbettanti in politica, senza un accenno  di posizione internazionale che proponga prospettive. Lontani anche da gli altri paesi intervenuti in Libia, messi in mezzo (i nostri ministri) solo perché geograficamente l’Italia  non può essere emarginata.

Ma, tornando al mondo dei veri “responsabili”  la pace “senza se e senza ma” deve fare i conti con la situazione sul terreno, pratica e dolorosa, di una guerra dove da una parte c’è un dittatore che spara con i carri armati sul suo popolo usando milizie mercenarie e dall’altra rivoltosi che chiedono democrazia e libertà, con fucili e razzi per difendersi,armati male e soggetti a bombardamenti. A quel punto, in Libia si doveva lasciare che i giovani in rivolta di Bengasi fossero spianati ed uccisi, uno per uno, migliaia e migliaia di vittime per colpa dell’inerzia delle democrazie occidentali? Quelle stesse che poi, avendo lasciato che Gheddafi avesse fatto piazza pulita, sarebbero tornate a fare affari con il dittatore, a prenderne tranquillamente gas e petrolio arricchendo la sua oligarchia sanguinaria? E che contraccolpo avrebbe avuto nelle altre nazioni in rivolta, tra i giovani che ora chiedono in Siria libertà e democrazia? 

La risposta mi è arrivata da molti amici : più poteri all’Onu, più sanzioni al dittatore, una politica stringente che  bloccando gli affari petroliferi, di armi ed immobiliari, chiudesse Gheddafi in una morsa dal quale poteva uscire solo andandosene. Sono abbastanza convinto, vista l’evoluzione della repressione in Libia,che Gheddafi non si sarebbe spaventato, né che avrebbe mai lasciato il potere con questi mezzi: ma, soprattutto, nonostante quegli ipotetici esclusivi metodi politico-diplomatici, gli “ shabab”(i rivoltosi libici) sarebbero stati sconfitti ed eliminati, Bengasi occupata e rastrellata casa per casa, a riflettori mediatici spenti, nel silenzio della repressione. Una nuova terribile Srebrenitza, con l’ONU impotente a guardare per magari ritirarsi nelle discussioni nel Palazzo di Vetro, lasciando dietro di sé una scia di morte civile, di persone e di speranze.

Ed ora che fare?  Per rispondere a questa domanda bisogna pensare al futuro, immediato e più lontano: Papa Benedetto XVI lo ha visto prima di altri, quando all’Angelus di domenica 27 marzo si è rivolto a “tutte le parti”  chiedendo “l’immediato avvio di un dialogo, che sospenda l’uso delle armi”. Quindi, prima il dialogo, la trattativa, chiede il Papa, non a caso in sintonia con  l’unico paese musulmano della Nato, la Turchia. Un dialogo che sospenda poi la guerra. Dopo.

Ma per aprire una trattativa c’è bisogno che Gheddafi lasci il potere, vada in esilio e che si avvii un governo di transizione democratica, verso la conciliazione nazionale, sullo stile di Nelson Mandela, quando divenne presidente del Sudafrica. Come costringere Gheddafi a lasciare? Certo con la politica e la pressione internazionale, più che con le armi. Perché le armi chiamano altre armi, perché l’ombrello Nato non può durare  per mesi, per non incancrenire  scontri tribali e vendette. Ma anche  perché ora, quando gli insorti arriveranno al confine cioè tra Cirenaica e Tripolitania, c’è il rischio che la rivolta diventi vera guerra civile,dove le tribù della Tripolitania si possono schierare contro le tribù della Cirenaica; quindi civili contro civili, esercito contro esercito, libici contro libici. A quel punto la posizione della Nato e del gruppo di contatto dei paesi potrebbe diventare imbarazzante, si rischia  di uscire dal mandato della risoluzione 1973 dell’Onu.

Quindi ora  è tempo che la diplomazia internazionale si metta al lavoro in modo stringente, da subito. Per mandare via Gheddafi e famiglia, i ministri compromessi con la repressione della rivolta e delle libertà. Insomma che si vada alla costituzione di un governo   deponendo così le armi da tutte le parti. 
Ma  guardando al futuro in modo  più lungimirante, è ormai ora che i governi europei, soprattutto l’Italia, mettano in campo un vero programma di ricostruzione  e di  sviluppo democratico che coinvolga tutta  la riva sud del mediterraneo, dal Medio Oriente sino al Marocco.

Non solo un nuovo “Piano Marshall” europeo per favorire  una forma di sviluppo ecologicamente sostenibile e tale da dare prospettive alle migliaia di giovani nord africani e mediorientali. Ma che dia sbocco a questo nuovo diritto di cittadinanza  chiesto dai popoli arabi: pane e libertà, Costituzioni laiche , scambi culturali, fabbriche e turismo, cinema e teatro, archeologia ed agricoltura, pesca sostenibile e lotta alle illegalità diffuse, Università e scuole. Una strada che  Romano Prodi ha già indicato poco tempo fa quando ha proposto all’Unione Europea la strada, non tanto di allargamento verso il Nord Africa quanto di  una sorta di “gemellaggio” tra Stati, economie e culture così vicine. Ma per fare questo c’è bisogno di un governo che guardi lontano, che non abbia solo l’ossessione dell’immigrazione vista con gli occhi della paura e del timore che il mondo cambi. Tanto sta già cambiando: ed ora deve cambiare la nostra mentalità e,soprattutto, questo governo italiano che appartiene al secolo scorso.

lunedì 28 marzo 2011

Le pallottole sovrastano le parole.
Ma non tacitano le coscienze

di Aldo Antonelli
Come un grumo di sangue
quest'ora buia al  tempo si rapprende.
Più nessuna barriera mi difende
dal vento amaro.

L'estate in gloria che su queste strade
per me ha brillato un giorno, ora sepolta
mi mulina le ceneri sul cuore.

E' notte e inverno.
E tu sei morto, amore.
(Maria Luisa Spaziani)

Nella società della “comunicazione imbonitiva” si alternano in maniera sempre più repentina, e senza lasciare spazio a parentesi di intesa, parole gridate come armi e armi usate come “ultima Parola”.
La politica impotente, abdicando al suo compito di mediazione, affida, alternativamente e senza limiti di sorta, la società civile non più governata alla violenza di una economia sempre più vorace e distruttiva e ad un esercito sempre più professionale e allertato.
Già nel lontano 1940 Bertold Brecht denunciava questo intrigo ormai inscindibile tra violenza ed economia: «Nei Paesi democratici non si rivela il carattere violento dell'economia, così come nei Paesi autoritari non si rivela il carattere economico della violenza»; rilevando che ad oggi molte democrazie hanno da tempo smesso di essere democratiche, avendo assunto tutti i connotati dell’autoritarietà.
Come cittadini dobbiamo rifuggire dall’ammutinarci nelle gabbie fanatiche delle tifoserie di parte in cui certa stampa vuole stupidamente imprigionarci. Se siamo contro l’uso delle armi è perché avvertiamo sempre più la stretta del nodo scorsoio di questo connubio osceno tra economia e violenza che strangola le nostre democrazie. Se siamo contro l’uso delle armi è perché siamo coscienti che non è possibile chiedere ad esse ciò che esse non possono dare; perché le armi massacrano i valori che pretendono di difendere! Siamo e saremo sempre contro questa folle corsa agli armamenti che taglia le risorse allo Stato sociale e ingrassa i buoi nelle stalle di affaristi senza scrupoli. Nel caso specifico della Libia «abbiamo riempito di armi Gheddafi, come forse nessun altro al mondo, poi gli spariamo addosso con altre armi», è la denuncia di padre Zanotelli sull’Unità del 24 Marzo. «Questa contraddizione merita anch'essa una questione morale oppure no? Lo abbiamo armato fino ai denti per poi scoprire che andava abbattuto. Nel nostro dialogo con la Libia l'unico vocabolario è quello delle armi!».
Non mi risulta che ci siano stati tentativi di dialogo, incontri di chiarimento, pressioni diplomatiche ai fini di una risoluzione graduale e pacifica del conflitto civile, né prima né dopo l’intervento armato. Si è passati, impudentemente, dalla cortigianeria affaristica all’ostracismo puritano. In tal senso non ha tutti i torti il raìs a tacciare di tradimento i governi occidentali e in particolare l’Italia.
Come cristiani siamo coscienti che cambiando il nostro punto di vista a partire dalla legge morale del non uccidere demoliremo anche le ragioni della guerra e della violenza. Il paradigma della nonviolenza che a partire dal Gesù di Nazareth, passando per Francesco di Assisi, giunge a noi anche attraverso Gandhi e Danilo Dolci e il teologo Raymond Panikkar, è esigente. Esso «implica un impegno soggettivo, un lavoro su se stessi, una pedagogia del rispetto che esclude i rapporti muscolari, le tecniche di azzeramento delle ragioni dell'altro, le scomuniche e le chiusure» (Marco Revelli). Se è vero che in tempo di guerra i proiettili sono più veloci delle parole, è pur vero che quelli sono del tutto impotenti a distruggere le coscienze allertate dalle quali, solo, può nascere una democrazia di pace.
* Parroco ad Antrosano (Aq) [Fonte: ADISTA ]

