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martedì 12 luglio 2011

FF2 – Freedom Flotilla o False Flag?

‘Il Mediterraneo non è proprietà di Israele’ (ma della NATO sì!)
Il logo riprenderebbe i colori della Palestina, ma se si osserva bene la scritta, sembra riprendere invece i colori del vessillo monarchico libico usato dai golpisti di Bengasi.
Il quotidiano arabo al-Hayat, di Londra, il 30 aprile 2011, aveva riferito che Khaled Mashaal e altri alti funzionari di Hamas, avrebbero progettato di trasferirsi dalla Siria al Qatar, mentre l’ala militare si sarebbe installata nella Striscia di Gaza e un ufficio d’interesse di Hamas sarebbe stato aperto a Cairo. Ma un funzionario di Hamas, secondo la radio militare israeliana, avrebbe smentito tutto ciò, dicendo che la direzione del partito non aveva intenzione di lasciare Damasco, ed ha anche negato la notizia che l’Egitto avesse accettato di aprire una sede di Hamas. Secondo al-Hayat, il Qatar aveva accettato di ospitare la leadership di Hamas, dopo che l’Egitto e la Giordania avevano respinto la richiesta, ma avrebbe rifiutato di ospitare i capi militari. Tali notizie sono state pubblicate subito dopo che Fatah e Hamas avevano accettato di firmare un accordo di riconciliazione. Gli Stati Uniti, nel frattempo, tramite il direttore della pianificazione politica del Dipartimento di Stato, Jacob Sullivan, facevano sapere che: “se un nuovo governo palestinese nascerà, lo valuteremo in base alla sua politica e ne determineremo, quindi, le implicazioni per la nostra assistenza“. Sullivan aveva sottolineato che qualsiasi nuovo governo palestinese dovrebbe accettare i principi fissati dal quartetto diplomatico di Stati Uniti, ONU, UE e Russia, per la cosiddetta roadmap per la pace. Questi tre principi sono: rinunciare alla violenza, accettare gli accordi passati e riconoscere il diritto di Israele ad esistere. L’accordo, annunciato al Cairo, ha visto Fatah che domina la Cisgiordania e i governanti islamici di Gaza, essere d’accordo nel formare un governo di transizione prima delle elezioni, entro un anno. “Sosteniamo la riconciliazione palestinese a condizioni che promuova la causa della pace“, ha sottolineato Sullivan. “I termini di questo accordo, le specifiche di esso e come sarà attuato, sono aspetti che stiamo continuando a studiare.”
Qualche mese prima a Doha, capitale del Qatar, il 25 ottobre 2010, legali e avvocati internazionali che rappresentavano le vittime della Gaza Freedom Flotilla (la prima ovviamente) avevano annunciato la costituzione del “Gruppo Giustizia per la Gaza Freedom Flotilla.” L’annuncio si ebbe dopo la conclusione di un incontro di due giorni tenutosi il 23 e 24 ottobre, volto a coordinare le azioni legali per far ritenere Israele responsabile dell’attacco alla Freedom Flotilla del 31 maggio 2010. L’incontro era ospitato da al-Fakhoora*, una iniziativa basata a Doha (Qatar) che riunisce 70 rappresentanti di 20 paesi. I gruppi di pressione internazionale, gli esperti legali e dei media, e gli avvocati presenti si incontrarono in una serie di workshop per elaborare una strategia globale per le azioni legali nazionali, regionali e internazionali, un coordinamento inter-organizzativo e la mobilitazione dei media. Il Gruppo Giustizia per la Gaza Freedom Flottiglia è il centro del coordinamento, volto a facilitare la comunicazione e lo scambio di informazioni tra gli avvocati che lavorano per conto delle vittime della prima flottiglia.
Bettahar Boudjellal, esperto internazionale dei diritti umani del Qatar, aveva detto, “l’attacco di Israele contro la Freedom Flotilla ha violato il diritto internazionale e i diritti umani. I nostri sforzi per unificare le azioni legali tramite un apparato di coordinamento, ci permetteranno di portare collettivamente lo stato di Israele davanti alla giustizia. Ancora più importante, servirà come base per rispondere alle future violazioni di Israele“.
