da L’Espresso
Cl, affari con la 'ndrangheta
di Paolo Biondani
L'indagine sui clan calabresi nel nord Italia svela gli impressionanti legami tra la macchina di potere di Comunione e Liberazione e la malavita organizzata. Dalla sanità fino ai cantieri edili
(01 marzo 2011)
C'è il revisore dei conti della fiera di Milano che "divide i soldi in nero" con il capo della 'ndrangheta. Il direttore sanitario arrestato per mafia che svende appalti in cambio di "un sacco di voti" per un parlamentare "legato a doppio filo a Formigoni". C'è il nuovo manager degli ospedali lombardi che è tanto amico dei boss calabresi da farsi definire "il nostro collaboratore". C'è il vicepresidente del consiglio regionale, già indagato per bancarotta e corruzione, che si vede inserire dai giudici nel "capitale sociale della 'ndrangheta". E poi ci sono gli imprenditori mafiosi, che continuano ad avvelenare terre e acque della Lombardia. Mentre la politica reagisce vietando ai tecnici regionali di aiutare le inchieste della magistratura.
Gli atti d'accusa della direzione antimafia di Milano svelano il lato oscuro di Comunione e liberazione. Alla base di Cl c'è un movimento forte di migliaia di persone oneste, laboriose, profondamente cattoliche. Al vertice però, attorno a Roberto Formigoni, governatore-padrone della Lombardia dal 1995, si è creata una macchina di potere con agganci spaventosi. A documentarli è la requisitoria dei pm (3.286 pagine, in gran parte inedite) che nel luglio 2010 ha portato in carcere più di 300 imputati di mafia. Tra tanti reati, i giudici delle indagini hanno ritenuto provati molti fatti al limite della legalità: relazioni di "contiguità e vicinanza", che non raggiungono gli estremi della complicità penale, ma consentono ai capimafia di "beneficiare di rapporti continuativi con altri poteri, economici e politici".
Il campionario delle contiguità si apre con la Fondazione che controlla il gruppo Fiera di Milano, storicamente il primo feudo ciellino. Sulla poltrona di presidente del collegio sindacale, che è l'unico organo di controllo interno, siede un commercialista di Palmi, Pietro Pilello. Già intercettato nel 2007 mentre aiutava Berlusconi a reclutare parlamentari per far cadere Prodi, il revisore calabrese è tornato alla ribalta quando si è scoperto che nel 2009 organizzava "cene elettorali con i boss" a favore di Guido Podestà, il presidente della Provincia di Milano. Ora "l'Espresso" può svelare come è nato il suo rapporto con un capomafia del calibro di Pino Neri, un avvocato massone nominato "reggente" delle cosche lombarde direttamente dalla cupola calabrese, per chiudere una guerra di mafia esplosa nel 2008. Tra Neri e Pilello, secondo i magistrati, c'era un patto occulto: "Una compartecipazione ufficiosa alle cause civili, di cui si dividevano i guadagni in nero". Il problema è che "compare Pino" era uscito dal carcere nel 2007, dopo una condanna definitiva a 13 anni per un colossale traffico di droga, per cui non poteva più comparire come avvocato. Di qui l'accordo tra i due fiscalisti che hanno fatto fortuna al Nord: le parcelle vengono "intestate allo studio di Pilello, presenziato da suo figlio", ma "il boss Neri incassa il 50 per cento". Il capomafia intercettato si lamenta perfino che Pilello gli avrebbe "fottuto soldi in nero" e "rubato clienti", citando "una pratica da un milione di euro" per un centro commerciale. Ora Neri è in cella, mentre Pilello continua a collezionare poltrone, mettendo d'accordo formigoniani e berlusconiani: è revisore dei conti di 28 società, tra cui Finlombarda, Mm, Asm Pavia e Raiway.
Queste e altre rivelazioni dei boss sono state registrate dalle microspie nascoste dai carabinieri sull'auto di Carlo Antonio Chiriaco, un super manager della sanità lombarda arrestato come "mafioso da più di vent'anni". Rievocando estorsioni, riciclaggi nell'edilizia e tentati omicidi, lo stesso Chiriaco si è autodefinito "fondatore della 'ndrangheta a Pavia". Nel 2008, dopo vent'anni di promozioni, la giunta Formigoni lo ha nominato direttore sanitario dell'Asl di Pavia, una delle più importanti d'Italia, con 780 milioni di fatturato. Qui Chiriaco, concludono i giudici, ha "costantemente operato nell'interesse della 'ndrangheta". "Questo è il centro di potere più grosso della provincia", spiegava lui ai boss, "perché da noi dipendono tutti gli ospedali, i medici, i cantieri, la veterinaria... Siamo noi che diamo i soldi e noi che controlliamo... Ho una squadra che funziona che è una meraviglia". E Neri confermava: "Ha tutta la provincia sotto di lui, ci fa centomila favori... Lui è molto vicino a me, da anni siamo tutt'uno".