La crisi Mediterranea e i paesi arabi: L’Italia deve chiedere di guidare un Nuovo Rinascimento. La Francia per il suo passato coloniale non può.

di Antonio de Martini


 E’ necessario – per le ragioni che illustreremo – tornare a studiare la Storia e la Geografia del mediterraneo per attuare una strategia di uscita dalla decadenza psicologica, politica, economica e morale nella quale stiamo affondando da almeno un quarto di secolo. La sorte del mediterraneo e di tutti noi può essere diversa e migliore e questo è il momento di esserne consapevoli e passare all‘azione.Oramai abbiamo capito cosa ci riserva l’Unione Europea.
Di fronte a colossi come la Cina e L’America, l’Eurolandia – il nome scelto lascia capire già molto – è poco più di una espressione geografica dove gli italiani mandano i trombati della politica nazionale a fare la bella vita a patto di non contare.
Le scelte vitali  per l’Italia ,  restano appannaggio di una classe dirigente provinciale ammalata di saturnismo e convinta di essere al centro del mondo. I commissari europei scelti dal governo italiano interrompono – è successo tre volte a noi e mai agli altri – il mandato per tornare a incarichi di politica nazionale.
Se continuiamo a lasciare i nostri destini in mano ai rapitori di un’ Europa trascinata verso il nord, saremo condannati per altri secoli a piccole idee, piccoli progetti, piccoli risultati e perderemo la grande occasione che la storia e la geografia ci presentano, da quando il riaffacciarsi della Cina sulla scena del mondo ha restituito al Mediterraneo la centralità persa nel XVII secolo con la scoperta delle grandi rotte oceaniche.
Bisogna riconoscere alla UE di non aver compiuto discriminazioni maggiori, quel che è sempre mancata è l’iniziativa, la visione strategica, la determinazione dei mediterranei uniti.
Il ritardato ingresso della Spagna nella Comunità, l’ alternanza asincrona tra destra e sinistra nei paesi rivieraschi,i flussi migratori e il peso della secolare conflittualità dopo secoli di Pax Romana, hanno creato una cesura psicologica rafforzata dall’alibi che il centro dell’Europa sta al Nord.
Balle: l’Inghilterra e i suoi satelliti “nord europei” hanno combattuto la CEE con la zona di Libero scambio fino a che hanno potuto per poi adeguarsi  obtorto collo e diventare il portavoce degli interessi americani nella UE. Non esiste un solo caso in cui gli interessi inglesi e quelli americani non abbiano collimato.  
 La UE ha  comunque assolto con diligente distacco alla parte burocratico- strutturale: ha accettato l’idea della creazione di una comunità per il Mediterraneo   ed ha designato Barcellona come sede dell‘apparato.  Certo, se questa  desse vita ad un piano di sviluppo marittimo, inevitabilmente Rotterdam, Amburgo o Stettino ne risentirebbero, Se di sviluppo finanziario, Londra e Francoforte; se agroindustriale o politico, l’asse franco tedesco che oggi guida l’Europa dei 27 ne uscirebbe indebolito.
Queste considerazioni non porteranno mai la UE ad impedire il nostro sviluppo dal quale dipende anche il loro, ma bastano a farci capire che l’elemento propulsore del Nuovo Rinascimento non potremo essere che noi: i diretti interessati.
Dobbiamo decidere di risorgere dal cimitero di idee, di miseria morale e politica che ci avvilisce e progettare l’Europa del sud che non è mai esistita, non tanto per malvolere del Nord, non per mancanza di capitali, ma per insipienza propria , attitudine alla dialettica distruttiva, assistenzialismo, timore del nuovo che peggiora l’esistente.
La mal preparata candidatura di un cittadino giordano (?) alla direzione della nuova organizzazione ha anche  bloccato la macchina e non si vede chi possa sbloccare la situazione e con quale protagonismo progettuale.
L’Europa sognata dai nostri padri, non è mai stata quella che “crea” il disciplinare della pizza napoletana, ma l’ iniziatrice di un nuovo modello di civiltà e questo – piaccia o no – significa cambiare quelle in cartellone da almeno cinquecento anni su ambedue le sponde.
 Per perseguire questi scopi, è necessario abbattere la barriera dell’ignoranza e disinformazione che ci chiudono nello zoo di scelte che avevano – forse – una logica duecento anni fa.
E’ necessario impegnarci a rinnovare drasticamente la classe dirigente che ha condizionato la nostra politica industriale, agroindustriale e finanziaria:aver chiamato lo zoo, bioparco non ci basta.
Per demolire il muro di ignoranza e paura, offro qualche mia esperienza personale e alcune considerazioni dettate dalla geopolitica.
Il destino mi ha privilegiato facendomi studiare in Libano, lavorare in Tunisia e in tutti i paesi arabi, da Casablanca a Aleppo, da Tripoli a Gibuti, passando per Gerusalemme, Rakkah e Ressafa.
 
E’ stato solo durante gli anni dell’università a Roma che scoprii che, quella che credevo una lacuna personale ormai in via di cicatrizzazione, era in realtà un abisso di ignoranza che riguardava un intero popolo.
Stesso sentimento quando andavo sulla riva sud. Superstizioni e dicerie riguardo all’Italia.
Lo studio mi ha fatto capire che nei secoli, di volta in volta ci sono stati poteri interessati alla disinformazione facilitata dal disinteresse, dall’abitudine all’acquiescenza e dalla nostra ignoranza che andava stratificandosi nel tempo, spacciandosi per “cultura secolare“.
Le potenzialità di collaborazione culturale, economica, politica, commerciale e anche religiosa sono immense se solo, da entrambe le rive , ci prendessimo il disturbo di conoscere uomini e culture e scoprire che molte differenze tra noi sono esogene.
Chi ha visto i mosaici di epoca romana sulla riva sud del mediterraneo, dalla Cilicia a Tunisi, ha constatato l’assenza  per oltre cinque secoli della benché minima scena di guerra.   
 
 
 
 
 

Anche i nostri dirimpettai hanno bisogno di affrancarsi da   antichi servaggi e cercano chi sappia far fruttare le loro ricchezze naturali in parità di diritti e doveri e dare un futuro in Patria ai propri figli.
Dobbiamo avviare una concertazione efficace e permanente con i paesi esclusivamente mediterranei, in contrappunto – non in contraddizione – con paesi europei che la storia e la geografia vogliono atlantici e dunque chiamati ad altri destini.
L’avvenire nostro e della nostra idea di Europa dipenderanno dalla capacità che mostreremo di saper gestire la vita delle persone e non le sole tariffe doganali.
Finora la politica economica comune è consistita nel favorire lo smercio dei prodotti degli europei del nord sui mercati dei paesi del sud: i mediterranei.  La politica industriale comunitaria ha – di tutta evidenza – favorito, la fascia settentrionale della Unione.
Il settore agricolo è stato gestito, complice l’ insufficienza della nostra classe dirigente, sulla base delle esigenze dell’agricoltura settentrionale.
La fascia agricola mediterranea di poco più che cento Km di costa francese, spagnola, italiana, hanno avuto un ufficio per l‘olio a Madrid – condizionato da Bruxelles dal concorrente Unilever e un ufficio del vino a Parigi.
Abbiamo rinunziato ad una comune politica di difesa per non svegliare i fantasmi francesi ;  alla politica sociale per contentare i tedeschi, abbiamo finanziato la NATO per non far sfigurare gli inglesi coi ricchi cugini; abbiamo aperto le porte agli europei dell’est e del nord, dimenticando che le persino le inserzioni di lavoro alla ricerca di interpreti della  allora CEE chiedevano “ traduttori di lingue europee  e scandinave. “
Abbiamo accettato di porre l’embargo commerciale sui nostri migliori clienti di ieri ( Libia) e di oggi ( Iran), salvo poi farci battere sul tempo al momento della riapertura dei commerci decisa da chi aveva i piani di penetrazione già pronti assieme alla assoluzione democratica dei non più reprobi.
Abbiamo dovuto licenziare il nostro ambasciatore presso le Nazioni Unite che insidiava la candidatura tedesca al seggio permanente nel Consiglio di sicurezza per il quale eravamo preferiti dalla maggioranza dei paesi minori, pur essendo all’epoca il terzo sovventore dell’ONU.Ora , “ l’alterna onnipotenza delle umane sorti “ fa passare il pendolo della storia ancora una volta nel Mediterraneo ed è giunto il momento di presentare il conto con serena fermezza.
Vogliamo gestire la Politica Mediterranea a tutti azimut e addossarci la responsabilità di un Nuovo Rinascimento. Il Presidente della Repubblica Napolitano sia chiaro con gli USA nel suo viaggio che inizia oggi.
(http://www.corrieredellacollera.com/)

