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lunedì 16 maggio 2011

MATTEO MESSINA DENARO
di Rino Giacalone - 16 maggio 2011
I siti artistici da colpire nelle stragi programmate dalla mafia nel 1993? «Sono stati scelti da Matteo Messina Denaro consultando i depliant turistici».




Lo ha detto il collaboratore di giustizia ed ex uomo d’onore di San Giuseppe Jato, Giovanni Brusca, ai giudici di Firenze che hanno aperto un nuovo dibattimento sulla stagione stragista che avrebbe affiancato il tentativo di Cosa nostra di «condurre» una «trattativa» con lo Stato. Brusca fu arrestato 15 anni addietro e tre giorni dopo la cattura cominciò la collaborazione. Parlando anche delle bombe mafiose di tre anni prima. Strategia stragista che era già decisa prima degli arresti di Riina, dei fratelli Graviano e di Leoluca Bagarella. Brusca ha svelato che in proposito un suo «tentennamento» fu male interpretato da Matteo Messina Denaro che voleva per questo ucciderlo. «Io – ha detto Brusca sentito in Corte di Assise a Firenze – avevo criticato l’operato degli attentati, tant’è vero che Messina Denaro successivamente hosaputo che per queste critiche mi voleva eliminare. Poi ho chiarito anche con lui l’equivoco, nel senso che io mica volevo criticare l’operato, ma in quel momento dicevo per quale motivo, se non hai una base concreta con cui avere a che fare, tu vai avanti in questo modo, un po’ alla cieca? E allora gli spiegai “ma a che punto siamo”, pensando che c’era qualche aggancio. E lui mi dice “niente”. Gli chiedo pure “ma come hai scelto questi... questi obiettivi da colpire”? E lui mi risponde “con un depliant”». Proseguendo Brusca ha spiegato le «competenze» del super latitante di Castelvetrano, ricercato dal giugno del 1993: «Matteo Messina Denaro non è laureato in Storia dell’Arte, però è una persona competente della materia, conosce quello che significano le opere d’arte, quelli che sono questi patrimoni artistici, quindi conosce benissimo la materia, stiamo parlando di una persona competente e sa dove mettere le mani. E quando lui mi dice “li ho scelti da un depliant” non ho bisogno di andargli a chiedere “ma chi te li ha consigliati”? Perché sapevo che lui era competente della materia, quindi è una persona che sapeva dove metteva le mani». E le bombe! L’arte – quella «rubata» – secondo Brusca c’entra anche nella «segreta» trattativa tra esponenti dello Stato e la mafia. Brusca a Firenze ha fatto il nome di un soggetto venuto in Sicilia e in provincia di Trapani, arrivato qui da Milano in quell’inizio di anni ’90, che avrebbe contattato esponenti della mafia per ottenere la restituzione di opere d’arte «che ho sentito dire – ha detto Brusca – erano state rubate da una pinacoteca di Modena». Il nome di questo soggetto fatto da Brusca è quello di un certo Paolo Bellini, “fantomatico” appartenente ai servizi segreti. «Ci presentò un elenco di opere d’arte tra cui quella di un cane di bronzo con la testa mozzata». Ci sarebbero state anche delle foto di quei reperti e di quel «cane» di bronzo che ancora oggi si troverebbe nelle mani del latitante Matteo Messina Denaro. Sulla organizzazione degli attentati del 1993, Brusca ha detto ai giudici di Firenze che la «manovalanza» fu messa a disposizione dalla cosca palermitana di Brancaccio e «da “picciotti” di Trapani scelti personalmente da Matteo Messina Denaro». Uno di questi il «lattoniere» di Castellammare del Golfo Gino Calabrò–  lo stesso coinvolto nella strage di Pizzolungo del 1985 – che doveva occuparsi di fare esplodere un’autobomba all’Olimpico di Roma per fare strage di poliziotti e carabinieri. Per fortuna quel timer non si innescò. E l’attentato una volta rinviato non venne più fatto. Perchè nel frattempo la «trattativa» avrebbe trovato una sua conclusione.

Tra le «passioni» di Matteo Messina Denaro c’è stata sempre l’arte e l’archeologia.  Passioni comunque nutrite alla «sua» maniera, solo e soltanto per specularci. In alcuni «pizzini» dove racconta la sua vita, Messina Denaro scrive non a caso che con i traffici di arte di cui è specialista «potrebbe mantenersi». A fine anni ’90, Matteo Messina Denaro aveva organizzato a Mazara del Vallo il furto del «Satiro Danzante» appena recuperato (marzo 1998) dal peschereccio «Capitan Ciccio» nel Canale di Sicilia, e mentre veniva tenuto in «ammollo» in acqua salmastra, in un edificio comunale, in attesa della partenza per Roma per il restauro.Tutto era pronto, un commando, un camion e il prezioso bronzo, che doveva finire intanto dentro una buca già scavata in un terreno, avrebbe preso la direzione verso la Svizzera, se non fosse stato che quella sera a Mazara i vigili urbani di guardia non decidevano di trascorrere la serata mangiando una pizza. Uno restò vicino al Satiro e l’altro si allontanò. Si era deciso, raccontò l’ex vigile urbano di Marsala, Mariano Concetto, uomo d’onore ora pentito, che si sarebbe atteso l’arrivo dell’altro vigile e al momento che il portone dell’edificio che ospitava il Satiro veniva aperto, avrebbero dato l’assalto a quegli sventurati per portarsi via il Satiro. Accadde invece che il vigile urbano non tornò solo: portava con se pizza e altra gente, e la «sorpresa» saltò, per quegli amici che così profittavano di quel vigile per ammirare la statua «messa a mollo», così non fu possibile fare il colpo, e qualche ora dopo - la mattina successiva - la statua venne imballata con destinazione il Centro Nazionale del Restauro, a Roma. Messina Denaro perse l’affare, e l’acquirente già pronto per la statua di Prassitele.

A quasi 20 anni di distanza da quella terribile stagione di stragi del 1992 prima e del 1993 dopo, nelle aule di giustizia si continuano a celebrare i processi per quel tritolo della mafia posizionato contro giudici e persone inermi. Si continua a cercare la verità che quando sembra essere a portata di mano ecco che sfugge via. Il pentito Giovanni Brusca a Firenze, nel processo contro il presunto boss palermitano Ciccio Tagliavia, coinvolto nella strategia stragista, è tornato a puntare l’indice contro il latitante di Castelvetrano, Matteo Messina Denaro. E ne ha inserito il ruolo all’interno di un obiettivo preciso che arrestati Riina, Bagarella e i fratelli Graviano, Matteo Messina Denaro per un periodo aveva cercato di perseguire con il «placet» di Bernardo Provenzano. «A noi interessava –ha detto Brusca – abolire l’ergastolo e ridurre il carcere duro». A portare avanti questa richiesta era «personalmente» Matteo Messina Denaro. Sullo sfondo resta il «giallo» della scelta dei siti «colpiti» con le bombe mafiose. Per quello di Firenze di via dei Georgofili si pensa che il «messaggio» era diretto alla massoneria che in quella strada aveva la sede di una sua importante loggia. Gli attentati di Roma, a San Giorgio al Velabro, e a piazza San Giovanni, hanno una incredibile coincidenza, con i nomi degli allora presidenti di Camera e Senato, Giorgio Napolitano e Giovanni Spadolini, «tritolo» dunque rivolto alla Chiesa ma anche al Parlamento.


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