Il più potente sponsor di Chiriaco è l'onorevole Giancarlo Abelli, detto "il faraone di Pavia". Ex dc non ciellino, è diventato, nell'era Formigoni, il grande burattinaio della sanità. E nel 2010, quando si ricandida in Regione, Chiriaco si scatena. Corrompe elettori: "Venti euro a voto, ecco la busta". Alluviona Pavia di sms: "Chiedo la preferenza per Abelli, molto più che un amico. Scrivi Abelli (Pdl) sulla scheda. Grazie per questo favore". Anche il boss Neri fa votare l'onorevole e il 15 febbraio 2010 gli manda in ufficio uno scagnozzo per farsi "ringraziare". Chiriaco spiega così ai mafiosi i vantaggi del voto: "Abelli è legato a doppio filo a Formigoni. E nei prossimi cinque anni c'è l'Expo". Ma cosa promettesse Abelli, resta un mistero: è parlamentare, proibito intercettarlo.
Di certo il manager mafioso dell'Asl di Pavia aveva già brigato per far scarcerare sua moglie, Rosanna Gariboldi, arrestata (e poi condannata) per aver riciclato fondi neri del "re delle bonifiche" Giuseppe Grossi. Lady Abelli finisce in cella il 30 ottobre 2009. Mentre i big di Cl e Pdl parlano di "tortura giudiziaria", Chiriaco organizza due false visite mediche per far certificare un'inesistente malattia della detenuta. Al telefono, precisa che il medico disponibile, un ciellino doc, è stato "contattato da Pietro Caltagirone": il dirigente della sanità che fu nominato a Lecco, la città di Formigoni, nonostante una condanna definitiva per appalti truccati.
A sua volta l'imprenditore Grossi, prima delle manette, era al centro di una lobby che univa Formigoni al ministro Gelmini, passando per Abelli e Paolo Berlusconi. La sua fortuna è finita a Santa Giulia: il maxi-progetto edilizio, approvato dal Comune di Milano, che è risultato avvelenato da montagne di rifiuti tossici. Il piano di disinquinamento era stato certificato da un esperto ciellino, Claudio Tedesi, ora indagato. La bonifica però era finta, anzi Santa Giulia era diventata una discarica abusiva della 'ndrangheta. I cumuli di "scorie cancerogene" sono stati scoperti, alla fine, da una squadra di tecnici regionali dell'Arpa, scelti dai pm. Ma nessuno potrà più fare nuove indagini: da dicembre il direttore dell'Arpa (un fedelissimo di Nicola Sanese, l'eminenza grigia del Pirellone) ha tolto ai tecnici tutti i poteri di polizia giudiziaria. Proprio adesso che la Procura scopre che decine di grandi lavori, dall'ospedale di Como alle strade dell'Expo, sono inquinati dai veleni mafiosi.
Dopo l'arresto di Chiriaco (e lo strano suicidio di un dirigente indagato per mafia dell'ospedale San Paolo) Formigoni ha promesso di nominare "i più meritevoli". Detto fatto. Il 31 dicembre, dopo una feroce spartizione tra Cl e Lega, la giunta sforna i nuovi direttori della sanità. Al vertice dell'Asl Milano 1 sale Pietro Gino Pezzano. Quando "Il Fatto" pubblica una sua foto con i boss della Brianza, l'opposizione insorge. Pezzano minimizza: "Un caso. Io sono un medico, quelli erano tra i tanti miei pazienti". Peccato che per i capimafia lui non sia uno dei tanti. Il boss Pino Neri, come ha verificato "l'Espresso", lo inserisce nella cerchia degli "amici stretti". "I nostri collaboratori", arriva a definirli, spiegando a un complice che "Gino Pezzano è un pezzo grosso della Brianza, della sanità... Fa favori a tutti!".
Tra Monza e Desio il suo nume è Massimo Ponzoni, che fino allo scandalo Grossi era l'assessore lombardo all'Ambiente, rifiuti e bonifiche. I giudici antimafia ora osservano sbalorditi che gli altri politici vengono contattati da imprenditori collusi, mentre lui è l'unico ad avere "rapporti diretti con i boss", inserendosi così nel "capitale sociale della 'ndrangheta". Ricandidato anche se indagato per bancarotte immobiliari e presunte tangenti tra edilizia e sanità, Ponzoni è tuttora uno dei quattro vicepresidenti del consiglio regionale. Benvenuti in Lombardia, Italia 2011.
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