domenica 27 marzo 2011

da Cado in piedi
I SOLDI DI GHEDDAFI E LA LEGA
di Luigi Grimaldi - 27 Marzo 2011
Oggi Bossi prende le distanze dal colonnello libico. Ma alcune inchieste non lasciano dubbi. La Lega gli chiese aiuto per la secessione, per sgretolare l'unità d'Italia
La Lega Nord ha chiesto l'aiuto di Gheddafi per finanziare la secessione. Il caso è scoppiato dopo che, durante un'intervista rilasciata dal colonnello ad una Tv francese, era emerso che fra Gheddafi e Bossi sarebbe intercorsa una trattativa per un aiuto a sostegno della secessione della Padania dal resto dell'Italia: «Mi chiese soldi per finanziare la secessione della Padania». Ma Umberto Bossi, lo scorso 9 marzo, ha affermato che la Lega Nord non ha mai ricevuto aiuti da parte di Gheddafi, sia sotto forma di armi sia di altro per la secessione e ha smentito subito tutto, dicendo che le armi si fabbricano in Lombardia. Strana smentita.
Peccato per lui che già negli anni '90 i carabinieri avessero già scoperto tutto. Secondo le risultanze istruttorie dell'inchiesta "Cheque to Cheque", della Procura di Torre Annunziata, risalente alla fine degli anni '90, è stato attivato un canale di finanziamento della Lega che, passando dalla Libia alla Russia, e dalla Russia alla Slovenia, finiva proprio in casseforti padane.
Secondo quanto ricostruito dai carabinieri il sostenitore di un progetto mirante alla frantumazione del vecchio continente in miriadi di piccoli staterelli locali, nati da spinte nazionaliste o da spinte autonomistiche, sarebbe stato tra gli altri il leader nazionalista russo Vladimir Zhirinovskji. Numerosi testimoni provenienti dalla ex Jugoslavia hanno rilasciato testimonianze che garantiscono «in maniera indiscutibile l'autenticità del giro d'affari tra un certo Nicholas Oman (trafficante d'armi e nazionalista sloveno nda ) e Zhirinovskji». 
I carabieri danno poi conto anche di documenti riservati che hanno confermato l'esistenza, nei programmi di Zhirinovskji, di un progetto. Quale? Quello di «favorire ovunque movimenti nazionalisti e autonomisti, indipendentemente dal loro orientamento ufficiale filo o anti-russo, in modo da accelerare processi disgregativi che, in qualche modo, avrebbero favorito poi nuove forme di aggregazione».
Ed ecco il punto: «Il Colonnello Gheddafi risulta essere stato tra i principali sponsorizzatori e promotori delle campagne e dell'ascesa politica dello stesso Vladimir Zhirinovskji» hanno scritto i carabinieri di "Cheque to Cheque". In sentesi, secondo le indagini dei Carabinieri il Colonnello Gheddafi, per il tramite del nazionalista russo e dei nazionalisti sloveni avrebbe concesso, di fatto gratuitamente, sostegno a «gruppi a carattere secessionista e indipendentista che operano nel nostro Paese».
Ora il fatto interessante è che dalle indagini di "Cheque to Cheque" sono emersi, scrivono gli investigatori, «numerosi riscontri che legavano alcune parti del movimento di Bossi proprio ai nazionalisti sloveni. Questi ultimi erano, del resto, come si è visto attraverso la figura di Oman, strettamente legati a Vladimir Zhirinovskji e ai nazionalisti russi», un circuito finanziato con i "dinari" di Gheddafi. Il leader nazionlista russo dal canto suo ha sempre perorato la causa della lega e dell'indipendenza padana al punto che Roberto Maroni, all'epoca capo del governo padano, l'aveva invitato "come osservatore internazionale" alle elezioni "padane" del 26 ottobre 1997 per il primo parlamento della Padania. Perché? Perché "le affermazioni di Zhirinovski - ha detto Maroni - sono importanti. Finalmente, la comunità internazionale si è accorta che esiste la Padania e questo non può che confortarci e farci continuare con determinazione lungo la strada intrapresa".
Oggi Bossi smentisce tutto e cerca di prendere le distanze da Gheddafi mentre il segretario del Partito Nazional democratico russo, Vladimir Zhirinovsky, offre ospitalità e rifugio a Mosca al leader libico Muammar Gheddafi. Nonostante tutto ciò e la stampa italiana, invece di gettarsi sulle tracce di Cheque to Cheque attenendosi alla verifica delle parole di Gheddafi, spettegola di una delegazione di camicie verdi, da barzelletta, che negli anni novanta fu spedita in Libia a caccia di finanziamenti per acquistare il quotidiano milanese "Il Giorno" chiedendo al Colonnello libico la bellezza di 300 miliardi di lire in cambio dell'appoggio leghista contro l'embargo della Libia. In sostanza a fronte del fatto che un partito rappresentato in parlamento e nel governo abbia chiesto finanziamenti ad uno stato estero per sgretolare l'unità nazionale (in favore di potenzialmente devastanti interessi stranieri), molti si sono attivati per ridimensionare il caso, gravissimo se vero, relegandolo alla richiesta di un semplice finanziamento per un investimento in campo editoriale. Dalla magistratura nessuna iniziativa. E tutto finisce qui. Siamo un ben strano Paese.

