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lunedì 7 marzo 2011

Clement Shahbaz Bhatti

Martyres Christi: Shahbaz Bhatti Stampa E-mail
Il 2 marzo 2011 ha coronato il suo amore per Cristo con la palma del martirio. Non si tratta di un religioso, ma di un comune laico, un semplice cristiano coinvolto in quell’esperienza terrena chiamata politica. Per essere precisi, si tratta del quarantaduenne ministro cattolico per le Minoranze del Pakistan, l’unico cristiano presente nell’esecutivo di quel Paese musulmano. Un ministro che non si vergognava di riconoscere pubblicamente Gesù Cristo come il «nucleus of my life», il centro ed il significato ultimo della sua esistenza, e che amava ricordare a tutti quanto la vita non appartenga a nessuno, ma sia semplicemente data in prestito («borrowed»). Il 2 marzo 2011 quel prezioso prestito viene restituito. Si tratta, però, di una morte annunciata. Tre mesi fa, infatti, Shahbaz Bhatti aveva previsto la sua fine in un video testamento realizzato a futura memoria, e destinato a circolare solo dopo il tragico ...
... evento. La mano assassina del fanatismo talebano, ponendo fine alla vita terrena del ministro pakistano, ha mostrato al mondo quale sia il vero significato di concetti come testimonianza e servizio, e ha costretto alla vergogna tanti politici cattolici occidentali, nella cui bocca (sazia e sicura) tali concetti rischiano di apparire verba vacua. Il testamento spirituale di questo ultimo martire cristiano non ha bisogno di commenti, e merita di essere riportato integralmente:
«Il mio nome è Shahbaz Bhatti. Sono nato in una famiglia cattolica. Mio padre, insegnante in pensione, e mia madre, casalinga, mi hanno educato secondo i valori cristiani e gli insegnamenti della Bibbia, che hanno influenzato la mia infanzia.
Fin da bambino ero solito andare in chiesa e trovare profonda ispirazione negli insegnamenti, nel sacrificio, e nella crocifissione di Gesù. Fu l’amore di Gesù che mi indusse ad offrire i miei servizi alla Chiesa. Le spaventose condizioni in cui versavano i cristiani del Pakistan mi sconvolsero. Ricordo un venerdì di Pasqua quando avevo solo tredici anni: ascoltai un sermone sul sacrificio di Gesù per la nostra redenzione e per la salvezza del mondo. E pensai di corrispondere a quel suo amore donando amore ai nostri fratelli e sorelle, ponendomi al servizio dei cristiani, specialmente dei poveri, dei bisognosi e dei perseguitati che vivono in questo paese islamico.
Mi è stato richiesto di porre fine alla mia battaglia, ma io ho sempre rifiutato, persino a rischio della mia stessa vita. La mia risposta è sempre stata la stessa. Non voglio popolarità, non voglio posizioni di potere. Voglio solo un posto ai piedi di Gesù. Voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie azioni parlino per me e dicano che sto seguendo Gesù Cristo. Tale desiderio è così forte in me che mi considererei privilegiato qualora — in questo mio battagliero sforzo di aiutare i bisognosi, i poveri, i cristiani perseguitati del Pakistan — Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita.
Voglio vivere per Cristo e per Lui voglio morire. Non provo alcuna paura in questo paese. Molte volte gli estremisti hanno desiderato uccidermi, imprigionarmi; mi hanno minacciato, perseguitato e hanno terrorizzato la mia famiglia. Io dico che, finché avrò vita, fino al mio ultimo respiro, continuerò a servire Gesù e questa povera, sofferente umanità, i cristiani, i bisognosi, i poveri.
Credo che i cristiani del mondo che hanno teso la mano ai musulmani colpiti dalla tragedia del terremoto del 2005 abbiano costruito dei ponti di solidarietà, d’amore, di comprensione, di cooperazione e di tolleranza tra le due religioni. Se tali sforzi continueranno sono convinto che riusciremo a vincere i cuori e le menti degli estremisti. Ciò produrrà un cambiamento in positivo: le genti non si odieranno, non uccideranno nel nome della religione, ma si ameranno le une le altre, porteranno armonia, coltiveranno la pace e la comprensione in questa regione.
Credo che i bisognosi, i poveri, gli orfani qualunque sia la loro religione vadano considerati innanzitutto come esseri umani. Penso che quelle persone siano parte del mio corpo in Cristo, che siano la parte perseguitata e bisognosa del corpo di Cristo. Se noi portiamo a termine questa missione, allora ci saremo guadagnati un posto ai piedi di Gesù ed io potrò guardarLo senza provare vergogna».
Così offrono la propria vita i Martyres Christi!
Ora Shahbaz, nella gloriosa schiera dei Santi, può contemplare da vicino (e davvero senza vergogna) il volto di quel Cristo che ha riconosciuto come centro e significato della propria esistenza.
Di fronte alla testimonianza di una sequela della croce vissuta usque ad effusionem sanguinis, tanti tiepidi cristiani, ripensando alla propria pavida fede compromissoria, farebbero bene a riflettere. O, meglio, ad arrossire.
Gianfranco Amato

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