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domenica 27 marzo 2011

da Cado in piedi
I SOLDI DI GHEDDAFI E LA LEGA
di Luigi Grimaldi - 27 Marzo 2011
Oggi Bossi prende le distanze dal colonnello libico. Ma alcune inchieste non lasciano dubbi. La Lega gli chiese aiuto per la secessione, per sgretolare l'unità d'Italia
La Lega Nord ha chiesto l'aiuto di Gheddafi per finanziare la secessione. Il caso è scoppiato dopo che, durante un'intervista rilasciata dal colonnello ad una Tv francese, era emerso che fra Gheddafi e Bossi sarebbe intercorsa una trattativa per un aiuto a sostegno della secessione della Padania dal resto dell'Italia: «Mi chiese soldi per finanziare la secessione della Padania». Ma Umberto Bossi, lo scorso 9 marzo, ha affermato che la Lega Nord non ha mai ricevuto aiuti da parte di Gheddafi, sia sotto forma di armi sia di altro per la secessione e ha smentito subito tutto, dicendo che le armi si fabbricano in Lombardia. Strana smentita.
Peccato per lui che già negli anni '90 i carabinieri avessero già scoperto tutto. Secondo le risultanze istruttorie dell'inchiesta "Cheque to Cheque", della Procura di Torre Annunziata, risalente alla fine degli anni '90, è stato attivato un canale di finanziamento della Lega che, passando dalla Libia alla Russia, e dalla Russia alla Slovenia, finiva proprio in casseforti padane.
Secondo quanto ricostruito dai carabinieri il sostenitore di un progetto mirante alla frantumazione del vecchio continente in miriadi di piccoli staterelli locali, nati da spinte nazionaliste o da spinte autonomistiche, sarebbe stato tra gli altri il leader nazionalista russo Vladimir Zhirinovskji. Numerosi testimoni provenienti dalla ex Jugoslavia hanno rilasciato testimonianze che garantiscono «in maniera indiscutibile l'autenticità del giro d'affari tra un certo Nicholas Oman (trafficante d'armi e nazionalista sloveno nda ) e Zhirinovskji». 
I carabieri danno poi conto anche di documenti riservati che hanno confermato l'esistenza, nei programmi di Zhirinovskji, di un progetto. Quale? Quello di «favorire ovunque movimenti nazionalisti e autonomisti, indipendentemente dal loro orientamento ufficiale filo o anti-russo, in modo da accelerare processi disgregativi che, in qualche modo, avrebbero favorito poi nuove forme di aggregazione».
Ed ecco il punto: «Il Colonnello Gheddafi risulta essere stato tra i principali sponsorizzatori e promotori delle campagne e dell'ascesa politica dello stesso Vladimir Zhirinovskji» hanno scritto i carabinieri di "Cheque to Cheque". In sentesi, secondo le indagini dei Carabinieri il Colonnello Gheddafi, per il tramite del nazionalista russo e dei nazionalisti sloveni avrebbe concesso, di fatto gratuitamente, sostegno a «gruppi a carattere secessionista e indipendentista che operano nel nostro Paese».
Ora il fatto interessante è che dalle indagini di "Cheque to Cheque" sono emersi, scrivono gli investigatori, «numerosi riscontri che legavano alcune parti del movimento di Bossi proprio ai nazionalisti sloveni. Questi ultimi erano, del resto, come si è visto attraverso la figura di Oman, strettamente legati a Vladimir Zhirinovskji e ai nazionalisti russi», un circuito finanziato con i "dinari" di Gheddafi. Il leader nazionlista russo dal canto suo ha sempre perorato la causa della lega e dell'indipendenza padana al punto che Roberto Maroni, all'epoca capo del governo padano, l'aveva invitato "come osservatore internazionale" alle elezioni "padane" del 26 ottobre 1997 per il primo parlamento della Padania. Perché? Perché "le affermazioni di Zhirinovski - ha detto Maroni - sono importanti. Finalmente, la comunità internazionale si è accorta che esiste la Padania e questo non può che confortarci e farci continuare con determinazione lungo la strada intrapresa".
Oggi Bossi smentisce tutto e cerca di prendere le distanze da Gheddafi mentre il segretario del Partito Nazional democratico russo, Vladimir Zhirinovsky, offre ospitalità e rifugio a Mosca al leader libico Muammar Gheddafi. Nonostante tutto ciò e la stampa italiana, invece di gettarsi sulle tracce di Cheque to Cheque attenendosi alla verifica delle parole di Gheddafi, spettegola di una delegazione di camicie verdi, da barzelletta, che negli anni novanta fu spedita in Libia a caccia di finanziamenti per acquistare il quotidiano milanese "Il Giorno" chiedendo al Colonnello libico la bellezza di 300 miliardi di lire in cambio dell'appoggio leghista contro l'embargo della Libia. In sostanza a fronte del fatto che un partito rappresentato in parlamento e nel governo abbia chiesto finanziamenti ad uno stato estero per sgretolare l'unità nazionale (in favore di potenzialmente devastanti interessi stranieri), molti si sono attivati per ridimensionare il caso, gravissimo se vero, relegandolo alla richiesta di un semplice finanziamento per un investimento in campo editoriale. Dalla magistratura nessuna iniziativa. E tutto finisce qui. Siamo un ben strano Paese.

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