Post più popolari

venerdì 16 settembre 2011

L’esecuzione di Vittorio Arrigoni

e i brutti ambienti nostrani

Scritto da lia | Pubblicato: 26 agosto 2011

C’è questa cosa che non mi tolgo dalla testa, da quando Vittorio Arrigoni è morto, e ne ho parlato con un mucchio di gente – gente vicina alla causa palestinese, ovviamente – sperando di essere tranquillizzata e di vedere smontati i miei ragionamenti, e invece no. Perché sono pensieri su cui vorrei avere torto, i miei, e quindi sarò grata a chi volesse convincermi della loro infondatezza.

Qualche data, intanto.
Partiamo dal fatto che Vittorio ci aveva vissuto per tre anni, a Gaza, durante i quali aveva avuto ottimi rapporti con tutti, a cominciare dal governo di Hamas.
Le cose cominciano a cambiare, almeno pubblicamente, verso gennaio di quest’anno, con la sua decisa presa di posizione a favore del movimento giovanile
che, in modo analogo a quanto va succedendo in Egitto, comincia ad emergere a Gaza.

Scendere in piazza è troppo pericoloso a Gaza, se non piombano bombe dal cielo, piovono manganelli da terra. Fustigati da un governo interno che soffoca i diritti civili basilari, frustrati dal collaborazionismo criminale di Ramallah che viene a patti coi massacrati d’Israele, delusi e defraudati da una comunità internazionale lassista e compiacente coi carnefici, il grido cibernetico di questi ragazzi coraggiosi sta raccogliendo sempre più consensi a livello globale, a giudicare dai commenti sulla loro pagina web che si susseguono istante dopo istante da ogni dove.
Qualcuno mi ha chiesto dall’Italia se conosco le identità degli autori de Il Manifesto. Certo che li conosco. Sono la stragrande maggioranza degli under 25 che a Gaza incontri nei caffe’, al di fuori dell’università, per strada con le mani nelle saccocce vuote di soldi, di impieghi, di prospettive per l’avvenire ma gonfie di lutto e rabbia sottaciuta. Che adesso hanno manifestato.

A febbraio, mentre segue con entusiasmo e trepidazione le vicende dell’Egitto, Vittorio racconta l’aria che tira a Gaza:

anche nella Striscia mi deprime riportare come Hamas soffochi le spontanee dimostrazioni di appoggio all’intifada egiziana.
Durante un sit in nel centro di Gaza city dedicato alla situazione in Egitto, lunedi’ scorso 8 ragazzi e 6 ragazze sono stati arrestati e condotti in una stazione dove polizia, dove una delle ragazze, Asmaa Al-Ghoul, nota giornalista locale, è stata ripetutamente percossa.
Fra gli arrestati lunedi’ anche il traduttore dell’International Solidarity Movement: Mohammed AlZaeem. Mi sono recato personalmente a intercedere per la sua liberazione presso l’autorità locale, e l’ufficiale di polizia responsabile della sua detenzione ha confermato i miei sospetti sulle ragioni per cui le uniche manifestazione consentite qui sono quelle organizzate dal governo. Al centro agli interrogatori subiti dagli arrestati la richiesta incessante e opprimente di informazioni sull’identità del nuovo acerrimo nemico di tutti i governi arabi: Facebook.
Laddove serpeggia dello scontento, i moti prima tunisini e ora egiziani potrebbero rappresentare l’esempio per insurrezioni anche in Palestina, internet e i social network, la miccia per questa possibile deflagrazione.

Il 9 marzo, Arrigoni insiste:

Addirittura alcuni da fuori dalla Striscia hanno accusati i GYBO di essere a libro paga di Abu Mazen e la sua cricca di collaborazionisti; intellettuali e attivisti seduti nei loro confortevoli salotti che non si sono mai sporcati mai le mani del sangue e della sofferenza di un popolo in perenne lotta contro l’occupazione,e che non si scomodano neanche di approfondire le questioni sui qui discettano con la protervia dell’onniscenza.

Con chi ce l’ha, Arrigoni? Con un certo ambiente propalestinese italiano, tra gli altri.
Quello che vedo io, in una newsletter che seguo, è l’accorato appello della curatrice di un’agenzia di stampa molto vicina ad Hamas che invita a non fidarsi dei GYBO: “Le nostre fonti a Gaza ci dicono che dietro quest’organizzazione c’è qualcosa di molto losco e inquietante“. Israele, si suppone.

