Post più popolari

mercoledì 21 settembre 2011

LE DIVINE “PROVVIDENZE” DI DON VERZÉ,
IL PRETE MANAGER CHE UNISCE DIO E MAMMONA


36293. MILANO-ADISTA. Ma chi è il prete 91enne (v. notizia precedente) che resiste al tentativo di “scalata” del card. Tarcisio Bertone? Don Luigi “Maria” Verzé (il “Maria” è una sua libera aggiunta), nato il 14 marzo 1920 a Illasi, vicino a Verona, è figlio di una nobildonna e di un agiato latifondista.

Sin da giovane, viene affascinato dalla figura e dall’opera di don Giovanni Calabria, fondatore delle congregazioni dei Poveri Servi e delle Povere Serve della Divina Provvidenza e di opere di assistenza a malati e poveri. Si laurea in Lettere classiche e Filosofia con p. Agostino Gemelli nel 1947 all’Università Cattolica di Milano e viene ordinato prete l’anno successivo, a Verona, ed entra nella Congregazione Poveri Servi della Divina Provvidenza, di cui diviene segretario. Su mandato di don Calabria, e con il consenso dell’allora arcivescovo di Milano, il card. Ildefonso Schuster, dà vita nella diocesi a diverse scuole di avviamento professionale per ragazzi di periferia e successivamente a case-albergo per anziani. Nel 1950 apre, sempre in collaborazione con don Calabria, un centro di assistenza all’infanzia abbandonata a Milano; successivamente, nel 1958, fonda l’Associazione Centro di Assistenza Ospedaliera S. Romanello (che nel 1993 diventerà Associazione Monte Tabor) con lo scopo di assistere i più deboli. I rapporti con la Curia però non sono facili. Fin dall’inizio Verzé cerca infatti di evitare qualsiasi intromissione o supervisione dell’autorità diocesana sulle sue opere e rifiuta di riservare alla Curia due posti nel CdA dell’Opera San Romanello. Anche per questa ragione, il 26 agosto del 1964 Verzé viene interdetto dalla Curia di Milano, guidata dal card. Giovanni Colombo con il divieto di esercitare l’attività pastorale sul territorio diocesano: un problema di natura squisitamente ecclesiastica. E giuridica. Verzé, infatti, era stato incardinato nella diocesi di Verona (è tutt’ora tra i presbiteri elencati nell’annuario diocesano). L’interdizione venne confermata anche negli anni successivi.

E se i rapporti con la Curia non sono buoni, in quello stesso periodo si deteriorano anche quelli con la Congregazione di appartenenza (don Calabria era morto nel 1954). Le loro strade si separarono.



Il “decollo” del San Raffaele

Ciononostante, il prete manager continua alacremente la sua attività e nel 1969 fonda il San Raffaele, il polo ospedaliero che avrebbe fatto la sua fortuna. Sono gli anni del sodalizio con Silvio Berlusconi, raccontati da Giovanni Ruggeri nel libro Berlusconi. Gli affari del presidente (Kaos, 1994). E sono soprattutto gli anni della Edilnord, l’azienda attraverso la quale Berlusconi aveva acquistato (settembre 1968) per oltre 3 miliardi di lire un’area di 712mila metri quadrati a Segrate, periferia orientale di Milano, su cui realizzare un quartiere residenziale, “Milano 2”, sul modello dei complessi residenziali olandesi. Lì vicino, Verzé aveva invece acquistato il terreno di 46mila metri sul quale era sorto il San Raffaele (la Fondazione Monte Tabor ha tuttora sede nella ormai famosa via Olgettina).

I due avevano un problema comune: il transito su quell’area degli aerei in partenza dall’aeroporto di Milano-Linate. Così, nel 1971 Verzé e Berlusconi, inoltrarono una petizione al Ministro dei Trasporti per salvaguardare la tranquillità degli abitanti di Milano 2 e i ricoverati del San Raffaele. Il 13 marzo 1973, racconta Ruggeri nel suo libro, si incontrano a Roma, presso Civilavia (amministrazione dell’aviazione civile del ministero dei Trasporti) «l’on. Carenini [ex parlamentare dc iscritto alla P2, considerato uno dei più attivi reclutatori della loggia di Gelli], esponenti del Cia [Comitato Intercomunale Antirumore che riuniva diversi comuni dell’hinterland milanese sensibili alle ragioni di Berlusconi e Verzé], i direttori dei quattro ospedali dei comuni settentrionali, funzionari del Ministero della Difesa responsabili dei controllo aereo, dirigenti dell’Alitalia, e don Luigi Verzé in persona. Secondo un esponente del Comitato antirumore segratese, nel corso di tale riunione vengono utilizzate carte topografiche per Segrate e Pioltello risalenti al 1848, per Milano 2 (edificata solo al 25%) complete come se la cittadella fosse già stata ultimata». Così, la direttiva Civilavia del 30 agosto 1973, stabilisce che «la nuova rotta di decollo ha la prioritaria cura di evitare l’area di Berlusconi-don Verzé».