sabato 26 marzo 2011

Le forze del Male contro i popoli della terra


di Stefano D’Andrea – 21/03/2011 – Fonte: appello al popolo
Quasi tutto è incomprensibili nella guerra che Francia, Inghilterra, Stati Uniti e il folcloristico codazzo italiano hanno dichiarato contro la Libia.
Le notizie sulle fosse comuni, sui bombardamenti aerei contro “folle di manifestanti”, sulle stesse folle di manifestanti e sul numero dei morti erano false. Ormai tutti sanno che erano false, anche se, per convenienza o viltà, alcuni fingono di crederle vere. La cosa incomprensibile, tuttavia, è che sebbene quelle notizie fossero assurde, inverosimili e sfornite di ogni prova, molti le hanno reputate vere. L’unica plausibile spiegazione è che i cittadini occidentali siano stati stupiditi. Non parlo soltanto della massa. Mi riferisco anche alla classe dirigente, ai giornalisti, ai politici, ai docenti universitari. Spiegazioni più plausibili non so ipotizzarne. Fornitemele se siete in grado.
Russia, Cina e Germania si sono limitate ad astenersi nella deliberazione del consiglio di sicurezza dell’ONU. Perché? Perché Cina e Russia non hanno posto il veto? Eppure l’elite statunitense si era mostrata cauta e addirittura divisa. Anche in questo caso è difficile formulare un’ipotetica risposta. Tanto più che dopo poche ore dalla deliberazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, il Ministro della difesa della Russia ha dichiarato: “La Russia ha deplorato l’intervento militare in Libia”: la risoluzione Onu è stata “adottata in modo affrettato. Restiamo convinti che per dare una soluzione stabile al conflitto interno libico si debba rapidamente mettere fine al versamento di sangue e i libici debbano riprendere il dialogo». Si sono pentiti? Fingono di essere pentiti? Sono incapaci di intendere e volere? Vi sembra una dichiarazione da Ministro degli Esteri della Russia?
La posizione dell’Italia è addirittura penosa e ridicola. Partecipa ad una guerra contro un paese che fino a pochi giorni fa era alleato e con il quale esiste un interscambio commerciale che sembra sia pari al 2% del PIL (in ogni caso siamo il miglior partner commerciale della Libia), senza almeno seguire, dopo aver commesso tanti e tanti errori, l’esempio della Germania che è rimasta neutrale. Perché non ci siamo accodati alla Germania? Se un grande Stato europeo è rimasto neutrale potevamo farlo anche noi. Perché non lo abbiamo fatto?
E poi che senso ha fare i valletti alla Francia e all’Inghilterra, che stanno tentando di sostituirsi a noi nella posizione di stato privilegiato nei rapporti con la Libia?
Giorgio Napolitano dichiara: “L’Italia farà ciò che è necessario”. Che significa? Qualcuno mi dica che cosa significa! Io non so ipotizzare alcuna risposta. Mi sembra proprio una frase che non significa niente.
La risoluzione ONU sarebbe giustificata dalla necessità di salvare i civili. Ma perché i dirigenti politici della Libia e le forze armate libiche dovrebbero voler uccidere i civili? Qualcuno sa illustrarmi una possibile ragione? Perché i “danni collaterali” degli improbabili bombardamenti dell’esercito libico – tutti hanno compreso che tra pochi giorni la “guerra civile” sarebbe finita con la vittoria delle forze governative – dovrebbero essere superiori a quelli causati dal lancio di missili cruise (ne sono stati lanciati 110 in poche decine di minuti)? Per quale ragione, nel perseguire i propri obiettivi militari, le armate occidentali dovrebbero essere più attente e caute rispetto a quelle libiche, che rischiano di uccidere concittadini e appartenenti alla loro tribù? Comunque state certi che diranno che Gheddafi utilizza scudi umani.
In questo clamoroso evento di politica internazionale non c’è frammento che trovi una qualche possibile ragione. Tutto è assurdo. Stiamo entrando in un periodo molto buio della storia. La vigliaccheria, la prepotenza, la ferocia delle armate occidentali, il potere creativo della realtà da parte dei media, il bassissimo livello delle classi dirigenti della maggioranza degli stati – classi dirigenti che si stanno rivelando idiote quanto i consumatori, indebitati cronici e teledipendenti che rappresentano -, la irragionevolezza, incomprensibilità e imprevedibilità dei comportamenti lasciano supporre che le forze del Male non incontrino più ostacoli ed abbiano la possibilità e la volontà di lanciare un’offensiva contro i popoli della terra.
Fonte:

venerdì 25 marzo 2011

Nuova catena di raid aerei israeliani contro la Striscia di Gaza


Gaza - Speciale InfoPal. Con una serie di raid aerei, Israele è tornato a colpire la Striscia di Gaza assediata.
Da questa notte, la popolazione palestinese vive ore di terrore: alle 2, l'aviazione ha aperto il fuoco contro diverse aree.
Gli aerei da guerra hanno lanciato un missile anche in direzione di un tunnel, nei pressi del passaggio di Salah id-Din, a Rafah, a sud della Striscia.
E' stato preso di mira anche un sito delle brigate al-Qassam, braccio militare di Hamas, a ovest di Gaza City. 
Le brigate Salah  Id -Din, ala armata dei Comitati di resistenza popolare, hanno dichiarato a Pal.info che uno dei loro combattenti è "miracolosamente sopravvissuto a un raid aereo".
Le linee elettriche ad ovest di Gaza City sono state messe fuori uso:  le zone a nord della Striscia e tutta Gaza sono senza corrente elettrica.
Un secondo attacco aereo, alle 8,30, ha colpito un gruppo di uomini che si trovava vicino a una stazione del gas, nel nord della Striscia di Gaza.  Un giovane è rimasto ferito a una gamba.
Intensi bombardamenti si sono abbattuti anche contro i terreni agricoli ad est del quartiere di ash-Shuja'iyah.
Da nord, attraverso Beit Lahiya, forze speciali dell'esercito d'occupazione israeliano sono entrate via terra appostandosi nei pressi della spiaggia.
I Comitati di resistenza popolare hanno fatto sapere che il loro gruppo ha lanciato sei razzi contro la zona militare di Zikim, ad Ashqelon, come "rappresaglia contro i crimini di Israeli a Gaza". 
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu continua a minacciare pubblicamente la popolazione palestinese, in risposta all'attacco dinamitardo di ieri ad al-Quds (Gerusalemme), dove a decine sono rimasti feriti e una donna ha perso la vita.
Gli aerei da guerra israeliani stanno ancora sorvolando i cieli della Striscia. 
La Striscia di Gaza è sotto attacco dell'aviazione e dell'artiglieria israeliane da giorni, il bilancio attuale è di 9 morti e oltre 40 feriti.
A quando una "No fly zone" sulla Striscia di Gaza per fermare Israele?

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La prima settimana di guerra in Libia è costata all'Italia almeno 12 milioni di euro
I primi sette giorni di guerra in Libia sono costati all'Italia almeno 12 milioni di euro, ovvero più di 1,7 milioni al giorno. La Gran Bretagna ne ha spesi almeno 20 e gli Stati Uniti oltre 400 (Washington ha speso 130 milioni di euro solo per i centosettanta missili Tomahawk lanciati finora: ognuno di essi costa 750 mila euro).
La parte più costosa della missione militare italiana in Libia è quella aerea: le 32 sortite dei nostri Tornado sono costate in tutto quasi 10 milioni di euro (ogni missione costa circa 300 mila euro, se non si sganciano i missili anti-radar Harm da 200 mila euro l'uno).
La missione navale italiana è costata nella prima settimana, di solo carburante, oltre due milioni di euro. Ogni giorno, infatti, la portaerei 'Garibaldi', il cacciatorpediniere Andra Doria, la fregata 'Euro', il pattugliatore 'Comandante Borsini' e la rifornitrice 'Etna' consumano circa 300 mila euro di gasolio al giorno.
(www.peacereporter.net)
La Sardegna è il cesso delle grandi potenze: fabbriche inquinanti, raffinerie pericolose, basi militari, poligoni di tiro, luogo di sperimentazioni di nuove armi che saranno poi usate sulla pelle dei poveracci di turno, punto di riferimento logistico per navi ed aerei militari. Insomma: l'isola è il cesso del Mediterraneo, dove i "potenti" cagano e pisciano. Anche sulla testa dei Sardi, HANNANNAKAIU! (Il D.)