Meno subdolo e più pasticcione, quella vecchia conoscenza di questo blog che è il Campo Antimperialista parte a testa bassa:

Se questo cosiddetto manifesto rappresenta i giovani di Gaza c’è da mettersi le mani sui capelli. Per fortuna non è così.
Infatti, lo confessiamo, a noi sono sorti fortissimi dubbi sull’autenticità di questo Manifesto, che sembra uscito, non da Gaza, ma da qualche smandrappata riunione no-global italiana. Al di là del contenuto, ripetiamo, inaccettabile, colpisce lo stile occidentalissimo, anzi italianissimo del testo.

Chi sarebbe il no-global? Chi avrebbe mai potuto scrivere con uno stile “italianissimo”, a Gaza? Evidentemente, il campo Antimperialista insinua che il manifesto dei GYBO lo abbia scritto Arrigoni stesso.

Gli attacchi del Campo Antimperialista ai GYBO e ad Arrigoni continuano e, alla fine, lui risponde con un articolo in cui, oltre a farli a pezzetti, scrive una frase che, quando io la lessi, mi diede qualche brivido:

Di sicuro c’è che affibbiare così dissennatamente ai giovani GYBO l’etichetta dei collaborazionisti d’Israele, non e’ uno scherzo, ma un pericolo serio per l’incolumità a Gaza di quei ragazzi mossi da intenti lodevoli sebbene ancora acerbi.

Già.
Il fatto è che in quei giorni – siamo a metà marzo – buona parte dell’ambiente propalestinese italiano desidera fortemente credere che questi giovani gazawi che sfidano Hamas siano “loschi”, come diceva quell’altra, e che a mettere Hamas sul banco dei cattivi non possa essere che Israele.
Perché? Perché la gente normale è semplice e vuole che i buoni e i cattivi siano ordinatamente disposti in file opposte. E perché la gente meno normale, i professionisti della causa araba in Italia, poco se ne fotte dei popoli che dice di difendere e molto se ne importa, invece, delle proprie agende politiche più o meno manifeste.
In questo clima, l’unico motivo per cui l’equazione GYBO=collaborazionisti non sfonda, nell’ambiente, è la voce di Arrigoni stesso. Che una credibilità ce l’ha, in quei circuiti, e fare passare per collaborazionista anche lui è impossibile.
Per quante allusioni si facciano allo stile “italianissimo” del manifesto GYBO.

Il 17 marzo, Vittorio racconta ciò che è successo alla manifestazione dei GYBO:

Meno di un’ora dopo Hamas decideva di terminare la festa a modo suo: centinaia di poliziotti e agenti in borghese hanno accerchiato l’area, e armati di bastoni hanno assaltato brutalmente i manifestanti pacifici,dando alle fiamme le tende e l’ospedale da campo.
Circa 300 i ragazzi feriti, per la maggior parte donne, una decina con fratture. Per tutta la notte di ieri fuori dall’ospedale Al Shifa, nel centro di Gaza city, poliziotti arrestavano i contusi mano a mano che venivano rilasciati dal pronto soccorso.
Molti gli attacchi ai giornalisti, ai quali sono stati confiscati telecamere e macchine fotografiche. Ad Akram Atallah, giornalista palestinese è stata spezzata una mano. Samah Ahmed, giovane collega di Akram, è stata colpita da un fendente di coltello alle spalle. Asma Al Ghoul, nota blogger della Striscia è stata ripetutamente percossa dagli agenti in borghese mentre cercava di soccorrere l’amica ferita.
Le forze di sicurezza di Hamas hanno convogliato l’attacco nel centro della piazza Katiba, dove si concentrava il presidio delle donne, figlie e madri di una Gaza che hanno conosciuto la gioia della speranza di un cambiamento, per poi risvegliarsi alla cruda realtà dopo un breve sogno.

È a quel punto che io scrivo ad Arrigoni scusandomi per avere pensato a lungo che lui fosse organico a certi ambienti, e che lui mi risponde dicendomi che avevo preso una bella cantonata e che lui, con i “professionisti del dramma palestinese”, non ha nulla da spartire.

