Post più popolari

sabato 26 novembre 2011

L’Italia di Berlusconi che crolla e che frana
“Se esistesse un grande politico in Italia - ha scritto Curzio Maltese su “il Venerdì di Repubblica” - dovrebbe fare un discorso sulla bellezza. Perché è da qui che bisogna ripartire per uscire dalla crisi. Dalla capacità storica italiana di produrre bellezza. Quando si scorre l’album del boom economico anni Sessanta, quello che rimane è un’infinita serie di oggetti magnifici: la Vespa, la Giulietta, la Lancia, la 500, le lampade Fontana e Castiglioni, le plastiche Moplen, i frigoriferi Ignis, la poltrona Sacco, le cucine e si potrebbe continuare per pagine e pagine. Ancora oggi le quattrocento medie industrie esportatrici sulle quali si fonda ancora la ricchezza della nazione, devono gran parte del successo al senso del bello, che producano vestiti o macchinari, occhiali o simulatori di volo. A un giovane ambizioso, oggi bisognerebbe consigliare di seguire un corso di calligrafia, invece del master di finanza alla Bocconi per imparare a far soldi. Tanto, se andiamo avanti così, presto non ci sarà più niente su cui speculare”.

Già, la bellezza: Stendhal diceva che è “una promessa di felicità”. Io, più modestamente, sostengo che sia la maggiore risorsa – e, naturalmente, la meno valorizzata – del nostro Paese. Se ho usato il verbo “valorizzare” e non l’odioso “sfruttare” è perché in Italia il patrimonio artistico e paesaggistico viene già sfruttato, maltrattato e offeso oltre i limiti del tollerabile; o, nel migliore dei casi, abbandonato a se stesso, lasciato a deteriorarsi nell’incuria generale, come se non valesse niente, come se non fosse una delle nostre principali attrazioni turistiche, come se potessimo continuare a cullarci nella presuntuosa idea che tutto ci sia dovuto e non dobbiamo fare nulla per preservare la nostra meraviglia.

Quanto è avvenuto in questa settimana in Lunigiana e nel Levante ligure, la devastazione di alcuni paesi-gioiello dell’Alta Toscana e delle Cinque Terre, è soltanto l’ultima lezione che una natura sempre più bistrattata impartisce all’uomo, quasi un avvertimento (anche se mi tengo ben alla larga da chi parla di “punizioni divine” e altre scempiaggini) all’uomo affinché la smetta di deturpare ogni centimetro di costa, di lungomare, di collina, di valle e di montagna con orribili colate di cemento, capannoni industriali, stabilimenti balneari e tutte le altre diavolerie artificiali con le quali stiamo trasformando la vita reale in un’esperienza sempre più artificiale.

Qualcuno, leggendo queste riflessioni, potrebbe pensare che io sia contrario alla modernità. Niente di più sbagliato: io sono uno dei massimi sostenitori del mondo globale, delle nuove tecnologie, dei social network, della società telematica, multimediale e multietnica, della riduzione delle distanze che oggi ci permette di comunicare in diretta con persone che si trovano dall’altra parte del Pianeta.
A conferma di ciò, riprendo l’inizio del già citato articolo di Curzio Maltese, intitolato “La lezione di Steve Jobs sulla bellezza, un esempio per i politici”: “Quando Steve Jobs raccontava d’aver lasciato l’università per seguire un corso di calligrafia, non svelava soltanto un aspetto del proprio carattere e di una biografia straordinaria. La madre studentessa, com’è noto, aveva abbandonato il piccolo Steve dopo la nascita per finire gli studi. Jobs ricorda a tutti quanto è importante la bellezza nelle scelte della vita e quanto sia al centro del mercato. Senza quella scelta bizzarra e in apparenza futile, Apple non avrebbe avuto caratteri tanto belli”.
Qualche settimana fa, alla morte di Steve Jobs, abbiamo assistito ad una sorta di commemorazione collettiva, globale, uno dei momenti più significativi di questo pessimo periodo segnato dalla crisi. All’improvviso, ci siamo accorti di quanto sia importante abbinare bellezza e profitto, benessere e sostenibilità ambientale, sviluppo umano e crescita economica, di quanto avesse ragione Adriano Olivetti nel sostenere l’importanza di una “città dell’uomo”, realizzata secondo canoni rispettosi delle esigenze umane ma anche dell’ambiente e di un’idea di architettura basata sull’eleganza, e di quanto sia iniquo il caposaldo di un certo capitalismo d’assalto secondo cui l’unica cosa che conta è l’arricchimento personale a scapito della collettività.