Le grane giudiziarie

Nel 1976 don Verzé viene condannato a tre mesi di arresto per i lavori di ampliamento dell’Ospedale avviati senza licenza edilizia. Racconterà tempo dopo Panorama, sul numero del 14 maggio 1989: da anni «si trascina un contenzioso con gli abitanti di Milano 2 che si considerano “scippati”, come spiega Silvio Fontanelli, consigliere indipendente al Comune di Segrate, di una strada che avrebbe dovuto costeggiare il quartiere e che non verrà mai realizzata perché su parte di quel terreno sono stati eretti nuovi edifici dell’ospedale. “Costruzioni abusive”, specifica Fontanelli, “che anche dopo l’ultima ordinanza del pretore sono ancora lì. Quando si hanno i santi in Paradiso tutto è possibile”».

Il 3 marzo 1977, la Seconda Sezione Penale del Tribunale di Milano riconosce don Luigi Verzé colpevole di «istigazione alla corruzione», «per avere, quale Presidente dell’Ospedale San Raffaele, con atti idonei diretti in modo non equivoco ad indurre il dottor Rivolta, assessore alla Sanità della Regione Lombardia, a compiere atti contrari ai doveri del proprio ufficio, promesso di corrispondergli il 5% sull’ammontare del residuo contributo pari a L. 1.500.000.000 circa, quale corrispettivo della erogazione da parte dell’Ente Regione ad esso Verzé del predetto residuo contributo». Nella sentenza è scritto di «sorprendenti circostanze attraverso le quali l’ente di don Verzé era riuscito a ottenere la qualifica di “Istituto scientifico”» e anche che l’imputato era «strettamente legato agli ambienti della Democrazia Cristiana», e che aveva dimostrato di esercitare «una notevole influenza sulle pubbliche autorità».

Ma nessuno degli strascichi giudiziari scaturiti dalla vicenda Milano 2-San Raffaele approda a sentenza definitiva. Tra archiviazioni, stralci, rinvii a giudizio, ricorsi, assoluzioni, prescrizione di reati, Verzé si vede anche annullata (per prescrizione) la condanna in primo grado per tentata corruzione.

Berlusconi e Verzé nel 1990 tentano la scalata alla sanità veneta, cercando di mettere le mani, tra l’altro, sulla casa di cura privata “Città di Verona” (oggi Poliambulatorio Specialistico Verona) e sull’ospedale pubblico di Tregnago (Vr), per dar vita ad una sorta di “pool sanitario privato” ed avere così un controllo globale sulle numerose cliniche disseminate nel Veneto (v. Adista nn. 24 e 28/90).

Verzé ha anche tentato di accaparrarsi l’ospedale pubblico di Valeggio, unico centro in tutt’Italia specializzato nell’accrescimento osseo e molto quotato anche all’estero: contro l’iniziativa nasce però un comitato che raccoglie ben 20mila firme per salvare l’ospedale dalla possibile privatizzazione.

Verzé si rifà nel 2007 (dopo che l’anno precedente aveva inaugurato un poliambulatorio San Raffaele sul colle di San Felice, nella sua Illasi), quando ottiene di poter costruire un ospedale sul colle di San Giacomo, a Lavagno (Vr), in un parco collinare coltivato a vigneto. Il progetto, già analizzato dalla Regione, che ne ha modificato le volumetrie, limitando le altezze, ha già ricevuto il via libera alla sistemazione della viabilità, e comporta un investimento di 12 milioni di euro. La struttura sanitaria si estenderà su una superficie di ben 550 mila metri quadrati.

Filo conduttore di tutta l’azione imprenditoriale di Verzé, quello di sfatare il mito di cattolico, uguale privato, cioè per pochi e per ricchi. Il prete manager ha perseguito questo obiettivo stipulando convenzioni con la sanità pubblica che gli consentissero di effettuare prestazioni di eccellenza a costi molto contenuti, potendo godere di consistenti rimborsi da parte della Regione. Lo sanno bene in Lombardia, dove le strutture di don Verzé costano, tra degenze convenzionate, prestazioni ambulatoriali e rimborsi per farmaci, più di 400 milioni di euro l’anno.



