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mercoledì 2 marzo 2011

L’astuzia del potere

L'astuzia del potere
“Ormai lo sfascio è tale da restare sorpresi che comunque il Paese tiri ancora avanti in qualche modo” (Gianfranco La Grassa). E’ vero. Eppure un’altra storia era possibile e forse lo è ancora.
Crollato il Muro di Berlino, per i Paesi dell’Europa occidentale, o meglio dell’Europa continentale, tenendo conto dei vincoli che uniscono gli Stati Uniti e la Gran Bretagna (come ben sapeva De Gaulle, che non solo chiuse tutte le basi americani in Francia ma sempre si oppose all’ingresso degli inglesi nella comunità europea) vi era l’occasione di ridefinire i rapporti con gli Usa, creando una forza militare indipendente dalla Nato e attuando una riforma delle istituzioni europee che limitasse il più possibile l’intervento di organizzazioni “atlantiche” negli affari politici ed economici del “Vecchio Continente”. A tal fine, sarebbe stato necessario intraprendere una nuova e coraggiosa Ostpolitik e dar vita ad un’area “integrata” che comprendesse anche i Paesi che sono considerati parte del cosiddetto “Mediterraneo Allargato” (Paesi della regione del Mar Nero, del Vicino e Medio Oriente compresi l’Iraq e l’Iran e naturalmente i Paesi del Nord Africa), impegnandosi il più possibile per sostenere la causa palestinese e per far cessare la “pre-potenza” sionista. Altrettanto importante sarebbe stato favorire lo sviluppo sociale, contrapponendosi al “Warfare” americano, ossia il complesso politico-militare-industriale-finanziario, che è la vera “mano invisibile” del mercato e della globalizzazione “made in Usa”. Né si sarebbe dovuta trascurare un’azione culturale per “amalgamare” i popoli europei secondo un orizzonte spirituale comune, tale da valorizzare le molteplici e secolari relazioni che uniscono l’Europa con l’Asia e con il variegato e complesso mondo islamico; e che presuppongono una cultura nettamente differente rispetto al messianesimo turboliberista, che caratterizza l’imperialismo del Leviatano statunitense.

Nulla di ciò è stato fatto, benché fosse possibile fare molto, sia pure in un’ottica che tenesse conto degli oggettivi rapporti di forza; sicché, non sorprende che la Nato sia diventata, da organizzazione militare che aveva lo scopo “dichiarato” di difendere l’Europa occidentale da un’aggressione sovietica, un’organizzazione il cui scopo principale consiste nell’assicurare agli Usa il controllo politico-militare dell’Europa continentale. Del resto, lo stesso intervento militare degli Usa nei Balcani e la creazione di uno “Stato mafioso” come il Kosovo, nel cuore dell’Europa, ha chiaramente dimostrato che gli Usa hanno tutto l’interesse a mantenere l’Europa in una condizione di sudditanza politica e di conseguenza anche economica – anche tenendo presente che è più importante non quel che si ha intenzione di fare ma quel che si può effettivamente fare – con l’appoggio di classi dirigenti (vertici militari inclusi) più leali verso Washington che nei confronti dei Paesi che dovrebbero rappresentare. Una condizione che, portando una buona parte degli europei a considerare l’Ue non una autentica comunità sovranazionale, bensì una sorta di “supermercato euroamericano”, anziché rafforzare l’unione tra i vari popoli europei, sta generando una profonda e pericolosa avversione per le istituzioni dell’Ue (non a caso la costituzione europea, dopo essere stata “bocciata” da francesi e olandesi, è stata trasformata in un “trattato”, per evitare lo scoglio del referendum popolare). Sempre più l’Ue si identifica con la Bce, con gli “euro(buro)crati” e con la politica americana, vale a dire con una politica che si fonda sulla totale mercificazione dei legami sociali e della sfera pubblica (al punto che la pubblica amministrazione, che avrebbe il compito di tutelare la “cosa pubblica”, agisce, di fatto, come un sistema di potere autoreferenziale, utile più ai vari comitati d’affari che non alla collettività), indebolendo gravemente il “senso di appartenenza” nazionale (da tenere ben distinto dallo sciovinismo) e favorendo il narcisismo identitario delle “patrie locali”, a tutto vantaggio di potentati economici apparentemente transnazionali, ma in realtà parte costitutiva del