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mercoledì 18 maggio 2011

Pubblichiamo integralmente la lettera-appello che il Procuratore Capo di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, ha inviato al Corriere della Sera e che è stata da questi pubblicata. E' un messaggio chiaro che dovrebbe richiamare tutti ad un atteggiamento coerente alle responsabilità di ciascuno nel rompere il muro di omertà e quindi portare, ognuno nel proprio ambito e tutti come cittadini, il proprio contributo alla prevenzione ed al contrasto dell'illegalità e della "colonizzazione" che le mafie, a partire dalla 'ndrangheta, hanno compiuto nel nord Italia. Come Casa della Legalità, siamo impegnati da sempre su questo terreno e continueremo ad esserlo, in assoluta indipendenza, cercando di dare il nostro contributo per chiudere la partita! Sappiamo quanto sia pesante la cappa di omertà al nord... Un'omertà più vergognosa ancora di quella del sud, perché dettata, più che dalla paura, dall'opportunismo... Sappiamo anche che combattere questa battaglia significa assumersi responsabilità e pagare pesanti conseguenze, in questo Nord che non vuole far maturare gli "anticorpi" e dove le imprese preferiscono essere spregiudicate e la politica, trasversalmente, acquiescente, quando non anche, in molteplici realtà consolidate e diffuse, connivente e complice... Questo avviene perché si è ancora in pochi lungo la trincea... e se solo la maggioranza delle persone, ognuno nel proprio ambito di lavoro e di vita quotidiana, decidesse di assumersi la propria parte di responsabilità, allora il cammino per sbarazzarsi della "malapianta" sarebbe meno arduo.
L'Ufficio di Presidenza

La lettera del Proc. Giuseppe Pignatone
Caro direttore,
da circa due anni, e soprattutto dopo l'attentato alla Procura generale di Reggio Calabria del 3 gennaio 2010, gli organi di informazione hanno cominciato a dedicare un'attenzione crescente alla ‘ndrangheta e a quello che essa rappresenta per la Calabria e per l'Italia. Comincia così a essere squarciato quel cono d'ombra che, salvo momentanee interruzioni (dopo l'omicidio Fortugno, dopo la strage di Duisburg), ha nascosto per decenni la criminalità organizzata calabrese a un'opinione pubblica preoccupata da altre emergenze: il terrorismo, Tangentopoli, Cosa nostra, i casalesi.
La fine di questo cono d'ombra è un punto di importanza essenziale. Solo così è possibile comprendere la potenza e la pericolosità della ‘ndrangheta reggina che non solo ha accumulato e continua ad accumulare immense ricchezze con il suo ruolo di interlocutore privilegiato dei narcotrafficanti sudamericani, ma è anche riuscita ad espandersi in molte parti del mondo a cominciare dalla Lombardia e da altre regioni del Nord Italia. Non è un fenomeno nuovo e già in passato le indagini e i processi hanno documentato queste espansioni. Stiamo però assistendo a un'evoluzione decisiva...
Come ha documentato l'indagine «Il Crimine», frutto della collaborazione tra le procure di Milano e Reggio Calabria e che il 13 luglio scorso ha portato a 300 arresti in tutta Italia, la ‘ndrangheta è riuscita a realizzare una vera e propria «colonizzazione» in ampie zone della Lombardia, e non solo, riproducendo la sua peculiare struttura organizzativa con la creazione di decine di locali e con l'affiliazione di centinaia di persone, ma senza mai interrompere il legame essenziale con la terra d'origine a cui sono sempre rimesse le decisioni strategiche. Le stesse indagini hanno fatto emergere pure che la ‘ndrangheta si è data una struttura unitaria e degli organismi di vertice, certamente diversi e strutturati secondo moduli più flessibili di quelli più noti di Cosa nostra siciliana, ma indispensabili per governare un'associazione criminale così estesa e con interessi in tante parti del mondo. La scelta delle cosche calabresi di adottare una politica di basso profilo e la corrispondente scarsa attenzione dell'opinione pubblica hanno finora ostacolato la comprensione della sua reale natura di associazione mafiosa che, proprio perché tale, è capace di penetrare in strati sociali diversi, di acquisire alleanze e complicità, basate spesso sulla paura, ma a volte anche su calcoli di convenienza: pacchetti di voti per i politici, laute parcelle o buoni affari per professionisti e burocrati, capitali a buon mercato e ostacoli alla concorrenza per gli imprenditori e così via. Per lo stesso motivo non si è colta la capacità della ‘ndrangheta di progettare a lungo termine anche nei settori più delicati:un boss di San Luca è stato intercettato mentre programmava di concentrare tutti i voti controllati dalle cosche su sei candidati di assoluta fiducia, strategicamente scelti sul territorio, da far eleggere al consiglio provinciale e da portare, dopo un'adeguata sperimentazione, prima al consiglio regionale e poi al parlamento nazionale, così da avere in quelle sedi uomini propri, superando la mediazione spesso troppo complessa o ritenuta poco affidabile dei partiti. Quel progetto è stato stroncato dagli arresti, ma credo meriti ancora una attenta riflessione. E lo stesso cono d'ombra informativo ha impedito fin qui di cogliere non solo la diffusione dell'omertà e del silenzio in tante province lombarde, come denunziato dalla procura della Repubblica di Milano, ma, ancora e di più, la presenza della ‘ndrangheta in tanti settori dell'economia dell'Italia centrale e settentrionale, luogo ideale per investire, senza destare troppo l'attenzione, le somme ingentissime di cui le cosche dispongono. Chiarissimo è stato in questo senso l'allarme del Governatore della Banca d'Italia.
E bisogna evitare l'illusione che si possano accettare, specie in questi periodi di crisi, i capitali della ‘ndrangheta lasciando fuori dalla porta chi quei capitali offre: prima o poi costui presenterà il conto non solo con la sua forza economica, ma anche con la minaccia, implicita o esplicita, di ricorrere alla violenza. Ecco perché credo che le indagini condotte in questi anni in varie parti d'Italia siano preziose. Esse dimostrano la gravità e la pericolosità del fenomeno: per contrastarlo è necessaria l'attività di repressione da condurre, con tutte le risorse necessarie, secondo criteri di massimo rigore, ma nell'assoluto rispetto delle garanzie processuali e dei principi costituzionali; con la precisa consapevolezza che bisogna contrastare la ‘ndrangheta tanto in Calabria, dove ci sono il cuore e la testa dell'organizzazione, quanto nel Nord Italia dove ci sono le sue ramificazioni e la sua espansione economica. Ma la repressione non basta. È necessaria la reazione della società civile, con tutte le sue articolazioni, ognuna delle quali può svolgere un ruolo prezioso, innanzi tutto agendo secondo le regole e contrastando il silenzio e l'omertà: così si può sconfiggere questo cancro della società, come l'hanno definito i vescovi italiani, che mette a rischio l'economia e la democrazia del nostro Paese.
Giuseppe Pignatone (Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria)


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