Operazioni segrete nel Mediterraneo:
a Cagliari attracca una nave spia tedesca

Operazioni segrete nel Mediterraneo: a Cagliari attracca una nave spia tedesca (Una nave della stessa classe che ha attraccato al porto di Cagliari)
Le autorità portuali hanno reso noto che l'unità navale resterà all'ormeggio sino alla prima decade di aprile per una sosta tecnico-operativa. Nonostante il no comment delle autorità militari, le caratteristiche della Oker, unità costruita appositamente per lo spionaggio dei segnali elettromagnetici (Sigint/Elint), rende probabile che il rischieramento nel capoluogo sardo sia legato in qualche modo al rafforzamento del fianco sud dell'Alleanza Atlantica in coincidenza con l'assunzione del comando delle operazioni per garantire il rispetto della no fly zone sulla Libia. Intorno al punto di ormeggio è stata realizzata una cornice di sicurezza che impedisce ai curiosi di avvicinarsi.
Italia, tu quoque?
Una foto ritrae proiettili italiani in dotazione all'esercito di Gheddafi. Anche sostanze chimiche prodotte nel Lazio?
Le immagini dell'attacco alla Libia continuano a svelare particolari che aprono scenari inquietanti. Dopo l'immagine del cannone Palmaria, costruito dall'Oto Melara (Finmeccanica), una foto pubblicata da Repubblica tre giorni fa ha messo in allarme gli abitanti della valle del Sacco, nel comune di Colleferro, in Lazio. Qui sorge infatti la Simmel Difesa Spa, un'azienda produttrice di armi accusata in passato di aver costruito ed esportato cluster bomb (anche se sulla home page è scritto che dal 2000 non produce tali armamenti). La Retuva (Rete per la tutela della valle del Sacco) ha diffuso ieri un documento nel quale suggerisce che alcune munizioni dell'esercito libico provengono dall'Italia, e precisamente da Simmel Difesa e Snia Bpd. La foto in questione è quella pubblicata sopra, dove, alla base dei proiettili, si legge chiaramente la sigla Bpd e parzialmente Simmel (Simm).
"In causa - scrive l'associazione - sarebbero rispettivamente la Snia Bpd per le cariche di lancio delle munizioni di artiglieria da 155 mm e la Simmel per il proiettile". La scritta 1-16-84 sarebbe la data di produzione dell'ordigno, due anni prima dell'embargo e del raid americano su Tripoli. Il ruolo della Snia Bpd, oggi in amministrazione straordinaria, è stato evidenziato da Gianluca Di Feo, giornalista di Repubblica, nel suo libro 'Veleni di Stato', nel quale racconta la vendita di armamenti, e in particolare i proietti da 155 millimetri all'Iraq, proiettili che vennero modificati in loco grazie a disegni e test realizzati nei laboratori della Snia.
"Il tutto - commentano i membri di Retuva - per costruire alcune delle più tristemente celebri armi chimiche, utilizzate poi dal dittatore nelal guerra Iran-Iraq. Come sono arrivati i proiettili da 155 mm in Libia? Direttamente o tramite triangolazioni? Probabilmente in modo diretto nel periodo 1980-1986. Anch'essi furono forniti con le modifiche e le istruzioni necessarie a trasfomarle in vettori di gas chimici?". La Retuva sostiene che non è cosa impropria congetturare che per la Libia sia avvenuto ciò che avvenne per l'Iraq, ovvero la fornitura, nei primi anni Ottanta, di componentistica e tecnologia per assemblare armi in grado di alloggiare sostanze chimiche. "Come potrebbe essere verosimile - prosegue il documento - anche la vendita di razzi Firos, come già avvenuto in Iraq, per lanciatori MLRS (Multiple Launch Rocket System), razzi con gittata dai 25 ai 30 chilometri, anch'essi modificabili con gas chimici e contenenti sub-munizioni che le identificherebbero come cluster bomb".
Con l'accordo del 2003 la Libia ha accettato di smantellare il suo arsenale chimico, ma conserverebbe ancora la metà del suo stock di iprite (50 tonnellate), la cui distruzione - secondo il New York Times - avrebbe dovuto cominciare a maggio. Nessuno sa se i miliziani di Gheddafi sono in grado di utilizzare questa arma chimica. L'ex vice-capo della National nuclear security administration Usa, William Tobey, ha assicurato al quotidiano Usa che "migliaia di munizioni che possono veicolare la letale sostanza per la guerra chimica sono state distrutte. L'iprite libica è molto difficile da gestire e non sono sicuro che sia utilizzabile" L'arsenale chimico di Gheddafi rappresenta tuttavia ancora una preoccupazione per qualcuno. Il Daily Telegraph, citando fonti statunitensi anonime, ha riferito il 3 marzo che le forze speciali britanniche erano pronte a intervenire per sequestrare quantitativi di iprite e altre sostanze chimiche con un blitz negli arsenali libici.
Luca Galassi

mercoledì 23 marzo 2011

NON POSSIAMO ACCETTARLO -

NON POSSIAMO ACCETTARLO
di Franco Cardini

Naturalmente, faranno anche questa. Ormai l’arroganza e l’orgia del potere incontrollato non hanno più limiti: la democrazia non è più nemmeno ridotta a un guscio formale; il rispetto di norme e convenzioni non regge davanti a un’incuranza e a un’ignoranza che non conoscono più limiti; le opinioni pubbliche non esistono più, annegate nel marasma del bla-bla televisivo e mediatico dove tutti gridano, nessuno sta a sentire e nessuno incide sulla realtà che è invece gestita da una banda di gangsters e dai loro gregari.
Il mondo arabo è in fiamme, ma le notizie arrivano frammentate e quasi casuali. Lo Yemen è sull’orlo di una guerra civile; gli emirati arabi uniti (gli stessi che collaborano alla missione “Odissea all’alba” sui cieli della Libia) usano le loro spietate polizie per soffocare nei loro paesi le richieste di libertà; la Tunisia è lasciata a se stessa, e la gente di là puo solo scappare sulle carrette natanti verso Pantelleria.
Gheddafi uccide. Non è la prima volta. Lo faceva anche quando era nostro amico e nostro complice; anche quando distribuiva libretti verdi ad alcune puttanelle e accettava i baciamano dei suoi soci in affari e colleghi di quel che le convenzioni obbligano ancora a definire “di governo”. Anche altrove si ammazza, si reprime, si tortura, s’imprigiona. Ma il punto, per il democratico Occidente, non è intervenire dove piu difficili sono le situazioni e più dura si fa la ferocia degli assassini. No. Il punto è scegliere secondo convenienza e al tempo stesso mostrare i muscoli. Dopo l’esportazione della democrazia di buona irakena memoria, siamo alle “ragioni umanitarie”: e lo stesso presidente della repubblica finge di crederci: e recita la commedia del “questa-non-è-una-guerra”. Mentre qualcuno, da destra e da sinistra – contano, ormai, le distinzioni? -, si chiede se in fondo non sarebbe meglio far maggior attenzione a chi stiamo appoggiando, e che i ribelli di Bengasi potrebbero esser peggio dei lealisti di Tripoli, potrebbero addirittura essere, orrore!, dei “fondamentalisti”… e quindi “terroristi”. Come a dire che qui quel che conta non è intervenire a tutela dei più deboli, una balla in cui non crede nessuno, bensì colpire chi si ritiene più pericoloso per i propri interessi. Chi è peggiore, allora? Il rais che doveva essere richiamato all’ordine in quanto minacciava d’introdurre nel business del petrolio libico dei partners non graditi agli occidentali, o i “ribelli” che magari sognano un tipo di assetto che domani potrebbe avanzare qualche pretesa compromettente, ad esempio circa l’assetto del Mediterraneo o del Vicino Oriente? Intanto, noi scivoliamo sempre più nel ridicolo: abbiamo un ministro della Difesa che, reduce da un raid aereo dannunziano sull’Afghanistan, ora cita il D’Annunzio della guerra di Libia della quale, guarda caso, ricorre il centenario (lo facciamo un bel Colony Day, signor ministro, con tanto di caschi coloniali di sughero da distribuire alle scuole?). Abbiamo un ministro degli Esteri che ora minaccia di uscire dalla coalizione, se i francesi non la smetteranno di giocar al capofila: ci vuole la NATO, che diamine, vista anche la bella figura che sta facendo in Afghanistan…
No, diciamolo chiaro. Noi non contiamo nulla e non possiamo far nulla. Da Grosseto, si alzano i caccia che bruciando i nostri soldi vanno ad ammazzar gente in Libia per difendere le popolazioni civili e le “ragioni umanitarie”, insieme con i caccia degli emirati arabi uniti (retti com’e noto da celebri governi umanitari) e i danesi e i canadesi, che sono interessatissimi alla faccenda poiché, com’è noto, Canada e Danimarca bagnano le loro coste nel nostro Mediterraneo (per tacer d’inglesi e d’americani). L’ONU ha dato l’ennesima riprova della sua ignavia e incapacità: ma la risoluzione del suo Consiglio di Sicurezza che autorizza non si sa chi a ”tutte le misure necessarie” è stata immediatamente onorata, più o meno come quelle contro Saddam: e alla buon’ora, dal momento che, come tutti sanno, vi sono numerose risoluzioni che invece sono state più volte adottate e vengono pervicacemente ignorate dalla comunità internazionale.
L’operazione militare “Odissea all’alba”, che nelle intenzioni proclamate dai suoi promotori – in primis il presidente franecse Nicolas Sarkozy – avrebbe il solo scopo d’impedire pesanti ritorsioni aree delle truppe del rais Gheddafi sulla popolazione civile delle aree del paese libico per ora nelle mani dei “ribelli”, è scattata in modo inatteso sabato 19 marzo 2011: il presidente francese ha sorpreso “di contropiede” la comunità internazionale trascinandola in un’avventura che l’ONU ha provveduto a tempestivamente legittimare, pur non potendo celare l’imbarazzo. Una mossa avviata in modo maldestro, che ha dato luogo a una coalizione “equivoca”, nella quale gli Stati Uniti hanno dato l’impressione di essere entrati di malavoglia e solo per non cedere ai francesi il primato dell’iniziativa. Gli “alleati” che, per dirla col ministro degli esteri italiano Frattini, “non potevano essere assenti” dall’azione – un parere, questo, a dire il vero piuttosto debole e sembra tiepidamente condiviso dallo stesso presidente del consiglio – hanno l’aria di costituire un insieme alquanto eterogeneo, che va dalla Spagna alla Danimarca al Qatar. Non è né ONU, né Unione Europea, né NATO.
Tutto ciò, in barba e in spregio a due princìpi che dovrebbero essere chiari.
Primo, quello dell’autodeterminazione dei popoli: di tutti i popoli, non solo di quelli che qualcuno a Washington o a Parigi ritiene virtuosi. E’ un principio-base della convivenza e del diritto internazionale. Serve a evitar di cadere in una jungla dove valga solo la legge del più forte. Da vent’anni, cioè dai tempi del Kosovo e della prima guerra del Golfo, se ne fa strame. Non possiamo più tollerarlo. La Libia e un paese sovrano: mentre è giusto cercar di aiutarlo in ogni modo in questa difficile contingenza, è chiaro che non esiste alcuna autorità ad essa esterna che può imporre dal di fuori al popolo libico la soluzione dei suoi problemi.
Secondo, quello dell’iniziativa comunitaria. Gli interventi umanitari da parte della comunità internazionale debbono esser decisi primariamente ed esclusivamente dall’Organizzazione delle Nazioni Unite: che non può andar a rimorchio di nessuno, contrariamente a quel che fece nel 2003 con gli USA a proposito dell’Iraq e a quel che ha fatto adesso a rimorchio della Francia.
Aggiungiamo che la NATO (North Atlantic Threaty Organization) non avrebbe alcun titolo per intervenire in quel Mediterraneo nel quale invece spadroneggia; e che sarebbero ormai ora che i paesi membri dell’Unione Europea, dopo aver dato tante e tanto squallide prove di sé, cominciassero ad agire di comune accordo fra loro - e senza aspettare il placet americano o farsi travolgere dei fulmini di guerra degli emuli del Bonaparte - e a tracciare insieme un abbozzo di comune politica di difesa.
Infine, l’Italia avrebbe avuto tutti i titoli storici e geopolitica per avanzare una seria ed energica proposta mediatrice tra Gheddafi e gli insorti: avrebbe dovuto farlo energicamente e tempestivamente, e a tal fine avrebbe dovuto chiedere con forza un mandato internazionale. Ma, per fare cose come queste, ci vuole un governo. Non una “loggia coperta”, o un’organizzazione volta a organizzare profitti e festini, o un’organizzazione a delinquere.
Franco Cardini, 21/3/2011