gruppo dominante americano. Ed ormai vi è perfino chi teme, non senza ragione, che l’euro, che avrebbe dovuto essere il pilastro cardine della comunità europea, possa addirittura far “fallire” l’Ue, accentuando vieppiù gli squilibri ed i contrasti ancora presenti nella “vecchia Europa”. Inoltre, se il Fmi, la Banca mondiale, le agenzie americane di rating ed una miriade di altre organizzazioni ed associazioni agiscono in funzione di una strategia politica ed economica che ha tra i suoi obiettivi quello di impedire la formazione di un’Europa indipendente dagli Stati Uniti, ci si è ben guardati dal consolidare e promuovere un’identità ed un “sentire” europei, sia sotto il profilo culturale, che sotto quello politico e militare e si è preferito fare l’apologia della civiltà occidentale senza distinguere tra Occidente ed Europa (ci si è perfino spinti a sostenere che le vere radici dell’Europa sarebbero le radici giudaico-cristiane, come se l’antica Grecia e l’antica Roma non fossero mai esistite). Mentre è proprio la “asimmetria” tra la talassocrazia statunitense e il “Vecchio Continente” che potrebbe consentire ai Paesi europei, che svolgono un ruolo di “cerniera” tra Ovest ed Est (e tra Nord e Sud), di confrontarsi e cooperare con gli altri Paesi dell’Eurasia (specialmente con la Russia, per motivi facilmente intuibili), su basi affatto diverse rispetto a quelle che contraddistinguono l’imperialismo americano.
Sotto questo aspetto, paiono essere particolarmente significative le vicende del nostro Paese, in cui il Caimano è diventato la classica foglia di fico per coprire le vergogne di un’opposizione di “sinistrati”, non solo incapaci di sviluppare un programma politico ed economico alternativo a quello del Caimano, ma perfino disposti, con un’operazione di “riciclaggio” ignominiosa, a fare l’apologia della “dittatura del mercato” e a condividere un’aberrante ideologia dei “diritti umani”, in base a cui non solo si può ritenere che i diritti sociali e quelli economici (o se si vuole, e dicendo anche meglio, il lavoro, la terra e la moneta) siano soltanto “merci”, ma addirittura si può giustificare lo sterminio di centinaia di migliaia di civili (serbi, iracheni, afghani…). Alla politica “cerchiobottista” del Caimano – che ha avuto il merito (anche se, forse, è l’unico) di “aprire” alla Russia di Putin ed ai Paesi del Mediterraneo, lasciando intendere, sia pure indirettamente, quale sia la direttrice geostrategica per smarcarsi dagli Usa, senza naturalmente rinunciare al confronto con l’unica superpotenza esistente – si rimprovera, infatti, di non godere (più) – proprio per questa “apertura” ad Est e a Sud – della fiducia dei circoli atlantisti e dell’oligarchia finanziaria occidentale, i cui rappresentanti, dall’Economist ai “sorosiani”, non fanno mistero che sia arrivato il momento di liberasi definitivamente del Caimano (sebbene, pur con tutti i suoi noti “difetti”, sia stato regolarmente eletto e mai abbia, come uomo politico, violato le procedure della cosiddetta “democrazia rappresentativa”). Un “consiglio” dei nostri “alleati” niente affatto disinteressato – se si tiene conto anche della necessità di sbarazzarsi delle nostre imprese strategiche per impedire che “qualcun altro”, ben più audace ed esperto del Caimano, le possa usare in una prospettiva geopolitica eurasiatista – ma tanto più facile da “ascoltare”, in un Paese in cui la magistratura è un “attore politico”, non sottoposto ad alcun controllo e che, almeno dall’epoca di Mani Pulite, si adopera, oltre che per tutelare i propri privilegi, indegni di un Paese civile, per garantire – con il consenso di gran parte di un’intellighenzia mercenaria, apparentemente “cosmopolita”, ma in realtà ben contenta di servire la bandiera a stelle e strisce e soprattutto assai attenta a non inimicarsi la potente lobby sionista – che al “popolo sovrano” non sia concesso di scegliere di mutare i reali equilibri di potere che condizionano la vita del Paese e che ostacolano quel processo di rinnovamento sociale ed economico senza il quale né crescita né autentico sviluppo (che è ancora più rilevante della crescita) sono possibili. Magistrati che, dopo aver cercato di “liquidare” in ogni modo il Caimano, indubbiamente uomo di non