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mercoledì 13 luglio 2011

FLOTILLA, FLYTILLA E LE PROSPETTIVE DELLA SOCIETÀ CIVILE
Postato il Lunedì, 11 luglio @ 15:18:42 CDT di supervice
Israele / Palestina DI GILAD ATZMON
Gilad.co.uk
Si può tranquillamente affermare che la scorsa settimana non è stata proprio agevole per i movimenti di solidarietà alla Palestina: intanto, una flotilla pacifica internazionale che voleva portare aiuti umanitari a Gaza non è riuscita a salpare dai porti greci. Il governo greco si è arreso in modo succube alle pressioni di Israele e alle organizzazioni ebraiche americane, e ha bloccato l’iniziativa navale.
Inoltre, un tentativo internazionale per portare in aereo centinaia di attivisti da tutto il modo nella West Bank è anche questo parzialmente fallito, mentre il governo israeliano è riuscito a mettere una pressione sufficiente per assicurarsi che il progetto fallisse prima ancora del decollo.[1]

Anche se parte che il movimento di solidarietà alla Palestina abbia subito il colpo, è stata invece Israele che ha subito le ferite peggiori, visto che Israele ha dovuto rendere pubblico il proprio tasso di isteria: sembra che otto vecchie imbarcazione e poche centinaia di passeggeri su Easyjet abbiano raggiunto lo scopo di scuotere l’intera società israeliana. Ora cerchiamo di figurarci il possibile impatto di centinaia di migliaia di rifugiati palestinesi che marciano verso le proprie abitazioni di Jaffa, Acre Lod, Ramle, Haifa, Beer Shiva e Quds.
Credo che il quadro sia più chiaro che mai, Israele non riuscirebbe a reggere. Il suo destino è segnato. È solo una questione di tempo. Non è questione del “se”, ma una questione del “quando”.
Ma la verità si nasconde più in profondità. Sia la Flotilla che la Flytilla sono casi esemplari di “campagne della società civile”, con l’intenzione di mobilitare il sostegno pubblico internazionale usando mezzi pacifici e democratici.
Le due campagna non hanno l’intenzione di mettere in pericolo la sicurezza di Israele in alcun caso; sono invece lì per attirare l’attenzione del mondo sulla situazione di Gaza e della West Bank. Il loro primo obbiettivo, raggiungere la Palestina, non è stato raggiunto, ma la loro missione è ancora una chiara e significativa vittoria perché prova ancora una volta di che pasta è fatto Israele: lo Stato Ebraico è una società chiusa, un collettivo patologico preda di un “Disturbo post-traumatico da stress" (alimentato da fantasie immaginarie di distruzione). È importante notare che le misure disperate del governo israeliano con la pacifica Flytilla dimostrano al mondo che la West Bank è sotto assedio e la Palestina è chiusa ai visitatori.
I leader delle due “campagne della società civile” hanno fatto il loro lavoro: l’hanno progettate per mesi, orchestrando e coordinando la spedizione di diversi gruppi internazionali. Hanno raccolto i fondi e hanno agito come ci si aspetterebbe dagli “attivisti della società civile”.
Ma hanno sbagliato nel non capire una cosa. Non hanno afferrato il fatto più ovvio sullo Stato Ebraico e i poteri che lo sostengono in tutto il mondo. Per quanto possano aver voluto porre in essere la strategia più pacifica e civile, potrebbero aver fallito nel capire che lo Stato Ebraico non è un posto civilizzato, ed è totalmente alieno alla nozione di civilizzazione. Ancora una volta il governo di Israele si è attirato le critiche di tutto il mondo con una chiara lezione sui tratti peculiari dello Stato Ebraico.
Israele contro la civilizzazione
La parola “civilizzazione” viene in origine dalla parola latina civilis, derivante dalle parole civis, col significato di cittadino e civitas con quello di città o di città-stato.
La civilizzazione, quindi, riguarda tradizionalmente una società che riconosce e rispetta le nozioni di “legge civica” e “cittadinanza”. Israele sfortunatamente non è una società di questo tipo. La gran parte delle persone le cui abitazioni sono sul territorio controllato da Israele difettano della conoscenza di diritti civili basilari per il fatto di essere ebrei.
È possibile che questa mancanza di Israele abbia le radici nel disprezzo del giudaismo ortodosso per i concetti di “legge civica” e di civilizzazione. Per il giudaismo rabbinico, è la legge dell’Halacha che regola rigidamente i diritti e i doveri dell’ebreo.[2]
È interessante sapere che il primo sionismo era un tentativo per rimediare a questo problema. Promise di “civilizzare la vita ebraica”. Aveva promesso di costruire una società ebraica che rispettasse i principi di cittadinanza e la legge secolare. Ma il sionismo era destinato a fallire. Già nei suoi inizi lo Stato Ebraico preferì purgare su base etnica la vasta maggioranza della popolazione palestinese invece di esercitare la possibilità teorica di una “civilizzazione ebraica”.