lunedì 21 marzo 2011

Urgente: Israel atacó por aire y tierra a Gaza, matando a 2 palestinos. Occidente con la lamentable adhesión
de la Liga Arabe invadió a Libia. Matan 6 sirios
PIP, 20 Marzo 2011.-
Luego que la resistencia palestina arrojaron cohetes caseros en respuesta a los 2 palestinos asesinados el pasado jueves 16/3, la fuerza de <!--[if !vml]--><!--[endif]-->ocupación israelí atacó a la Franja de Gaza por aire con helicópteros Apache y por tierra con tanques durante todo el sábado hasta la madrugada de hoy domingo a varios objetivos palestinos. Según fuentes palestinas, el bombardeo dejó a 9 heridos de la fuerza de seguridad de Hamas y un niño de 9 años, causando graves daños a viviendas. En horas de la madrugada de hoy domingo, el ejército israelí mató a 2 palestinos civiles en el norte de Juhr Addik del campo de refugiados Al Bureij, en el centro de Gaza.
Hamas: Fuentes palestinas de Hamas, señalaron que los ataques israelíes se centraron en el distrito aeropuerto Yasser Arafat de Gaza, cerca del paso fronterizo de Rafah y el pueblo de Shokat As-Sufi. Por otra parte, las Brigadas Ezedin Al Qasam, brazo armado de Hamas,  reivindicaron los ataques contra el territorio israelí, considerándolo como uno de los ataques más intensos lanzados contra la potencia ocupante. Funcionarios palestinos dijeron ver tanques israelíes disparar a mansalva  después del anochecer.
Israel: Sobre los ataques, fuentes del ejército israelí, estiman que 54 cohetes llegaron a explotar en el oeste de la región del Negev, sobre las localidades de Sedot Hanegev, Eshkol y Sha'ar Hanegev, hiriendo a dos israelíes, sin daños materiales, justificando de ese modo su criminal ataque. Invaden
Invaden Libia: Para ejecutar la resolución del Consejo de Seguridad-ONU 1973, que autorizó atacar militarmente a Libia, con las falsas excusas de proteger al pueblo libio de los ataques del presidente Muammar A Ghaddafi. Durante el encuentro en París, convocado por el presidente Nicolas <!--[if !vml]--><!--[endif]-->Sarkozy,  participaron representantes de la Liga Árabe, la Unión Áfricana, la Unión Europea, así como el secretario general de Naciones Unidas, Ban Ki-moon y la secretaria de Estado de EEUU, Hillary Clinton, decidiendo con el apoyo del presidente Barack Hussein Obama, dese Brasil comenzar con la operación “Odisea al amanecer”. A las 14:30hs, criminales aviones de guerra de Francia, Inglaterra, EEUU y fuerzas de la OTAN, invadieron y atacaron a Libia con feroces ataques, lanzando más de 110 misiles Tomahawk, entrometiéndose en una situación interna ajena a todos ellos. Al Ghaddafi, dijo en la madrugada del domingo que está dispuesto a “entregar armas a su pueblo para combatir los ataques imperialistas”.
Doble Peso: Con doble balanza y doble peso se miden las resoluciones de la ONU. Israel permanentemente viola las resoluciones de la ONU, invade y mata a palestinos, ocupa a Palestina y Jerusalén, sin embrago las condenas de la ONU,  jamás se ejecutan. Nunca Occidente se levantó en armas contra Israel, como lo hizo con Irak y ahora con Libia.
ANP: El titular de la Autoridad Nacional Palestina se sumó a la Liga Arabe para que ataquen a Libia y mantuvo silencio por los ataques de la potencia ocupante a Gaza, a pesar que dijo que el lunes iría a Gaza invitado por Hamas a buscar la reconciliación.
Lamentable: Al igual de lo sucedido contra Irak, La Liga de los Estados Arabes, apoyaron el ataque y la zona de exclusión contra Libia.
Siria: Durante una manifestación popular en Siria para una apertura democrática, Las fuerza sirias dispararon contra la manifestación civil y pacífica, matando a 6 sirios civiles.
Fotos: Tanques israelíes atacan ferozmente a Gaza, durante la madrugada el sábado y madrugada del domingo 20/3. Ataque de aviones de guerra franceses a Libia.