specchiate virtù pubbliche e private, non hanno esitato a “monitorare” la sua residenza e la sua vita privata, onde poterlo “incastrare” tra le gambe di qualche donzella, non proprio di “difficili costumi”. Tuttavia, se si sta assistendo ad un’azione “politico-giudiziaria” che presenta aspetti grotteschi e perfino tragicomici, dato che rischia di condurre il Paese allo sfascio totale, ancora più grave è la reazione degli uomini del Caimano (anche senza prendere in considerazione i “valletti” o le “vallette” di cui egli si è circondato), i quali, dopo anni di propaganda liberista e atlantista, non sembrano neanche in grado di comprendere quale sia la vera posta in gioco dello scontro politico in atto. E che non si tratti solo di fedeltà all’alleanza atlantica, ma di “lacune strutturali”, ovvero non siano capaci di elaborare una visione strategica coerente ed adeguata alle reali necessità del Paese, lo prova il fatto che continuano a favoleggiare di toghe rosse, avanguardie rivoluzionarie ed altre simili amenità, senza neanche avvedersi che il Caimano non solo non controlla la propria scorta ma evidentemente neanche i servizi di sicurezza – il cui controllo parlamentare egli ha addirittura affidato al “bombardiere” di Belgrado, quasi che non gli bastasse avere scelto come proprio delfino il “littore americano” – che avrebbero perlomeno dovuto informarlo di quanto stava facendo la Procura di Milano. Pertanto, adesso che è palese a chiunque la crisi dell’unipolarismo statunitense e l’instabilità che deriva dal fatto che un equilibrio multipolare non si è ancora formato – con tutti i rischi, ma anche con tutte le opportunità che ciò comporta, soprattutto per i Paesi europei “sotto schiaffo” (anglo)americano e sionista da decenni, ossia, in primo luogo, la Germania e l’Italia – come non pensare che si sia giunti all’ultimo atto, per così dire, di un lungo “iter politico-giudiziario”, iniziatosi con Mani Pulite, cioè proprio allorché gli Usa si accingevano a realizzare il loro disegno di egemonia globale, che perseguono dalla fine della Seconda guerra mondiale? Forse che i documenti pubblicati da Wikileaks e gli articoli che appaiono sulla stampa di lingua inglese in questi giorni lasciano dei dubbi al riguardo?
Si deve dunque constatare che ancora una volta si è a un bivio ed ancora una volta l’attenzione dell’opinione pubblica è “distratta” da questioni “politico-giudiziarie”, che rendono quasi incomprensibili le questioni politiche “di fondo”. Il “complottismo”, vale sempre la pena di ricordarlo, non c’entra nulla. Il fatto è che tra certi centri di potere vi è una specie di “affinità elettiva”, a cui basta qualche particolare “input” per potersi manifestare, anche perché gli “idioti politicamente utili” non mancano e, come sempre, “seguono” (al riguardo, non si dovrebbe nemmeno perdere di vista quel che sta accadendo alle “porte di casa nostra”, non perché tutto sia una manovra della Cia, ché sarebbe ridicolo solo pensarlo, ma perché, se le rivolte popolari si originano da un malcontento reale e più che condivisibile, non sono certo le masse popolari a decidere ed è meglio non vendere la pelle dell’orso, prima di averlo ucciso, senza dimenticare il vecchio, ma non antiquato, adagio secondo cui “plus ca change, plus c’est la meme chose”). Hegel avrebbe definito una tale “affinità” come l’astuzia della ragione, ma pensava che essa fosse al servizio della “fenomenologia dello Spirito”. Questo, oggi, in verità, è più difficile concederlo, tanto che parrebbe opportuno definirla piuttosto “l’astuzia del potere”. Comunque sia, si dovrebbe anche aver presente che, se per i cinici (che in Italia senza dubbio abbondano) gli oggettivi rapporti di forza sono la soluzione del problema, per i politici realisti sono il problema da risolvere: i primi vanno dove li porta il vento della storia – cioè possono salire sul carro dei vincitori, a patto che si accontentino di servire i loro padroni – i secondi sanno anche camminare controvento, tenendosi in piedi. Sarebbe quindi auspicabile – per quanto sia poco probabile – che in Italia (ed in Europa) fossero questi ultimi a governare, ora che la nave pare essere davvero “in gran tempesta”.
Fabio Falchi

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