La ragione è nel fatto che lo stato ebraico ha combattuto con le leggi Halacha sin dal momento della nascita. Da un lato gli israeliani secolari, gli agente dell’Halacha e i sionisti hanno disseminato la falsa immagine di una società ebraica “democratico”, “civilizzata e aperta”, ma dall’altro le istituzioni religiose in Israele hanno sfidato quell’agenda fittizia e falsa: affermarono con chiarezza che se Israele si fosse definito come lo “Stato Ebraico”, allora si doveva dare all’ebreitudine un qualche significato reale. Si riferivano essenzialmente alle leggi Halacha.
Gli esiti di questa lotta sono evidenti: fino a questo momento Israele ha uno scarso rispetto per la nozione di “civilizzazione” e “legge civica”. Al massimo, sciommiotta qualche attitudine occidentale. Il membro arabo della Knesset Azmi Bishara, che suggerì qualche anno fa che Israele sarebbe dovuta diventare uno stato per tutti i suoi cittadini (una civilizzazione), è dovuto fuggire per salvarsi la vita e vive da allora in esilio. Non è un segreto che gli israeliani arabi (palestinesi con la cittadinanza israeliana) sono cittadini di seconda classe e i palestinesi di Gaza e della West Bank sono privi di un qualsiasi stato civile. Si spostano in una prigione a cielo aperto. Sono soggetti alla brutalità di Israele e a diverse norme di legge che discriminano la razza. Inoltre, le comunità di lavoratori stranieri in Israele sono totalmente marginalizzate, vivono nella piena insicurezza con pochissimi diritti.
L’ovvia domanda da porsi è se le “iniziative della società civile”, come quelle degli attivisti internazionali per la solidarietà nelle ultime settimane, possano avere un qualche effetto su una società che disprezza in modo così evidente le nozioni di “.legge civica” e di “civilizzazione”.
La diaspora ebraica e la civilizzazione
Israele fa ovviamente parte del problema: lo stato ebraico è sostenuto da alcune tra le più influenti lobby di tutto il pianeta. Queste organizzazioni riescono a spingere i governi occidentali e le istituzioni politiche nell’angolo. In Gran Bretagna, ad esempio, Sheikh Raed Salah, noto anche come il “Gandhi della Palestina” è stato imprigionato per più di una settimana per la pressione delle lobby di destra ebraiche sul vergognoso governo britannico. Inoltre, la stampa israeliana si è ventata di aver di recente dato notizia degli incentivi offerti dalle organizzazioni ebraiche al malmesso governo greco contro la Flotilla.
Il governo israeliano e le sue lobby a supporto chiariscono una volta di più che è più economico comprare un politico occidentale che comprare un carro armato.
Quindi, la morale per noi tutti deve essere chiara: anche se Israele detesta la nozione di civilizzazione, gli incidenti su esposti provano che le sue lobby sparse per il mondo ancora riesco a interferire con la civilizzazione della nostre rispettive nazioni
Le iniziative della società civile contro i non civilizzati
I leader della Solidarietà Palestinese devono prendere le dovute lezioni dagli eventi odierni. La campagne della società civile mobilitano il sostegno del pubblico in tutto il mondo ed è una cosa davvero importante. Comunque, simili iniziative sembrano essere troppo deboli per portare a un cambio di coscienza in Israele.
Per poter sconfiggere Israele e il sionismo, dobbiamo prima ammettere a noi stessi cosa sia Israele: stiamo combattendo un progetto unitario, razzialmente orientato, espansionista e tribale che non ha precedenti nella storia, e questo progetto va ben oltre i propri confini geografici. Israele non è solo una ricerca di territorio; è in effetti un’ideologia e il suo modus operandi è guidato da forme radicali di supremazia razziale (gli ebrei come popolo eletto). Ma dobbiamo anche riconoscere che lo stato ebraico non è solo: è sostenuto istituzionalmente dall’ebraismo mondiale.
Se ci interessiamo alla Palestina, alla pace nel mondo e alle condizioni del pianeta in generale, il nostro compito è quello di restare belli dritti e di identificare le ideologie, le politiche e la cultura che servono lo stato ebraico e il suo interesse, sia globalmente che localmente. Non dobbiamo necessariamente viaggiare in Palestina per combattere i soldati israeliani: potrebbe essere meglio individuare i mercenari attorno a noi, nei nostri media, nelle istituzioni politiche, nei think tank, nelle accademie e nell’economia.
Queste persone e queste organizzazioni interferiscono pesantemente nella nostra civilizzazione, con i valori più sacri all’Occidente, l’etica, il pluralismo, l’armonia e la tolleranza.

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Note:
[1] Quegli attivisti che sono riusciti a raggiungere Israele sono stati rapidamente messi in stato di fermo e gli è stato ordinato di espatriare.
[2] Si può discutere se anche l’Islam disprezzi la nozione di Legge Civica. Comunque, al contrario del giudaismo, l’Islam è un concetto universale. Definisce con chiarezza metodi e approcci rispettosi nei confronti dell’etica e delle minoranze religiose.

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