I workshop della conferenza sono stati guidati da personalità di spicco del movimento contro lo strangolamento israeliano di Gaza e le violazioni dei diritti umani in tutto il territorio palestinese occupato. I partecipanti provenivano da: Bahrain, Belgio, Bosnia Erzegovina, Canada, Egitto, Francia, Grecia, Indonesia, Italia, Giordania, Kuwait, Macedonia, Olanda, Pakistan, Palestina, Spagna, Sud Africa, Svezia, Svizzera, Turchia, Regno Unito, Stati Uniti e Yemen.
Le organizzazioni che partecipavano alla conferenza erano la turca Insan Hak ve Hurriyetleri (IHH), il Free Gaza Movement, la Campagna Europea contro l’Assedio di Gaza (ECESG), il Consiglio per la Intesa Arabo-Britannica (CAABU), lo Studio Legale Elmadag della Turchia, Mazlumdar – associazione turca per i diritti umani, lo studio legale inglese Hickman and Rose, Ship to Gaza – Grecia, Ship to Gaza – Svezia, dei team di avvocati musulmani indonesiani e del Sud Africa, ed altri.
Nel frattempo, il Qatar avviava delle iniziative mirate su Gaza: il ministro dell’Awqaf e degli Affari Religiosi e Presidente della Commissione sugli Aiuti del Qatar, il Dr. Mahmoud al-Habash, annunciava la donazione da parte del Qatar di 10 milioni di dollari a sostegno del settore della pesca di Gaza; nell’ambito dei progetti di sviluppo e delle attività umanitarie svolte dalla Fondazione Carità per la Palestina – Qatar, in coordinamento e collaborazione con il comitato di assistenza presso l’ufficio del presidente al-Habash, che ha spiegato che il progetto mira a mitigare l’impatto negativo dell’assedio israeliano, e a migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei pescatori.
Il ministro dell’Awqaf ha indicato l’importo della sovvenzione, ringraziando il governo del Qatar e l’amministrazione in Palestina della Qatar Foundation Charity per il loro impegno nel sostenere il popolo palestinese. Il direttore della Qatar Foundation Charity in Palestina, Ramadan Assi, ha detto che “questo progetto mira a sostenere le famiglie dei pescatori, a dargli pari opportunità nello sviluppo sostenibile, e aumentare il sostentamento di Gaza tramite l’incremento della produzione, distribuzione e commercializzazione del pesce, così come nella creazione di posti di lavoro, così migliorando la situazione delle famiglie dei pescatori, riducendone il tasso di povertà e sviluppando e migliorando i servizi offerti ai pescatori.”
Il continuo assedio di Gaza ha provocato una perdita economica stimata in 10 miliardi di dollari, con 700 istituti danneggiati, mentre le perdite nel settore privato sono state stimate a circa 140 milioni di dollari. Il numero di lavoratori licenziati è circa 35.000. Il tasso di povertà a Gaza è l’80% e con un tasso di disoccupazione del 60%. Tutto ciò rende estremamente facile la diffusione dell’influenza delle petromonarchie del Golfo Persico, sottraendo terreno ai loro avversari regionali, che non sono Israele o la NATO, ma l’Iran, la Siria, Hezbollah e l’Algeria.
La costituzione della FF2 ha richiesto diverso tempo, notevoli investimenti in capitali, e l’impatto mediatico della missione è uno dei terreni per cui si muovono, dietro le quinte, i vari sponsor. Aspetti ignoti, perché trascurati dagli avversari della missione umanitaria, per via della loro ottusità; ma anche a causa del silenzio, quasi omertoso, riguardo tali aspetti della missione, mantenuto dai vari partecipanti alla FF2. I quali hanno goduto di una copertura non solo finanziaria, ma anche mediatica, assai più cospicua rispetto al 2010.
Fin dalla sua nascita, gli organizzatori della FF2 hanno incontrato una vasta serie di difficoltà tecniche, legali, burocratiche e politiche. La flottiglia che doveva essere composta da 15-20 navi con a bordo 1.500 passeggeri provenienti da 100 paesi, al momento di salpare era già ridotta a 327 passeggeri (oltre il 10% dei quali giornalisti) di 20 paesi e a 9 piccole imbarcazioni. Un ruolo in ciò può averlo giocato senza dubbio l’improvviso e inaspettato dietro front dei turchi.