Apocalypse Nano

APOCALYPSE NANO

di Alessandra Daniele
ScheggiaRadioattiva.jpgLe centrali nucleari italiane saranno sicurissime.
Noi italiani siamo precisi e organizzati, non casinisti come i giapponesi. Come sempre, i nostri appalti saranno limpidi come il cristallo, i nostri cantieri totalmente in regola, le nostre assunzioni basate sul più rigido criterio meritocratico, i nostri controlli rigorosi ed imparziali. Costruiremo centrali tecnicamente all'avanguardia, nel rispetto dell'ambiente e del territorio. Le scorie saranno smaltite in modo corretto e tempestivo, com'è sempre accaduto per ogni tipo di rifiuto urbano.
E poi l'Italia non è zona sismica.
Quello dell'Aquila è stato un attentato islamico. Quello di Foligno un cedimento strutturale. Quello in Irpinia non è mai esistito, fu solo un complotto dei magistrati per diffamare la classe politica locale. I morti del Friuli furono vittime della feroce repressione comunista statalista, perché chiedevano il Federalismo. Le loro case vennero distrutte per rappresaglia, e per cancellare il Sole delle Alpi dipinto su ogni facciata. Il Belice non è in Italia. E' nel maghreb, e fu devastato dalle lotte fra le tribù locali.
Nessun reale terremoto, o frana, o inondazione, o bradisismo, sono mai stati registrati in Italia. L'eruzione del Vesuvio che si credeva avesse seppellito Pompei fu in realtà solo frutto dell'immaginazione d'uno scrittore di fantascienza dell'epoca, tale Plinio il Cazzaro, che l'attribuì a un tentativo d'invasione aliena.
A un'attenta ispezione del ministro Bondi le presunte mummie di Pompei si sono rivelate falsi made in China per abbindolare i turisti. Il governo ne ha quindi ordinato la rimozione, insieme a tutte le altre rovine locali. In quel sito sorgerà presto una nuova discarica, assolutamente sicura ed ecologica quanto una centrale nucleare.
Da decenni la propaganda comunista cerca di spaventarci, di farci credere che massicce dosi di radiazioni potrebbero danneggiare la nostra salute, mentre tutti i più recenti e imparziali studi medici dimostrano il contrario. Le radiazioni facilitano la diuresi, e aiutano la naturale regolarità, eliminando il senso di gonfiore. Rinforzano la radice del capello, e con le loro micoparticelle di uranio riparano lo smalto dando sollievo ai denti sensibili.
Purtroppo molti italiani sono ancora vittime della disinformazione comunista, e in particolare della bufala di Chernobyl, organizzata con l'aiuto del regime sovietico, che arrivò a distruggere un'intera città russa al solo scopo di falsare il risultato del referendum italiano sul nucleare, e ottenne anche di danneggiare la nostra economia, bloccando il commercio di verdure a foglia larga.
Non lasciatevi spaventare dai proclami apocalittici dei comunisti antimoderni che vorrebbero costringervi a tornare all'età della pietra, quando per accendere la Tv si dovevano sfregare a lungo due pietre di selce. Le notizie che vengono dal Giappone sono rassicuranti e credibili: inviati da Obama col teletrasporto, Jack Shephard e Desmond Hume stanno tappando le due centrali nucleari danneggiate, e tutta la zona circostante ha già smesso di viaggiare nel tempo.
L'Italia non subirà nessuna conseguenza, le ondate di profughi giapponesi verranno respinte in Libia, e viceversa.
Questa certezza ci tranquillizzi, insieme al pensiero che, nella remotissima ipotesi che un disastro naturale si verifichi nel nostro paese, potremo sempre contare sulla Protezione Civile migliore del mondo.
Pubblicato Marzo 14, 2011 07:59 AM | TrackBack

La Vergogna di un paese su tutti i giornali del mondo

pubblicata da Italo-Argentinos il giorno giovedì 3 febbraio 2011 alle ore 13.24
Così i principali media di tutto il mondo oggi puntano i riflettori sull'inchiesta della procura milanese nei confronti del premier. La notizia delle indagini dei pm lombardi da giorni è al centro dell'attenzione dei principali quotidiani stranieri, che nelle loro edizioni online, oggi riportano stralci delle intercettazioni consegnate ieri alla Giunta per le autorizzazioni del Parlamento. E la Bbc, in un breve editoriale scrive: «Questa volta, ci vorrebbe più di una nuova fidanzata per il primo ministro per liberarsi dei magistrati».


Financial Times - paragonano il caso di Berlusconi e Ruby alla storia di Bill Clinton e Monica Lewinsky: le bugie dell'allora presidente Usa sulla sua relazione con la stagista della Casa Bianca segnarono l'inizio della sua "agonia politica". Sotto il titolo "Berlusconi accusato per relazioni sessuali" il Ft spiega che il primo ministro è sospettato di avere commesso abuso d'ufficio e di avere fatto sesso con una prostituta minorenne. Diplomatici e opinionisti – nota il Ft - vedono il rischio di un periodo prolungato di "paralisi politica", dominata da una guerra tra esecutivo e magistratura, mentre l'economia italiana è in uno stato "precario".


"Si allargano le accuse a Silvio Berlusconi sulle prostitute", titola la Bbc, riferendo della richiesta di perquisire alcuni uffici di sua proprietà inviata alla giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera. "questa volta ci vorrà più di una girlfriend del primo ministro per scrollare di dosso gli inquirenti".


Il Daily Mail sottolinea i particolari scandalistici: "Berlusconi gestiva una serie di appartamenti di lusso che usava per fare sesso con prostitute, dicono i pm".


Secondo El Pais, "La prostituzione di minorenni mette Berlusconi alle corde": le intercettazioni della polizia sulle giovani che frequentavano la dimora del primo ministro "rivelano ricatti e minacce".

Il Wall Street Journal pubblica sulla homepage del suo sito un vistoso richiamo: "I pm vogliono perquisire gli uffici di Berlusconi", il premier italiano ha finanziato ed è stato a letto con "un numero significativo" di prostitute. Nei 15 anni in cui è stato in politica, Berlusconi ha affrontato decine di indagini, ricorda il Wsj, ma "quest'ultima inchiesta arriva in un momento in cui il suo sostegno in parlamento è esile". I lanci Ap aggiornano di continuo i siti Usa: "Pm chiedono di perquisire le proprietà di Berlusconi" (Washington Post). "Pm dicono che Berlusconi ha fatto sesso con un numero significativo di prostitute" (New York Times).


In Gran Bretagna, THE FINANCIAL TIMES titola «Berlusconi accusato di relazioni sessuali» e scrive che i magistrati milanesi «hanno chiesto al Parlamento di cooperare nell'inchiesta sul premier per abuso di ufficio e sesso con una prostituta minorenne». Il londinese THE GUARDIAN, riportando l'accusa dei pm, titola «Berlusconi ha pagato per fare sesso molte volte» e sottolinea che «la carriera del premier è ancora una volta in pericolo dopo l'accusa della procura milanese». Il DAILY TELEGRAPH si sofferma sul toto-fidanzata per il premier e scrive che «l'Italia è coinvolta in un gioco all'indovino sulla misteriosa donna di Berlusconi».

L'emittente BBC, invece, in un breve editoriale, scrive: «Un premier miliardario di una grande nazione europea nasconde prostitute e fornisce loro appartamenti gratis o elargisce denaro? In un mondo socialmente collegato, iper-controllato e senza segreti potrebbe sembrare bizzarro che si scherzi con queste cose, come Berlusconi suggerisce. Eppure - scrive la Bbc - si ha la sensazione che i magistrati milanesi abbiano morso il freno sulla questione».

In Francia la notizia è in evidenza su LE FIGARO, che titola «Berlusconi: Ruby avrebbe chiesto 5 milioni». Mentre in Germania diversi quotidiani si focalizzano sul caso.

La SUDDEUTSCHE ZEITUNG titola «Prove contro Berlusconi» mentre la versione web dello SPIEGEL sottolinea che ieri «nuovi dettagli hanno messo in imbarazzo» il Cavaliere. E la BILD nel titolo di un breve articolo, si chiede: «Berlusconi e Putin si sono incontrati nell'affare sexy?».

In Spagna EL PAIS, in un ampio resoconto dal titolo «La prostituzione di minorenni mette Berlusconi alle corde», scrive che «la comprovata abilità del premier per la sopravvivenza politica sembra essere entrata nelle ore decisive». Mentre il catalano LA VANGUARDIA si concentra sulla possibile «fidanzata» del Cavaliere e sostiene - indicando Nicole Minetti - che «potrebbe essere la sua igienista dentale e consigliera regionale lombarda».

Oltreoceano, la notizia compare sul NEW YORK TIMES mentre THE WALL STREET JOURNAL, riporta la notizia in prima pagina e titola «I procuratori cercano di perquisire l'ufficio del premier». E accompagna la cronaca dei fatti con un ampio articolo interattivo dal titolo «Esaminando Berlusconi» in cui si ripercorrono «gli alti e bassi» dei «15 anni» di carriera politica del Cavaliere.

Ma il caso Ruby balza alle cronache anche in Sud America, ed è riportato dall'argentino EL CLARIN e dal messicano EL MILENIO. Mentre il foglio brasiliano LA FOLHA DE SAO PAULO titola in prima pagina: «Secondo la procura, Berlusconi ha indotto alla prostituzione diverse giovani ragazze».