Arrivederci Roma

Non dappertutto, però, questa tattica ha funzionato, come testimonia il tentativo di “sbarco” del San Raffaele a Roma. Nel 1983 Verzé acquista ad un’asta fallimentare un albergo abbandonato nella zona di Mostacciano, tra il Raccordo Anulare e la Pontina. Nel giro di una decina d’anni l’edificio viene completamente ristrutturato e trasformato in ospedale ed è pronto ad ottenere il riconoscimento dalla Regione per poter operare in convenzione con la Sanità del Lazio e a stipulare un accordo per diventare polo universitario. È il 1997 e tutto sembra fatto: l’allora rettore della Sapienza, Giorgio Tecce (da cui dipende il Policlinico Umberto I), è d’accordo, il ministro dell’Istruzione Luigi Berlinguer firma il decreto che accredita il San Raffaele come seconda facoltà di Medicina di Roma, dopo l’Umberto I. Don Verzé ha già investito 400 miliardi e fatto assumere 150 persone. Ma tutto si blocca. Le convenzioni con la sanità regionale non arrivano. Il presidente del Lazio, il cattolico di sinistra Piero Badaloni, non firma. Anche per le pressioni del ministro della Sanità Rosi Bindi (una «statalista sovietica» secondo il vulcanico prete veronese), che vuole evitare che la sanità del Lazio subisca un processo di privatizzazione. Per Verzé si tratta di resistenze cattocomuniste, figlie della «sinistra cattolica dossettiana e lapiriana, giustizialista e autoritaria». In realtà sull’operazione serpeggiava più di qualche perplessità (e malumore) anche in Vaticano, che non gradiva la concorrenza del nuovo ospedale al Policlinico Gemelli. Alla fine, il San Raffaele di Roma passa agli Angelucci che poi lo rivendono allo Stato.



L’università della trasversalità

Nel 1996 all’Ospedale San Raffaele si affianca una nuova “creatura”: l’Università Vita-Salute San Raffaele, di cui Verzé diviene rettore. Il San Raffaele era stato fino ad allora uno dei poli ospedalieri convenzionati con l’Università degli Studi di Milano; con il nuovo ateneo don Verzé rende invece autonoma la formazione dei propri studenti di Medicina. In seguito introdurrà anche le Facoltà di Filosofia e Psicologia. Ad insegnare nella sua Università, il prete manager chiama intellettuali laici e cattolici anche di orientamento variamente progressista, per rafforzare l’immagine d’avanguardia culturale e religiosa, ponte tra culture diverse, che il San Raffaele (e il suo fondatore) ama offrire di sé: tra essi, solo per citare alcuni nomi, Massimo Cacciari, Vito Mancuso, Roberta De Monticelli, Emanuele Severino, Enzo Bianchi.

Del resto, Verzé ha sempre rivendicato la sua “trasversalità”, è sempre stato abilissimo nell’intessere relazioni, reperire fondi, garantirsi linee di credito con le banche, mantenere agganci nel mondo politico ed istituzionale. In tutte le aree politiche: amico di Fidel Castro e Gheddafi, vicino agli andreottiani ed alla destra dc, amico di Bettino Craxi e di Berlusconi, recentemente Verzé ha flirtato anche con Nichi Vendola. E anche all’interno della Chiesa ha sempre fatto il battitore libero. Spiccatamente di destra per quanto riguarda il rapporto tra pubblico e privato e la libera iniziativa ed il giudizio sul valore del denaro e dell’imprenditoria, coltiva però da diversi anni l’amicizia di uno dei leader del cattolicesimo “conciliare”, il card. Carlo Maria Martini, con il quale ha anche scritto un libro (Siamo tutti nella stessa barca, editrice San Raffaele, 2009). E non di rado, specie sui temi “eticamente sensibili”, ha assunto posizioni di “rottura”. All’epoca del referendum sulla legge 40, nel 2005, Verzé si espresse in modo del tutto difforme dalla linea decisa dal card. Camillo Ruini, che puntava a boicottare la consultazione attraverso l’arma dell’astensione. Alla vigilia del voto, Verzé concesse un’intervista al Corriere della Sera, in cui alla domanda se un cattolico poteva votare sì, rispose: «Se è un cattolico libero avverte la responsabilità di quel che fa, ha vera consapevolezza di sé e del valore del suo sé, in teoria potrebbe». Del resto, al San Raffaele la fecondazione assistita è stata sempre praticata. Dopo l’intervista, Avvenire reagì duramente. Il Vaticano si mosse. E Verzé, caso piuttosto eccezionale, alla fine si piegò. E si “spiegò” con un’intervista riparatrice al quotidiano dei vescovi in cui chiariva: «Cosa farò il 12 giugno? Mi asterrò».

Nel 2006 Verzé tornò alla carica, annunciando di aver “staccato la spina” a un amico malato. E il 3 settembre 2010 pubblicò sul Corriere della Sera un articolo, intitolato “Se fossi Papa”, in cui enunciava il suo programma: andare a vivere in Africa, discutere di procreazione assistita, sacerdozio femminile e contraccezione, far eleggere i vescovi dal popolo, eliminare i cardinali «e tutte le disparità dal sapore feudalesco». (valerio gigante)


Nessun commento:

Posta un commento