Alla vigilia della partenza si erano manifestate le prime frizioni. Ad esempio la turca IHH ha ritirato la Mavi Marmara dalla partecipazione alla “Freedom Flotilla 2“. I rappresentanti della IHH, il 17 giugno, avevano tenuto una conferenza stampa dove hanno affermato che le autorità portuali della Turchia non avevano fornito i permessi necessari per la Mavi Marmara, la nave che fu al centro delle polemiche tra Turchia e Israele nel 2010, quando un commando navale israeliano – il Shayetet-13 – abbordò la nave e uccise nove persone a bordo. Davutoglu, ministro degli esteri di Ankara, non ha spiegato perché la Turchia ha rifiutato di concedere la propria autorizzazione alla Mavi Marmara a partecipare alla flottiglia. Infatti, avendo appena vinto le elezioni parlamentari, il governo turco non avrebbe bisogno di provocare una nuova crisi con Israele e di inimicarsi il governo degli Stati Uniti. Vi è ragione di credere che sia le pressioni diplomatiche e interne, sia le difficoltà nell’ottenere l’assicurazione per il viaggio, possano avere avuto un ruolo nella decisione. Nel frattempo, l’IDF ha tenuto una grande esercitazione, in vista della FF2. L’esercitazione coinvolgeva i commando della marina Shayatet-13 e altre unità navali e forze speciali che parteciparono al raid fallito alla nave passeggeri Mavi Marmara, nel maggio 2010.
Quattro giornalisti olandesi, pur dichiarandosi solidali con la causa, hanno abbandonato la flottiglia a causa di disaccordi, e a quanto pare anche per diffidenza verso gli organizzatori. “Ieri mattina ho avuto un incontro finale con i partecipanti. Ho detto agli attivisti che, dato tutto quello che era successo, non dovrebbero fidarsi dell’organizzazione alla guida di questa missione” aveva detto uno di loro. Poi si è scoperto che l’elica del battello ‘Juliano Mer’ era stata danneggiata. Il costo delle riparazioni è stimato a circa 17.000 dollari. Gli attivisti hanno incolpato presunti sommozzatori, israeliani o greci, per il sabotaggio, suscitando la psicosi dei ‘sub mozza-eliche’, degna di apparire nel cronicario delle ‘leggende metropolitane’, visto che è alquanto difficile che dei semplici sommozzatori possano segare l’asse portaelica di navi di una certa stazza, come quella delle imbarcazioni che partecipano alla FF2.
La situazione di crisi economica e politica interna in Grecia, dove la maggior parte delle imbarcazioni della flottiglia si è raggruppata, ha causato lo sciopero generale, contribuendo a bloccare per due settimane il viaggio della flottiglia, poiché i porti non funzionavano. Tale situazione ha spinto i giornalisti che seguono la flottiglia, a dichiarare l’intenzione di abbandonare il programma, piuttosto che aspettare ancora per chissà quanto tempo. Ciò probabilmente ha contribuito alla decisione presa dagli organizzatori flottiglia di salpare nel pomeriggio del 1° luglio sebbene l’imbarcazione statunitense ‘Audacity of Hope’ non avesse ottenuto il permesso di procedere. Ma il viaggio è stato sospeso quando la guardia costiera ellenica, aiutata da commando greci, ha dirottato la nave in un porto vicino al Pireo. Il comandante della nave è stato arrestato con l’accusa di aver messo in pericolo i passeggeri a bordo. Lo stesso giorno, il governo greco, dietro insistenza d’Israele, ha vietato a tutte le navi della flottiglia di lasciare i porti. A questo punto, parecchi giornalisti e reporter, insieme ad alcuni dei passeggeri, hanno deciso di abbandonare il viaggio.
Diversi sono anche i problemi legali che affliggono la flottiglia. In un’intervista con il ‘Jerusalem Post‘, l’attivista di ‘Free Gaza’ Ewa Jasiewicz** si è lamentata del fatto che alcune delle barche si sono viste ritirare la loro assicurazione. Inoltre, l’organizzazione sionista ‘Shurat Hadin‘, che aveva presentato la denuncia alla guardia costiera greca riguardante le sospette carenze sull’affidabilità di sette barche della flottiglia, ha anche tentato di impedire alla ‘Inmarsat’, la compagnia di comunicazioni marittime, di fornire i propri servizi alla flottiglia.