La freddezza di certi nostri ambienti suppostamente pro-arabi nei confronti delle rivolte giovanili in Medio Oriente è visibile, palpabile. Non è che siano in molti, da noi, ad avere le posizioni che Vittorio sta manifestando, e a me basta per essere certa della sua onestà intellettuale.

Che lui stia cercando di descrivere ciò che vede a Gaza con la maggiore obiettività possibile, a costo di alcuni travagli politici e, suppongo, personali, è di nuovo evidente il 23 marzo:

Hamas che non sparava più un colpo contro obbiettivi israeliani da mesi, che in pratica aveva disarmato la sua resistenza e continuamente tramite il premier Ismail Hanye invitava le altre fazioni a fare altrettanto, decideva questo nuovo attacco mentre a Gaza city la sua polizia reprimeva nel sangue le manifestazione pacifiche dei giovani di Gaza per la fine delle divisioni, assalendo brutalmente anche i giornalisti di testate straniere come Reuters, France Television e Associated Press (secondo quanto denunciato dall’autorevole PCHR), e soprattutto, contemporaneamente ai primi contatti fra rappresentanti del governo di Gaza e Fatah col preciso intento di avvicinare le parti verso l’unità nazionale.
Evidentemente, questi eventi concatenati dimostrano come vi è una forte frangia all’interno di Hamas che lavora assiduamente affinché le divisioni interpalestinesi restino così come sono.

Il 14 aprile, Arrigoni viene rapito e strangolato subito dopo.

Cosa è successo quindi?

C’è tanta gente, tra le persone che frequento, che sostiene che Israele abbia messo il suo zampino in quest’esecuzione. Io non ci credo, visto che 1) avrebbero potuto farlo mille volte prima, per tre anni. Che senso aveva programmare un’operazione simile, all’interno della Striscia, e giusto mentre Vittorio stava facendo fare ad Hamas una figura quantomeno discutibile? 2) Non so quanto Vittorio fosse effettivamente un pericolo, per Israele. I suoi interlocutori erano antisionisti in partenza, non era – per stile di scrittura, per modo di porsi – uno che facesse cambiare idea alla gente. Io credo che Israele tema molto di più chi si rivolge agli ignavi che coloro che, in qualche modo, predicano ai convertiti. Triste, ma è così. 3) L’operazione politica che Israele ha portato avanti nei confronti della Flotilla sarebbe stata uguale, identica, anche con Arrigoni vivo. Non sarebbe cambiato nulla.
No. Decisamente non credo che Israele avesse interesse a fare uccidere Arrigoni.

Io temo che sia successo qualcosa di molto più tremendo e di infinitamente più stupido. Temo che dall’interno della galassia filopalestinese italiana sia partito qualche messaggio “alle nostre fonti di Gaza“, a un qualsiasi interlocutore dell’islam politico militante. Qualcosa del tipo: “Noi ci stiamo provando, a isolare questi GYBO, ma Arrigoni ce lo impedisce”.

E credo che, in un ambiente paranoico come quello di Gaza, simili messaggi abbiano potuto avere delle conseguenze più tragiche di quanto gli idioti nostrani si aspettassero.


Perché la frase di Vittorio – “Di sicuro c’è che affibbiare così dissennatamente ai giovani GYBO l’etichetta dei collaborazionisti d’Israele, non è uno scherzo, ma un pericolo serio per l’incolumità a Gaza” – era vera, e valeva anche per lui.
Soprattutto per lui, anzi. Con i suoi tatuaggi (proibiti dall’islam), con il suo essere comunque uno straniero in una terra che, lo ripeto, è – con tutte le ragioni del mondo – estremamente paranoica.


Io ho paura che Vittorio sia morto perché qualche demente, dall’Italia, abbia fatto circolare in certi ambienti di Gaza l’idea che potesse essere pericoloso per la causa.


Sarei molto, molto felice di sbagliarmi. Perché mi fa persino paura, questa cosa.


Questo articolo è stato pubblicato in Egitto e Medio Oriente, Patria (matrigna?), Rossobruni e altri tipacci e ha le etichette brutta gente, Campo Antimperialista, islamisti, Medio Oriente, Palestina, rossobruni, terrorismi, Vittorio Arrigoni. Aggiungi ai preferiti: link permanente. Scrivi un commento o lascia un trackback: Trackback URL.

Nessun commento:

Posta un commento