Ecco come descrive il 150 anniversario dell'Unità d'Italia un sito clericale (www.pontifex.roma.it):

Quest’anno ricorre il 150° anniversario dell’attacco che la Rivoluzione sferrò contro i popoli italiani con l’ausilio dello Stato sabaudo, al quale la massoneria internazionale aveva affidato il ruolo di portabandiera. Furono invasi manu militari - e senza dichiarazione di guerra - territori pacifici e spodestati i legittimi regnanti; furono annessi ai possedimenti piemontesi con falsi plebisciti; furono depredati tesori di Stato e ricchezze private; furono commesse violenze inaudite ancora nascoste nel segreto di archivi inaccessibili. L’esito fu la scomparsa di regni millenari, come quello Pontificio, o dalla storia gloriosa e secolare, come le Due Sicilie, e la nascita di un nuovo Stato concepito da chi “pensava all’inglese e si esprimeva in francese” con l’intenzione di cancellare le identità dei singoli popoli italiani ed in particolare quei connotati spirituali che, soli, erano i fili che le legavano tutte: la fede e la tradizione. Quel che è seguito è la radice dei  ...
... “mali italiani” – etici, culturali, politici ed economici -, della mancanza di un’identità nazionale nella quale riconoscersi, della demonizzazione e dell’emarginazione di intere parti del Paese, della permanente spaccatura in fazioni che ha caratterizzato la storia di quest’ultimo secolo e mezzo.


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16/a Giornata della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime delle mafie
di Lorenzo Baldo - 21 marzo 2011 -
Potenza. Nubi grigie sovrastano questa città invasa festosamente da 80.000 persone. Piove, a tratti si interrompe. Il freddo è pungente. Gino Strada si avvicina al palco, si guarda attorno, il suo sguardo è lontano.

La vibrazione è quella di chi convive da anni con l'orrore delle guerre, dalla Cambogia alla Sierra Leone, dal Sudan all'Irak, passando per l'Afghanistan. Subito dopo arriva don Ciotti che lo abbraccia con grande affetto. Il fondatore di Emergency è il primo ad aprire la lettura dei 900 nomi delle vittime di mafia, nascosta tra le pieghe della sua voce la rabbia  e il dolore di chi continua a curare un'umanità ferita nel corpo e nell'anima. Riprende a piovere, nelle prime file, composti nel loro dolore e richiesta di giustizia, i 500 familiari delle vittime di mafia. Molti di loro portano al collo una fotografia del proprio congiunto, foto a colori, piccole o grandi, volti di uomini e donne, ragazzi e bambini che sorridono all'obiettivo del fotografo. Negli occhi di padri, madri, fratelli e sorelle un dolore mai sopito. L'elenco di quei 900 nomi prosegue mentre alcuni musicisti con violini e chitarra suonano una melodia di sottofondo. L'ultimo nome porta con sé anche il ricordo di quei nomi che non sono stati ancora ritrovati. Don Ciotti sale sul palco mentre la pioggia sembra non voler smettere. Il fondatore di Libera e del Gruppo Abele ricorda le vittime dimenticate della Basilicata, per poi citare la giovane Elisa Claps. Ed è parlando della ragazzina di 16 anni di Potenza scomparsa nel 1993 (uccisa e ritrovata 17 anni dopo nel sottotetto di una chiesa), che dalle tenebre della Lucania, il cui nome significa “terra di luce”, don Luigi riscatta la richiesta di verità di Elisa e di tutte le altre vittime della violenza di questa terra. Il presidente del Gruppo Abele distingue le diverse anime della Chiesa, quella che marcia insieme ai partecipanti e quella verso la quale chiede a gran voce “un processo di purificazione”, una chiesa “più povera di fronte al potere, più coraggiosa e meno prudente!”. Senza giacca, con un semplice pullover scuro addosso, don Ciotti grida ancora una volta la sua sete di giustizia. “La vera forza delle mafie – afferma con forza – sta fuori dalle mafie e la troviamo diffusa nel nostro Paese!”. Più volte l'intervento del fondatore di Libera viene interrotto da lunghi applausi. “E' dal 1999 che l'Italia non ratifica la Convenzione di Strasburgo nel codice penale contro la corruzione e questo è inaccettabile!”. Di fatto nel '99 l’Italia ha firmato la Convenzione penale europea sulla corruzione, uno strumento che, per lo meno teoricamente, prevedeva “ulteriori misure nel campo del diritto penale e una migliore cooperazione internazionale per perseguire i reati di corruzione”. Sulla carta venivano elencati i reati da circoscrivere, tra questi: corruzione di pubblici ufficiali in ambito nazionale o estero, corruzione di parlamentari nazionali e stranieri e di membri di assemblee parlamentari internazionali, traffico di influenze attivo e passivo, riciclaggio dei proventi della corruzione, ai reati contabili e via dicendo. Ma dalla firma alla ratifica il tempo si è fermato e l'Italia è rimasta ferma alla fase iniziale. Don Ciotti non si dà pace di questo immobilismo e spiega il motivo per il quale Libera e Avviso Pubblico stanno raccogliendo un milione e mezzo di firme per chiedere al Presidente della Repubblica di intervenire affinché Governo e Parlamento diano attuazione alla norma già prevista nella finanziaria 2007 per la confisca e il riutilizzo sociale dei patrimoni sottratti ai corrotti. Il fondatore del Gruppo Abele ribadisce che secondo la Corte dei Conti il giro d’affari della corruzione in Italia è di sessanta miliardi di euro. Una vera e propria spada di Damocle che pesa su ogni cittadino con un costo di mille euro l’anno. “Non dobbiamo parlare solo di mafia – grida ancora Luigi – non basta più! Bisogna ampliare lo sguardo per riconoscere lo sguardo delle mafie nelle pieghe sociali!”. Ed è anche la questione della mancanza nel codice penale dei reati ambientali quella che brucia ancora, una battaglia che Legambiente e Libera portano avanti da 17 anni nel silenzio, quasi totale, della politica. “Andiamo a votare per fermare il nucleare!”, la voce di don Ciotti sbatte forte contro un vento freddo per poi affrontare con altrettanta passione civile il tema dell'acqua intesa come bene comune. “Non ci può essere una giustizia a doppio binario – sottolinea poi il fondatore di Libera paragonando la vergogna del reato di clandestinità all'impunità della casta dei potenti -. Noi abbiamo come riferimento il Vangelo e la Costituzione!”. E' un appello accorato in difesa della magistratura e in memoria dei 25 magistrati uccisi dalle mafie e dal terrorismo quello di don Luigi, un appello contro la prossima riforma della giustizia che mira a indebolire l'autonomia della magistratura sottomettendola al potere politico. “Se Giancarlo Caselli e Antonio Ingroia oggi sono qui – grida forte – è perché le intercettazioni hanno svelato il piano di armare una mano contro di loro!”. Il taglio alle politiche sociali viene affrontato nel passaggio successivo attraverso il dato agghiacciante della riduzione di 379 miliardi di euro. “Ci dicono che non ci sono soldi – sottolinea don Ciotti – ma non è vero! Si spendono miliardi in armi e si tagliano i fondi alla giustizia, alla cultura, all'istruzione!”. Il presidente di Libera definisce una “stupenda lezione” quella che hanno dato le donne scese in piazza lo scorso 13 febbraio “per protestare contro la mercificazione della propria dignità”. Rabbia e profonda amarezza emergono infine dal racconto della mancata approvazione da parte del Parlamento sulla proposta avanzata da Libera per l'istituzione della giornata nazionale in ricordo delle vittime delle mafie da fissare ogni 21 marzo. Alcuni parlamentari della maggioranza si sono detti contrari perché “Libera è schierata”, altri ancora hanno proposto la data del 30 giugno, con le scuole chiuse e la gente al mare. L'arroganza e la meschinità di simili atteggiamenti hanno portato Libera a ritirare quella proposta, mantenendo sempre e comunque la data del 21 marzo, al di là delle decisioni politiche. Smette di piovere, don Ciotti sorride, guarda verso il cielo e chiama a sé la mamma di Elisa Claps. “Guardando te – le dice tenendola per mano – vedo tanto dolore... ma anche tanta speranza...”. Quella speranza che don Ciotti stringe forte ad una richiesta di giustizia corale, mentre alcuni impercettibili raggi di sole illuminano migliaia di persone che si alzano in piedi ed applaudono incessantemente.  (http://www.antimafiaduemila.com/)