Nel frattempo, un articolo sul sito di ‘Le Monde’ mostra le immagini di una delle due barche francesi, la ‘Louise Michel’, un’imbarcazione ben attrezzata, che hanno suscitato delle domande su chi siano coloro che hanno contribuito al finanziamento della flottiglia. Visto che la navigazione, almeno per una parte della missione, assomiglia piuttosto a una crociera di vacanza nel Mediterraneo orientale, a tutto vantaggio di un gruppo selezionato di ‘progressisti’. Forse un modo per rilassarsi dai cattivi pensieri che potrebbero nascere nelle loro menti, se si guarda alla campagna di bombardamenti contro la Libia. La FF2 assomiglia sempre più a una operazione volta a distrarre una parte della cosiddetta società civile ‘impegnata’; uno spettacolo diretto a coprire i crimini commessi contro il popolo libico, a sostenere le mire delle petromonarchie del Golfo Persico, che stanno conducendo una guerra interaraba sotterranea, ma sempre più palese, contro i regimi più progressisti e nazionalisti, antimperialisti, del mondo arabo e islamico. In effetti, il Qatar investe parte delle sue ricchezze petrolifere finanziando una vasta campagna di influenza ideologico-politica nel Medio Oriente. Un’operazione che si svolge in modo duplice, sia finanziando le opere caritatevoli in Palestina, massmediaticamente assai paganti rispetto alla spesa richiesta; sia cercando di controllare l’informazione in lingua araba, con al-Jazeera usata come randello per aprire la testa dell’opinione pubblica e riempirla di quella disinformazione strategica così utile agli interessi della famiglia-stato che serve. Vedasi il caso della Libia, e dei rapporti con i golpisti di Bengasi, cui il Qatar, grazie ad al-Jazeera, ha fornito non solo armi e mercenari, ma anche una stazione TV nuova di zecca, e con cui ha stipulato un primo contratto per smerciare il petrolio greggio libico estratto dalle zone controllate dai golpisti. E in effetti, il comitato organizzatore della FF2 non ha espresso alcuna dichiarazione ufficiale riguardo alla guerra in Libia, a parte alcune dichiarazioni di sostanziale sostegno all’aggressione a Tripoli, espresse a titolo personale da alcuni dirigenti della missione FF2. È inutile negarlo, anche tramite la missione della FF2 si assiste alla guerra indiretta che oppone l’occidente e le nuove potenze emergenti.
Finanziando la FF2, le petromonarchie cercano di supportare l’azione militare contro Tripoli, e il processo di emancipazione economico africano che esso rappresenta, condotta in modo coordinato con le potenze neocolonialiste Francia e Regno Unito e l’imperialismo USA, oggi in fase di rapido declino. Tale quadro suscita delle necessarie riflessioni sul mesto destino della cosiddetta ‘sinistra antagonista’ europea ed occidentale, che si è allegramente votata e arruolata a una simile bizzarra pantomima. Poiché il popolo di Gaza, da tutto ciò, sia oggi, che nel futuro, non ricaverà nulla di utile. Soprattutto se dovesse impigliarsi nella rete tessuta dai padrini di un islamismo estremo-liberista e profondamente colluso con l’imperialismo.
* Al-Fakhoora è una campagna internazionale che mira ad assicurare la libertà di studio agli studenti palestinesi di Gaza e Cisgiordania. La campagna prende il nome dal liceo delle Nazioni Unite per ragazze, nel campo profughi di Jabaliya, a Gaza, che fu teatro di un attacco di carri armati israeliani il 6 gennaio 2009.
** Non sono pochi i cittadini di religione israelita che navigano verso Gaza a bordo di queste navi pagate, totalmente o in parte, dal Qatar e dalle altre petromonarchie; e che come si vede, vengono anche tranquillamente intervistati proprio dai media israeliani. Una strana intesa aleggia sulla FF2.
Alessandro Lattanzio, 4/7/2011

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