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domenica 5 giugno 2011

Lo scaricabarile
In questi giorni tra i banchi s’intravede il mare. E’ bastato un po’ di caldo sole nelle scorse settimane a far spuntare canottierine, sandali e braghette alla marinara. Segni di come è cambiata la scuola e, soprattutto, chi la frequenta. Succede così che questi ultimi giorni siano un momento molto particolare nelle aule, dove i più sono già con la testa sulle spiagge della penisola e una minoranza, una comunque cospicua minoranza, sta giocando una partita di nervi contro tensione e stanchezza, per gli esami di maturità o per recuperare insufficienze al fotofinish. Pianti e risate, in un mix di nervi a fior di pelle e spensieratezza: le lezioni finiscono relegate in un cantuccio.
Mi sto prendendo, quindi, questo tempo per sperimentare cose in vista del prossimo anno – se ci sarà concesso l’onore, di un prossimo anno. Per provare a fare qualche esperimento didattico ora che, bene o male, le mie centocinquanta anime le conosco un po’ di più. Mi prendo tempo anche per ascoltarli di più, per farli esprimere, per capire dove passa il senso in questo gruppo di (apparenti?) vagabondi nomadi di valori.
Ascoltando le loro storie mi faccio sempre di più l’idea che tutti i difetti che gli tributiamo siano i nostri difetti, difetti che loro ci ripropongono in modo sistematico. Ho l’impressione che questo gregge di giovani in disordinata fuga sia il prodotto di un momento in cui nessuno fa il pastore (senza generalizzazioni, ovvio). In definitiva, pare di avere davanti una generazione che per la prima volta e più di tutte le precedenti è lasciata allo stato brado da gruppi di adulti che abdicano alle loro funzioni e responsabilità. Per ignavia, pigrizia, incapacità, incompetenza, mancanza di tempo, eccessiva vicinanza o lassismo, questo non lo so, non lo posso dire.
Di certo, non ci sono solo le responsabilità dei genitori senza tempo o senza idee; ci sono anche le responsabilità dei professori, sempre più frustrati perché sempre più incapaci di gestire con i vecchi strumenti un’utenza che nel bene e nel male è nuova, è cambiata, è diversa. Così, l’incapacità di identificare i tratti di base del cambiamento, e quindi di comprenderlo, e di ricalibrare gli strumenti o semplicemente di ricercarne di nuovi per affrontarlo, genera sensazioni di disagio, quel disagio derivante dalle situazioni che non siamo più in grado di controllare. Taluni, come estrema reazione a questo processo, evocano il rimbecillimento totale della società e dei suoi figli, e giustificano in questo modo il proseguimento con i vecchi metodi di lavoro, coinvolgendo nello svolgimento delle lezioni solo chi ancora recepisce input ‘tradizionali’. Una posizione piuttosto diffusa nel corpo docente, quest’ultima, e a mio modo di vedere un poco anacronistica.
E allora cosa succede? Che schiacciati da genitori oppressi dal lavoro e dalla mancanza di tempo e da professori sempre più indispettiti e indisposti, gli studenti sono i malcapitati destinatari di uno scaricabarile di colpe e responsabilità che non sono, o sono solo in parte, loro; cazziati a casa e mortificati a scuola, in un limbo che a loro resta per lo più incompreso.
Ovviamente, esiste una condizione del lavoro diversa dei genitori, ovviamente, i professori si trovano in condizioni sempre peggiori per esercitare la propria attività di educatori, altrettanto ovviamente, la società in cui ci muoviamo è cambiata parecchio, potrandosi dietro anche noi, le nostre abitudini, il nostro modo di pensare. Nessuno lo mette in dubbio. Ma qualche riflessione bisognerà pur farla.
Alla vigilia di questi scrutini – ambito in cui per solito si palesa la forza violenta del voto numerico e della discriminazione sull’unica base della capacità di conformarsi al vecchio modello – sarebbe forse utile ribadire che una discussione allargata riguardo al ruolo della scuola nella società andrebbe avviata e iniziata proprio all’interno del corpo docente. Sui giornali qualcuno ha già lanciato il sasso.
Mentre i titani dell’intelletto si affrontano sulle pagine dei quotidiani nazionali, noi umili professori di provincia – io ultimo tra gli ultimi – si cerca di arrangiarci, facendo raccogliere le cartacce per terra alla fine della lezione, cercando di tenere i contatti con figli e genitori, certe volte tra figli e genitori, ascoltando e muovendoci con la maggiore accortezza possibile nel grande caos della fine di un anno scolastico.

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