Questo modello, introdotto trent’anni fa da Ronald Reagan e Margaret Thatcher, che ha alla base il princìpio del “meno Stato”, dello Stato cattivo a prescindere, della “deregulation” e della privatizzazione come rimedio a tutti i mali della gestione pubblica dei servizi, è una delle cause principali, se non la principale, dell’attuale sfacelo economico.
Per troppo tempo, si sono contrapposte due visioni sociali entrambe sbagliate: da una parte, lo statalismo sovietico che ostacolava ogni forma di iniziativa privata; dall’altra, il capitalismo sfrenato di una parte dell’Occidente che ha prodotto danni incalcolabili all’ambiente ma, quel che è peggio, ha creato una società nella quale non è più al centro l’uomo, nella quale l’uomo è stato ridotto a macchina da produzione e da consumo, nella quale valori fondamentali come la solidarietà, il rispetto, la buona educazione, la speranza in un futuro migliore sono stati sviliti e oggi non contano più niente.

Questa, ad esempio, è la triste Italia di Berlusconi: un paese che crolla e che frana, che sprofonda nel fango morale gettato sugli avversari per screditarli e in quello materiale che ha devastato due regioni e una costa, avvelenata dai sostenitori del profitto a tutti i costi e dalla bruttezza di scempi paesaggistici che non abbiamo avuto il coraggio di contrastare come avremmo dovuto.
Per ricostruire l’Italia, riprendendo un bel messaggio di Pierluigi Bersani, occorre mediare tra i due errori del passato: no allo statalismo a tutti i costi e no al capitalismo distruttivo; sì, invece, ad un capitalismo sostenibile che abbia al centro il concetto che chi ha di più deve dare di più, in cui il bene di ciascuno non può prevalere su quello della comunità ma deve esserne una parte importante, in cui l’egoismo e l’indifferenza siano considerati disvalori da eliminare e non punti di riferimento e la bellezza, la poesia, la cultura, l’allegria, la spensieratezza, la gioia di vivere e, per dirla con Italo Calvino, la leggerezza, intesa come l’espressione semplice di concetti ampi e profondi, tornino ad avere nella nostra società il posto che meritano.

Ricostruire l’Italia e liberarla dall’inquinamento del berlusconismo e di una destra affaristica e incapace di assicurare al Paese il rinnovamento e il cambiamento di cui ha bisogno, significa anzitutto ripartire dalla tutela dell’ambiente.
Per questo, accogliamo con entusiasmo la nascita del Forum Nazionale “Salviamo il paesaggio – Difendiamo i territori” (www.salviamoilpaesaggio.it), promosso tra gli altri da Carlin Petrini, che tra gli obiettivi si propone quello di effettuare un censimento degli immobili sfitti o non utilizzati da parte dei comuni, tenendo presente che negli ultimi dieci anni, in Italia, sono state costruite quattro milioni di case mentre pare che ce ne siano cinque milioni e duecentomila vuote. Senza contare i capannoni proliferati ovunque che stanno lì, enormi, in rovina, a testimoniare il tracollo di uno sviluppo industriale insostenibile e il fallimento di numerose imprese, con le inevitabili ricadute sociali e occupazionali.

Poiché l’agonia di questo governo è ormai irreversibile e le urne si avvicinano di giorno in giorno, lanciamo al centrosinistra la più ambiziosa delle sfide: fare proprio l’appello di Petrini quando afferma che “non c’è bisogno di nuove case, non c’è bisogno di nuovi capannoni: è ora di capire che chi li fa li fa soltanto per il proprio tornaconto privato, e intanto distrugge un bene comune. Rispettiamo la proprietà privata, ma il bene comune deve avere la precedenza. Il paesaggio, forse a prima vista meno tangibile dell’acqua, è un bene comune perché tutelandolo si preservano l’ambiente, la sicurezza delle persone, le attività agricole, i suoli, la bellezza. Il privato, fatti salvi i suoi diritti, non può privare il resto della comunità di qualcosa d’insostituibile e di non rinnovabile. Il privato non può privare”.
Siamo certi che chiunque sarà il leader del centrosinistra, comunque sia composta la coalizione, saprà raccogliere questa sfida che riguarda il futuro delle nuove generazioni.
Roberto Bertoni

Nessun commento:

Posta un commento